martedì 27 maggio 2008

Secondo voi può esistere un mollusco che tira le frecce?

Esiste. E ne esistono tantissime specie (oltre 600), tutte facenti parte del genere Conus. I Conus hanno la caratteristica di avere una specie di freccia acuminata che viene "scoccata" contro le proprie prede o per difesa. La freccia può penetrale nella pelle e perforare anche una tuta da sub: è velenosa quanto il veleno di un cobra (può essere letale e non esiste alcun antidoto). In mare i Conus possono cambiare un po' di aspetto (soprattutto di colore) a causa delle concrezioni di alghe sul guscio o perchè parzialmente ricoperte dalla sabbia.

L’operazione di cattura è quasi istantanea, 300 millisecondi dal momento dell’avvistamento della preda alla sua cattura. Un vero record per il mondo subacqueo.
Il mollusco dopo aver individuato il pesce da catturare posiziona la sua proboscide sul corpo della preda e lancia il suo dente-freccia con il veleno da iniettare. Il dente rimane collegato alla proboscide e quindi non avviene un distacco dal corpo del piccolo mollusco.

Nel mediterraneo ne esistono solo pochissime specie e non sono pericolose.

Si tratta di molluschi con conchiglie dall'aspetto molto bello, come quelle presentate in queste immagini:

 

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Mancini alla riscossa!

  Una delle cose più comuni che si vede fare con i bambini piccoli è che, quando prendono il cucchiaio o la forchetta con la mano sinistra, vengono subito corretti.

La mano sinistra, nel passato, è stata persino definita la "mano del diavolo". Adesso questa idea non è più così diffusa e nemmeno a scuola i bambini sono più costretti ad imparare forzatamente ad usare la destra per scrivere. Però, ancora oggi, molti genitori finiscono con il porsi il problema: "lo correggo o no"?"

Secondo alcuni ricercatori dell'universitá di Oxford (Gb) il responsabile del mancinismo sarebbe addirittura un gene ed esattamente il gene denominato LRRTM1. Questo gene deciderebbe quale emisfero del cervello è preposto al controllo di specifiche funzioni, come il linguaggio o le emozioni.

Quindi, quando il nostro bambino usa la sinistra, non c'è niente di cui preoccuparsi. In questo caso la correzione non si rende più necessaria.

In fondo i mancini non se la cavano affatto male, basti pensare a quanti personaggi famosi, che si sono distinti in qualsiasi campo delle attività umane, erano mancini. Volete un piccolo elenco? Eccolo:

Fred Astaire, Kim Basinger, Kenneth Branagh, Charlie Chaplin, Tom Cruise, Matt Dillon, Robert DeNiro, Peter Fonda, Morgan Freeman, Greta Garbo, Judy Garland, Whoopie Goldberg, Cary Grant, Goldie Hawn, Kermit, la rana, Rock Hudson, Diane Keaton, George Kennedy, Nicole Kidman, Shirley MacLaine, Steve McQueen, Marcel Marceau, Harpo Marx, Marilyn Monroe, Demi Moore, Kim Novak, Ryan O'Neal, Anthony Perkins, Luke Perry, Robert Preston, Robert Redford, Keanu Reeves, Julia Roberts, Mickey Rourke, Christian Slater, Sylvester Stallone, Rod Steiger, Emma Thompson, Dick Van Dyke, Bruce Willis, Oprah Winfrey, Beethoven.

E ancora:

Musicisti mancini:
Bela Fleck - musicista jazz
Billy Cobham - compositore jazz
Bob Dylan
Carl Philipp
Emanuel Bach - compositore
Celine Dion
Christie Marie Melonson - opera
Crysal Gayle
David Byrne - (Talking Heads)
Dick Dale - chitarrista
Don Everly - The Everly Brothers
Eric Gales - chitarrista
Errol Garner - piano jazz
George Michael
Glen Campbell
Glenn Frey - (the Eagles)
Jimi Hendrix
Joe Perry
Kurt Cobain - (Nirvana)
Lou Rawls
Melissa Manchester
Natale Cole
Noel Gallagher - (Oasis)
Paul McCartney - (the Beatles)
Paul Simon - (Simon & Garfunkel)
Phil Collins - (Genesis)
Phil Everly - (The Everly Brothers)
Ringo Starr - (?) (the Beatles)
Robert Plant - (Led Zepplin)
Sergei Rachmaninoff - compositore
Vicki Carr
Wolfgang Amadeus Mozart - compositore
Zac Hanson

