In un’epoca come la nostra dove si procede a grandi passi verso una società sempre più globalizzata e laicizzata, strettamente legata alle rigide leggi del mercato, multietnica e sempre più sensibile solo ai valori del consumismo e dell’individualismo esasperato, parlare di cavalleria e di tradizioni cavalleresche dovrebbe essere solo una curiosa disquisizione che può interessare qualche studioso di storia medioevale. Tuttavia a giudicare dal proliferare di altisonanti associazioni che si spacciano per Ordini Cavallereschi ed al crescente numero di persone desiderose di fregiarsi del titolo di “Cavaliere”, si dovrebbe pensare che l’argomento sia ancora oggi di grande attualità.
Ma chi era il Cavaliere e da dove si origina la cavalleria?
Per tentare di dare una risposta alla domanda, bisogna inevitabilmente dare uno sguardo alle origini del medioevo in Europa.
Con la fine dell'Impero Romano, culminata con la invasione delle tribù germaniche, in Europa al diritto romano si sostituisce l'autorità dei nuovi conquistatori. Un periodo che gli storici non hanno esitato a definire "oscurantismo", attraversa la seconda metà del primo millennio dopo Cristo. E' in questo periodo che iniziano a nascere le nuove classi nobiliari discendenti direttamente da forti guerrieri che al seguito di capi tribù, ricevevano in cambio dei loro servizi, possedimenti terrieri con tutto ciò che questi contenevano, uomini e animali inclusi. Queste tribù germaniche non conoscevano l'uso della scrittura (l'uso delle rune, alfabeto germanico cuneiforme, era appannaggio solo di pochissimi druidi), ed erano essenzialmente un popolo di guerrieri col culto della forza fisica e del potere delle armi, mentre in quello che rimaneva dell'Impero Romano, dove ormai il cristianesimo si era affermato soppiantando definitivamente i precedenti culti pagani, la neonata chiesa di Roma rimaneva l'unica autorità in grado di conservare cultura e tradizioni della classicità.
Alla conversione al cristianesimo di queste tribù ormai stabilitesi nel vecchio Impero, non seguì un automatico abbandono di antiche usanze e leggi barbariche per quella che era la nascente moralità del cristianesimo. In altre parole cioè, in Europa, in quello che un tempo era stato l’Impero Romano, la gente comune (contadini o artigiani che fossero) viveva in costante pericolo, tra scorrerie di briganti, nuove invasioni da nord dai Vichinghi provenienti dai paesi scandinavi e da sud dagli Arabi provenienti dalle terre del neonato Islam; ma soprattutto era continuamente esposta a violenze e soprusi di ogni tipo da parte delle stesse classi nobiliari affermatisi che piuttosto che garantire pace e stabilità, erano sempre in lotta tra loro per la conquista del potere. In particolare, per evitare lo smembramento dei loro feudi, i nobili feudatari lasciavano tutto in eredità al primogenito maschio (questa usanza veniva detta “legge del maggiorasco”), sicché agli eventuali fratelli non restava che o vivere da sudditi nella terra del fratello maggiore o tramare contro di egli o andarsene per mettersi al servizio di potenti feudatari in cerca di gloria, titoli e nuove terre da possedere. Si andò diffondendo così una nuova classe di giovani nobili (detti cadetti) che errando di feudo in feudo come mercenari, senza regole o rispetto per alcuna legge, diventavano spesso responsabili di rapine e delitti. Questi cadetti quindi non potevano certo definirsi un esempio di virtù, purtuttavia educati sin da piccoli alla lotta e all’uso delle armi, in particolare la spada, conservavano un forte rispetto per gli uomini che dimostravano il loro coraggio ed abilità in battaglia. Erano in altre parole giovani forti e violenti, ma con un innato senso dell’onore (parola oggi molto inflazionata che soprattutto nella nostra splendida isola, ricca di storia e tradizioni, è divenuta sinonimo distorto di mafia!)
Siamo in un’epoca, tra il VI e il X sec., in cui le armi da fuoco erano ben lontane dall’essere state inventate, bisogna aspettare il 1300 per i primi rudimentali archibugi; i primi fucili fecero la loro comparsa in Europa solo nel 1503, battaglia di Cerignola e nel 1522 in quella della Bicocca, dove le truppe spagnole armate con fucili ad acciarino, sbaragliarono le truppe francesi formate da picchieri e cavalieri corazzati. Inoltre le armi da lancio, archi o balestre largamente impiegate in battaglia durante tutto il medioevo, di origine antichissima (si ha notizia dell’uso delle prime balestre in estremo oriente nel 2000 a.c., gli archi risalgono addirittura al 30.000 a.c.), non venivano viste dai nobili guerrieri germani di buon occhio perché considerate armi da vili.
Fu la Chiesa di Roma, che in quel periodo andava affermando sempre più il suo potere temporale oltre che spirituale, a cercare di porre un freno all’impetuosità di quei giovani cadetti persuadendoli ad usare la loro forza ed il loro coraggio in opere di bene; per far ciò, diede loro una regola e li inquadrò nella “Cavalleria”.
E’ da precisare che il possesso di un cavallo, così come la spada, era praticamente appannaggio esclusivo delle classi nobiliari, con esso il nobile guidava in battaglia i servi e i contadini delle sue terre inquadrati come fanti armati spesso di bastoni, lance o armi da lancio.
Il cavaliere col cavallo, stabiliva un rapporto speciale, molto spesso la sua vita in battaglia dipendeva da esso, e tale rapporto ha indubbiamente modificato nel corso dei secoli la figura ed il carattere del cavaliere, codificandone quei comportamenti che lo identificano come la tipica figura del nobile.
Comunque dicevo, fu la Chiesa, che spinse quei giovani a divenire una classe di guerrieri di elite, che davano alla loro spada a forma di croce, simbolo del Sacrificio del Cristo, un valore di fede e spiritualità, spingendoli a diventare qualcosa di profondamente diverso dalla figura dell’eroe della cultura classica della Roma antica o dei poemi epici greci, in quanto questi cavalieri della nascente cristianità non combattevano più per se stessi, ma per qualcosa di molto più importante:
per Cristo, la Chiesa ed il suo popolo. Questi sono i dieci punti del giuramento del cavaliere all’atto della sua investitura:
1) Tu crederai a tutto ciò che la Chiesa insegna ed osserverai tutti i suoi comandamenti.
2) Tu proteggerai la Chiesa.
3) Tu difenderai tutti i deboli.
4) Tu amerai il paese dove sei nato.
5) Tu non ti ritirerai mai davanti al nemico.
6) Tu farai la guerra ad oltranza contro gli infedeli.
7) Tu adempirai ai tuoi doveri feudali, se non sono contrari alla legge di Dio.
8) Tu non mentirai mai e sarai fedele alla parola data.
9) Tu sarai liberale e generoso con tutti.
10) Tu sarai sempre il campione del diritto e del bene, contro l’ingiustizia e il male.
Oggi almeno alcuni di questi punti ci potrebbero apparire incomprensibili, ma bisogna ricordare che nell’Europa del medioevo nascente, spiritualità, fede e vita quotidiana formavano un tutt’uno inscindibile, ed il cavaliere di allora vuoi per sincera fede, vuoi per superstizione o per convenienza teneva in grande considerazione l’autorità della chiesa ed a quei tempi la conquista di un posto in Paradiso era molto importante. Inoltre si andava sempre più affermando una concezione pessimistica della vita, sopravvivenza forse dello spirito tragico della religiosità germanica, ma conseguenza anche della concezione negativa della realtà che il cristianesimo medievale diffonde soprattutto nel mondo germanico (siamo ancora ben lontani dalla laicità del mondo moderno, anche se già a quell’epoca nascono i primi contrasti fra il potere laico, incarnato dall’imperatore, ed il potere spirituale, incarnato dal papato.)
Ma un’altra caratteristica contraddistingue la figura del cavaliere:
il suo spirito di guerriero nobile, incarnato dal suo coraggio, dalla sua lealtà dal suo senso del dovere, cioè in altre parole dal suo Onore. Il cavaliere diceva di se:
La Fede a Dio
L’Obbedienza al Re
Il Cuore alla Dama
L’Onore a Me!
ed è in queste poche parole che si può racchiudere tutto il significato dell’essere cavaliere.