Sportivi mancini:
Pelé -Edson Arantes do Nascimento (calcio)
Diego Armando Maradona (calcio)
Romario (calcio)
Platini (calcio)
Gullit (calcio)
Johnny Herbert (pilota di Formula 1)
Ayrton Senna de Silva (pilota di Formula 1)
Valentino Rossi (motociclismo)
Jimmy Connors (tennis)
Goran Ivanesivic (tennis)
Martina Navratilova (tennis)
Marcello Chino Rios (tennis)
Monica Seles (tennis)

Altri mancini:
Albert Einstein (probabilmente mancino corretto)
Alessandro Magno
Aristotele
Benjamin Franklin
Benjamin Netanyahu (premier israeliano)
Bill Gates
Billy the kid (fuoriligge)
Caio Giulio Cesare
Caroline kennedy
Carlo Magno
David Rockefeller
Dwight F: Davis (ideatore della coppa Davis)
Fidel Castro
Frank Kafka
Gandi
Hans Christian Andersen
Henry Ford (fondatore omonima casa automobilistica)
Manuel Kant
Joan d'Arco (?), eroina francese
John John Kennedy
John Wesley Hardin, pistolero western
Leonardo da Vinci, (ma dipingeva con la destra)
Lord Baden-Powell, fondatore dei Boy Scouts (ambidestro)
Marie Curie
Mark Twain, scrittore
Matt Groening, cartonista (Ideatore dei Simpson)
Michelangelo
Milt Caniff, cartonista
Napoleone Bonaparte
Neil Armstrong, il primo uomo sulla luna
Pablo Picasso
Pieter Paul Rubens
Principe Carlo d'Inghilterra
Principe William d'Inghilterra
Raffaello
Ramses II
Regina Elisabetta
Regina Vittoria d'Inghilterra
Tiberio (?), imperatore romano
Winston Churchill

Ecco, l'elenco ovviamente sarebbe ancora più lungo, ma non intendo tediarvi oltre. La cosa più importante, comunque, è che nei tempi moderni si sta facendo un notevole sforzo per riabilitare i mancini nella società. Anche nel linguaggio il mancinismo finora ha avuto sempre connotati negativi. Per esempio ci sono molte frasi comuni che possono essere degradanti per un mancino. Ad esempio "nato sul lato sinistro del letto"., "Ti sei alzato con il piede sinistro"," uno sguardo sinistro", "un tiro mancino","un sinistro". In molte altre lingue del mondo il vocabolo usato la parola per dire sinistra o mancino ha, una connotazione negativa. In francese "gauche" significa sinistra, ma anche goffo, sgraziato e difficile.

Il grande numero di personaggi famosi mancini ci fa capire, invece, che il mancinismo non è un ostacolo e che non possiede affatto i connotati del "male".

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domenica 25 maggio 2008

La sonda Phoenix Lander giunge su Marte alle 1:53 (ora italiana) del 26 maggio 2008

Questa notte, la sonda spaziale Phoenix Lander, si poserà sulla superficie di Marte alle 1:53 (ora italiana). Ha cominciato il suo viaggio 8 mesi fa e tra poche ore si tufferà dentro l'atmosfera marziana per un difficile atterraggio. Questa sonda è stata realizzata allo scopo di cercare tracce d'acqua nel sottosuolo di Marte. Grazie al suo braccio robotico lungo 2,3 metri, cercherà di scavare sotto la superficie per trovare l'acqua. Il luogo di atterraggio previsto è una zona del Polo Nord marziano, chiamata Green Valley. C'è una certa preoccupazione riguardo all'atterraggio della sonda. E' ancora vivo il ricordo del fallimento dell'atterraggio della sonda Mars Polar Lander (2001) che si schiantò sulla superificie di Marte a causa del prematuro spegnimento dei retrorazzi. Domani mattina avremo notizie :-)

In questo filmato c'è un'animazione delle fasi finali della missione, che porteranno il Phoenix Lander ad atterrare su Marte.