Diventarlo era cosa tutt’altro che semplice. Nelle tribù barbariche che occuparono il vecchio continente il senso di appartenenza a un clan (cioè ad un gruppo etnico-linguistico in generale ed alla propria famiglia in particolare) era molto sentito (caratteristica peraltro condivisa anche nell’impero di Roma o nelle civiltà precedenti dove la società era comunque suddivisa in classi, patrizi, plebei, contadini ecc.), per cui era molto raro che un giovane che non poteva vantare discendenze nobiliari potesse diventare un cavaliere, e questa caratteristica andò man mano accentuandosi con l’affermarsi delle famiglie nobiliari stesse nel corso delle generazioni. Inoltre diventare cavaliere non significava solamente essere nobile di nascita ma aver seguito un duro apprendistato. Il giovane cadetto infatti già a circa dieci anni, lasciava il castello del padre per andare al servizio di un altro feudatario. Qui trovava altri cadetti che si preparavano a diventare cavalieri. I più giovani si dicevano paggi; quelli che hanno più di quattordici anni erano scudieri. Essi venivano educati severamente: dovevano imparare le nobili regole della cavalleria e dovevano irrobustire il proprio corpo per sapersi trarre d’impiccio in ogni occasione; perciò imparavano a cavalcare, a maneggiare ogni tipo di armi, a lottare, a nuotare, a cacciare. E quando non si esercitavano svolgevano servizio nelle cucine e servivano a tavola. Da scudieri entravano al servizio personale di un cavaliere e lo assistevano in tutto, dalla vestizione dell’armatura all’accudirne il suo cavallo; e comunque continuavano i loro servizi di servitù nelle cucine. Quindi passavano tutta la loro infanzia tra il duro lavoro e il servire gli altri e molto raramente imparavano a leggere e scrivere, ma poiché trascorrevano la loro vita errando da castello in castello, alcuni di essi per divenire persone di buona compagnia, imparavano a suonare il liuto e la mandola. E solo compiuto il ventunesimo anno di età lo scudiero poteva sperare (se a giudizio insindacabile del cavaliere presso cui prestava servizio) di ricevere l’investitura a Cavaliere. Infatti la nomina a Cavaliere non era automatica, e solo se il giovane aspirante avesse dato prova di esserne degno, poteva coronare con successo anni di duro e servile apprendistato. Essere nominato Cavaliere assumeva un significato profondo per il giovane dell’epoca, significava essere riconosciuto nobile tra i nobili, e spesso era proprio in battaglia che il giovane scudiero proteggendo coraggiosamente il suo cavaliere si conquistava il diritto di ricevere la spada, gli speroni e lo scudo simboli dell’appartenenza alla cavalleria. Ed è molto importante ricordare che non tutti i nobili, anche se potenti feudatari, erano cavalieri, e solo un cavaliere poteva con cerimonia solenne carica di misticismo, elevare un altro uomo al rango di Cavaliere, poiché solo un Cavaliere può riconoscere nell’altro un suo pari.
Così si andò formando una classe di guerrieri coraggiosi, dall’animo fiero e nobile, dai modi cortesi, sinceri uomini di fede ma soprattutto con un profondo senso dell’Onore, Lealtà e Giustizia. Un Cavaliere non mentiva mai; non scendeva mai a compromessi anche se questo poteva significare crearsi dei nemici. In pace come in guerra il Cavaliere era sempre il paladino della giustizia, la sua rettitudine come la sua lealtà lo distinguevano sempre. In battaglia non mostrava esitazioni, ma non si abbandonava a violenze gratuite. E di fatto proprio la battaglia era il fine ultimo di un Cavaliere. Per egli, ricevere il battesimo del fuoco significava poter dimostrare a se stesso e agli altri, il suo valore, e guadagnarsi il rispetto degli altri cavalieri. Questo sentimento era ancora più esasperato nei cavalieri di lingua tedesca, in quanto fedeli alla loro tradizione religiosa precristiana, immolarsi in battaglia con la spada in pugno significava guadagnarsi il diritto ad accedere al Valhalla (il paradiso dei guerrieri secondo la mitologia dei popoli nordici, dalla penisola scandinava alla Germania), e questo li spingeva spesso a ricercare la morte in battaglia esattamente come i cavalieri Samurai del Giappone. Anzi è interessante notare come cavalieri provenienti da paesi, cultura e tradizioni profondamente diverse, finiscano con l’identificarsi negli identici valori, segno inequivocabile di uno spirito, quello cavalleresco, trasversale a quelle che sono le culture dei singoli popoli.