 

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Anacoluto, questo sconosciuto!

"Quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro" (Alessandro Manzoni)

Si parla di anacoluto (dal greco anakólouthos, “che non segue”, “che non è conseguente”) quando le varie parti della frase non rispettano la normale sintassi. Come nell'esempio citato, dove la frase prima della virgola sembra incompiuta, ma trova una tacita giustificazione solo nella seconda parte. L'anacoluto serve per mimare il linguaggio parlato e viene usata in letteratura per fare esprimere personaggi considerati di basso livello culturale.

 

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L'olivo tra leggenda e realtà

Sull'olivo e sulla sua origine ci sono miti e leggende. L'olivo e i suoi generosi raccolti sarebbero stati fatti conoscere all'umanità dalla dea dell'antico Egitto Iside. La mitologia romana attribuisce a Ercole l'introduzione dell'olivo dal Nordafrica; la dea romana Minerva avrebbe insegnato l'arte della coltivazione dell'olivo e dell'estrazione del suo olio. Secondo un'altra leggenda l'olivo risalirebbe al primo uomo; il primo olivo sarebbe cresciuto sulla tomba di Adamo.
Gli antichi greci narrarono di una gara fra il dio del mare Posidone e la dea della pace e della sapienza Atena. La vittoria sarebbe stata assegnata a chi avesse prodotto il dono più utile per la città recentemente costruita nella regione greca dell'Attica. Posidone colpì una roccia col suo tridente e ne scaturì una sorgente. L'acqua cominciò a fluire, e dalla sorgente apparve il cavallo, simbolo di forza e potenza e aiuto prezioso in guerra. Quando venne il turno di Atena, la dea conficcò nel terreno la lancia, che trasformò in un olivo, simbolo di pace e fonte di cibo e di combustibile. Il dono di Atena fu considerato il più grande, e la nuova città fu chiamata in suo onore Atene. L'olivo è tuttora considerato un dono divino. Un olivo cresce ancora sull'Acropoli di Atene.
L'origine geografica dell'olivo è controversa. Resti fossili di quello che si ritiene sia un progenitore dell'olivo moderno sono stati trovati sia in Italia sia in Grecia. La prima coltivazione dell'olivo viene attribuita di solito a Paesi intorno al Mediterraneo orientale: a varie regioni negli attuali stati della Turchia, della Grecia, della Siria, dell'Iran e dell'Iraq. L'olivo domestico, Olea europaea, l'unica specie del genere Olea sfruttata per il suo frutto, è coltivata da almeno cinquemila anni, ma forse anche da settemila.
Dalle rive orientali del Mediterraneo, la coltivazione dell'olivo si diffuse in Palestina e in Egitto. Alcuni esperti credono che la coltivazione abbia avuto inizio a Creta, da dove, intorno al 2000 a.C., un'industria fiorente esportava l'olio in Grecia, in Nordafrica e in Asia Minore. Al crescere delle loro colonie, i greci introdussero l'olivo in Italia, in Francia, in Spagna e in Tunisia. All'espandersi dell'Impero romano, anche la coltivazione dell'olivo si diffuse nell'intero bacino mediterraneo. Per secoli l'olio d'oliva fu la merce più importante per la regione.
Oltre che per la sua funzione ovvia di fornire calorie preziose alla dieta, l'olio d'oliva fu usato in molti altri aspetti della vita quotidiana dei popoli mediterranei. Lampade che usavano come combustibile l'olio d'oliva illuminavano le case di sera. L'olio era usato anche a fini cosmetici; tanto i greci quanto i romani lo usavano per frizionarsi la pelle dopo un bagno. Gli atleti consideravano i massaggi con olio d'oliva essenziali per mantenere sciolti i muscoli. I lottatori aggiungevano sabbia o polvere al loro olio, per impedire la presa ai loro avversari. I rituali dopo le gare comportavano il bagno e altri massaggi con olio d'oliva, per lenire e guarire abrasioni. Le donne usavano olio d'oliva per mantenere giovane la pelle e lucidi i capelli. Si pensava che l'olio aiutasse a prevenire la calvizie e a promuovere la forza. I composti responsabili del profumo e dell'aroma nelle piante sono molto spesso solubili in olio, cosicché alloro, sesamo, rosa, finocchio, menta, ginepro, salvia e altre foglie e fiori venivano messi in infusione in olio d'oliva, producendo miscugli esotici profumati di grande pregio. In Grecia i medici prescrivevano olio d'oliva o alcuni di tali miscugli per numerosi disturbi e malattie, fra cui nausea, colera, ulcere e insonnia. Numerosi riferimenti all'olio d'oliva, assunto per bocca o applicato esternamente, appaiono in antichi testi egizi di medicina. Dell'olivo si usavano persino le foglie per attenuare la febbre e fornire sollievo contro la malaria. Oggi sappiamo che contengono acido salicilico, la stessa molecola, presente nel salice e nell'olmaria, da cui nel 1893 Felix Hofmann sviluppò l'Aspirina.
L'importanza dell'olio d'oliva per i popoli del Mediterraneo si riflette nei loro scritti e addirittura nelle loro leggi. Il poeta greco Omero lo chiamò « oro liquido ». Il filosofo greco Democrito pensava che una dieta a base di miele e olio d'oliva potesse permettere a un uomo di vivere cento anni, un'età estremamente avanzata in un'epoca in cui la speranza di vita oscillava intorno a quarant'anni. Nel VI secolo a.C. il legislatore ateniese Solone — che promulgò fra l'altro un codice di leggi umano, istituì tribunali popolari e il diritto di assemblea, e fondò un senato — introdusse leggi per la protezione dell'olivo. Da un oliveto si potevano rimuovere ogni anno solo due olivi. La violazione di questa legge comportava sanzioni gravi, fra cui la pena di morte.
Nella Bibbia ci sono più di cento riferimenti alle olive e all'olio di oliva. Per esempio: dopo il diluvio la colomba, uscita dall'arca, porta a Noè un ramoscello d'olivo; Mosè riceve l'istruzione di preparare un unguento di spezie e olio d'oliva; il buon samaritano versa vino e olio sulle ferite della vittima dei predoni; e le vergini sagge tengono le lampade piene d'olio d'oliva. A Gerusalemme c'è il Monte degli Olivi. Il re degli ebrei Davide nominò delle guardie per proteggere i suoi oliveti e i suoi magazzini. L'enciclopedista romano Plinio il Vecchio, nel I secolo a.C., nella Naturalis historia (XV, 1-8) scrisse che l'Italia aveva il migliore olio d'oliva del Mediterraneo. Virgilio elogiò l'olivo:
E tu però, se saggio sei, provvedi, che ne' tuoi campi numeroso alligni questo caro alla pace arbor fecondo.'
Sulla base di tutte queste informazioni sulle funzioni svolte dall'olivo nella religione, nella mitologia e nella poesia, oltre che nella vita quotidiana, non sorprende che esso sia diventato un simbolo importante per molte culture. Nell'antica Grecia, presumibilmente per il fatto che un'abbondanza d'olio d'oliva per cibo e per lampade implicava una prosperità che mancava negli anni di guerra, l'olivo divenne sinonimo di tempo di pace. Noi parliamo ancora di porgere un ramoscello d'olivo quando intendiamo fare un tentativo di pacificazione. L'olivo fu considerato anche un simbolo di vittoria, e i vincitori dei giochi olimpici ricevevano un serto di foglie d'olivo oltre a un premio in olio. Gli oliveti erano spesso considerati un obiettivo da colpire durante la guerra, poiché la loro distruzione non solo eliminava un'importante fonte di cibo del nemico, ma gli infliggeva anche un colpo psicologico devastante. L'albero dell'olivo rappresentava anche saggezza e rinnovamento; dagli olivi che sembravano distrutti dal fuoco spuntavano spesso nuovi germogli e l'albero tornava poi a dar frutto.
Infine, l'olivo rappresentava la forza (un tronco d'olivo era il bastone di Ercole) e il sacrificio (la croce su cui fu inchiodato Cristo sarebbe stata di olivo). In varie epoche e in varie culture l'olio ha simboleggiato potere e ricchezza, verginità e fertilità. L'olio d'oliva è stato usato per secoli per ungere re, imperatori e vescovi, nella loro incoronazione od ordinazione. Saul, il primo re d'Israele, fu consacrato da Samuele che gli versò un vasetto d'olio sul capo. Centinaia d'anni dopo, dal lato opposto del Mediterraneo, il re dei franchi Clodoveo I fu unto con olio d'oliva alla sua incoronazione. Altri trentaquattro re di Francia furono successivamente unti con olio tratto dalla stessa boccetta in forma di pera, fino alla sua distruzione durante la Rivoluzione francese.
L'olivo è un albero molto resistente. Esso ha bisogno, per dare un raccolto abbondante, di un clima con un breve inverno freddo, senza gelate primaverili che uccidano i fiori. Una lunga estate molto calda e un autunno mite permettono alle olive di maturare. Il Mediterraneo rinfresca le sue coste africane e riscalda le sue rive settentrionali, rendendo la regione idealmente adatta alla coltivazione dell'olivo. L'olivo non cresce nell'interno, lontano dall'effetto mitigante di un grande mare. Gli olivi possono sopravvivere anche in presenza di una piovosità molto scarsa. Le loro lunghe radici a fittone penetrano in profondità per trovare l'acqua, e le foglie sono strette e coriacee con una superficie inferiore opaca e argentea: adattamenti che impediscono la perdita d'acqua per evaporazione. L'olivo può sopravvivere a lunghi periodi di siccità e può crescere su suoli rocciosi e su terrazzature pietrose. Un gelo estremo e tempeste invernali possono strappargli rami e spezzare tronchi, ma anche un olivo apparentemente distrutto dal freddo la primavera seguente si rigenera ed emette nuovi polloni verdi. Non sorprende che coloro che si trovarono a dipendere dall'olivo per migliaia di anni siano giunti a venerarlo.