Naturalmente, come la storia ci insegna, non tutti gli uomini divenuti cavalieri, si dimostrarono all’altezza del loro titolo; se uno di essi mancava alla parola data o si macchiava di viltà, veniva proclamato indegno di essere Cavaliere. Condotto su un palco, tutte le sue armi venivano spezzate e calpestate, il suo scudo veniva legato alla corda di un cavallo e trascinato nel fango, dopo avervi cancellato lo stemma di famiglia. Poi veniva posto su una barella, coperto con un drappo nero e portato in chiesa come un morto. Su di lui venivano recitate le preghiere dei defunti, tutto ciò a sottolineare che egli come Cavaliere era morto. Da quel momento veniva posto al bando per tutta la vita. Ma più che di viltà, purtroppo furono in molti quelli che si macchiarono di crudeltà in battaglia, sia con i nemici sconfitti che con le popolazioni inermi, a dimostrazione che la fragilità della natura umana è tale da poter rendere un uomo contemporaneamente da un lato forte e coraggioso ma di fatto dall’altro vile e crudele.
Ma che fine ha fatto la Cavalleria e dove sono finite le sue nobili tradizioni?
Fu durante le Crociate che nacquero gli Ordini Cavallereschi, istituzioni di monaci guerrieri legate alla Chiesa, antesignane degli eserciti nazionali moderni.
Bisogna ricordare infatti che nel medioevo il concetto di nazione come la conosciamo oggi, non esisteva. Si parlava di impero che racchiudeva tutta la cristianità. Solo intorno al X-XI Sec. cominciano a delinearsi i primi regni nazionali (Francia, Spagna, Inghilterra), ed a quel tempo gli eserciti erano costituiti dai singoli feudatari che fornivano ai Re uomini e mezzi per le guerre, e che costituivano nell’insieme una forza molto eterogenea e mal coordinata. Non esisteva nemmeno il concetto di divisa nell’abbigliamento del guerriero. Ogni feudatario andava in battaglia con le sue insegne di famiglia, dipinte su scudi o cucite sulle gualdrappe dei cavalli, sui mantelli e sulle tuniche indossate sopra l’armatura, e questo contribuiva non poco alla confusione degli eserciti cristiani in battaglia.
Fu l’Ordine Militare dei Cavalieri Templari, nato durante il regno cristiano di Gerusalemme (siamo all’epoca delle Crociate) intorno all’anno 1118, ad adottare per primo una divisa in battaglia (inizialmente una tunica e un mantello completamente bianchi, solo successivamente ornati da una croce, detta patente, di colore rosso); ed essi si distinsero da subito dagli altri cavalieri cristiani presenti in Terrassanta per la loro disciplina ed organizzazione in battaglia, gettando le basi del moderno concetto di militare successivamente imitato dagli altri Ordini Cavallereschi nati in Terrassanta, e dagli eserciti nazionali che si andarono lentamente costituendo nel corso dei secoli di pari passo con il rafforzarsi dei regni stessi. E fu sempre lo stesso sopracitato Ordine, a dare una regola definitiva alla figura del Cavaliere, che da nobile e solitario guerriero, diventava un vero e proprio militare di carriera appartenente ad una istituzione che difendeva la cristianità e la tradizione cavalleresca. L’Ordine Templare fu sospeso dal papa Clemente V nel 1314 per volere dell’allora re di Francia Filippo detto il Bello ma la tradizione templare, che poi altro non era che la tradizione cavalleresca stessa, sopravvisse innanzitutto negli altri due Ordini nati durante le Crociate, l’Ordine dei Cavalieri di S.Giovanni (oggi conosciuto come Ordine di Malta) e l’Ordine dei Cavalieri di S.Maria di Gerusalemme (meglio conosciuto come Ordine Teutonico), ma più in generale nelle accademie militari delle varie nazioni europee che si formarono nei secoli successivi. Naturalmente la forte spiritualità del Cavaliere medioevale, oggi, almeno in parte, si è persa, ma quei valori che facevano del Cavaliere un nobile uomo d’onore, si sono conservate pressoché intatte all’interno delle odierne accademie militari d’Europa; quella che sembra si sia persa (almeno nella nostra Italia) è la vocazione a diventare Cavalieri, perché forse troppo distratti dai nostri egoismi, troppo assuefatti al benessere, troppo desiderosi di intraprendere una carriera che ci garantisca ricchezza, fama e potere, per poter essere disposti a sacrificare la nostra vita per un ideale, per difendere la nostra Patria e le sue tradizioni.
Ma state tranquilli, in compenso ci sono le nostre donne che sempre più stufe di fare le Dame, si affrettano a sostituire i maschi (sempre più stufi di fare i Cavalieri) nelle nostre caserme, sempre più vuote.
E che fine hanno fatto gli Ordini Cavallereschi?
Esistono ancor oggi, ma, purtroppo, della tradizione cavalleresca del medioevo hanno conservato una sola cosa: il Mantello!
Massimo Cigna
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