 

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La Cavalleria

In un’epoca come la nostra dove si procede a grandi passi verso una società sempre più globalizzata e laicizzata, strettamente legata alle rigide leggi del mercato, multietnica e sempre più sensibile solo ai valori del consumismo e dell’individualismo esasperato, parlare di cavalleria e di tradizioni cavalleresche dovrebbe essere solo una curiosa disquisizione che può interessare qualche studioso di storia medioevale. Tuttavia a giudicare dal proliferare di altisonanti associazioni che si spacciano per Ordini Cavallereschi ed al crescente numero di persone desiderose di fregiarsi del titolo di “Cavaliere”, si dovrebbe pensare che l’argomento sia ancora oggi di grande attualità.

Ma chi era il Cavaliere e da dove si origina la cavalleria?

Per tentare di dare una risposta alla domanda, bisogna inevitabilmente dare uno sguardo alle origini del medioevo in Europa.

Con la fine dell'Impero Romano, culminata con la invasione delle tribù germaniche, in Europa al diritto romano si sostituisce l'autorità dei nuovi conquistatori. Un periodo che gli storici non hanno esitato a definire "oscurantismo", attraversa la seconda metà del primo millennio dopo Cristo. E' in questo periodo che iniziano a nascere le nuove classi nobiliari discendenti direttamente da forti guerrieri che al seguito di capi tribù, ricevevano in cambio dei loro servizi, possedimenti terrieri con tutto ciò che questi contenevano, uomini e animali inclusi. Queste tribù germaniche non conoscevano l'uso della scrittura (l'uso delle rune, alfabeto germanico cuneiforme, era appannaggio solo di pochissimi druidi), ed erano essenzialmente un popolo di guerrieri col culto della forza fisica e del potere delle armi, mentre in quello che rimaneva dell'Impero Romano, dove ormai il cristianesimo si era affermato soppiantando definitivamente i precedenti culti pagani, la neonata chiesa di Roma rimaneva l'unica autorità in grado di conservare cultura e tradizioni della classicità.

Alla conversione al cristianesimo di queste tribù ormai stabilitesi nel vecchio Impero, non seguì un automatico abbandono di antiche usanze e leggi barbariche per quella che era la nascente moralità del cristianesimo. In altre parole cioè, in Europa, in quello che un tempo era stato l’Impero Romano, la gente comune (contadini o artigiani che fossero) viveva in costante pericolo, tra scorrerie di briganti, nuove invasioni da nord dai Vichinghi provenienti dai paesi scandinavi e da sud dagli Arabi provenienti dalle terre del neonato Islam; ma soprattutto era continuamente esposta a violenze e soprusi di ogni tipo da parte delle stesse classi nobiliari affermatisi che piuttosto che garantire pace e stabilità, erano sempre in lotta tra loro per la conquista del potere. In particolare, per evitare lo smembramento dei loro feudi, i nobili feudatari lasciavano tutto in eredità al primogenito maschio (questa usanza veniva detta “legge del maggiorasco”), sicché agli eventuali fratelli non restava che o vivere da sudditi nella terra del fratello maggiore o tramare contro di egli o andarsene per mettersi al servizio di potenti feudatari in cerca di gloria, titoli e nuove terre da possedere. Si andò diffondendo così una nuova classe di giovani nobili (detti cadetti) che errando di feudo in feudo come mercenari, senza regole o rispetto per alcuna legge, diventavano spesso responsabili di rapine e delitti. Questi cadetti quindi non potevano certo definirsi un esempio di virtù, purtuttavia educati sin da piccoli alla lotta e all’uso delle armi, in particolare la spada, conservavano un forte rispetto per gli uomini che dimostravano il loro coraggio ed abilità in battaglia. Erano in altre parole giovani forti e violenti, ma con un innato senso dell’onore (parola oggi molto inflazionata che soprattutto nella nostra splendida isola, ricca di storia e tradizioni, è divenuta sinonimo distorto di mafia!)

Siamo in un’epoca, tra il VI e il X sec., in cui le armi da fuoco erano ben lontane dall’essere state inventate, bisogna aspettare il 1300 per i primi rudimentali archibugi; i primi fucili fecero la loro comparsa in Europa solo nel 1503, battaglia di Cerignola e nel 1522 in quella della Bicocca, dove le truppe spagnole armate con fucili ad acciarino, sbaragliarono le truppe francesi formate da picchieri e cavalieri corazzati. Inoltre le armi da lancio, archi o balestre largamente impiegate in battaglia durante tutto il medioevo, di origine antichissima (si ha notizia dell’uso delle prime balestre in estremo oriente nel 2000 a.c., gli archi risalgono addirittura al 30.000 a.c.), non venivano viste dai nobili guerrieri germani di buon occhio perché considerate armi da vili.

Fu la Chiesa di Roma, che in quel periodo andava affermando sempre più il suo potere temporale oltre che spirituale, a cercare di porre un freno all’impetuosità di quei giovani cadetti persuadendoli ad usare la loro forza ed il loro coraggio in opere di bene; per far ciò, diede loro una regola e li inquadrò nella “Cavalleria”.

E’ da precisare che il possesso di un cavallo, così come la spada, era praticamente appannaggio esclusivo delle classi nobiliari, con esso il nobile guidava in battaglia i servi e i contadini delle sue terre inquadrati come fanti armati spesso di bastoni, lance o armi da lancio.

Il cavaliere col cavallo, stabiliva un rapporto speciale, molto spesso la sua vita in battaglia dipendeva da esso, e tale rapporto ha indubbiamente modificato nel corso dei secoli la figura ed il carattere del cavaliere, codificandone quei comportamenti che lo identificano come la tipica figura del nobile.

Comunque dicevo, fu la Chiesa, che spinse quei giovani a divenire una classe di guerrieri di elite, che davano alla loro spada a forma di croce, simbolo del Sacrificio del Cristo, un valore di fede e spiritualità, spingendoli a diventare qualcosa di profondamente diverso dalla figura dell’eroe della cultura classica della Roma antica o dei poemi epici greci, in quanto questi cavalieri della nascente cristianità non combattevano più per se stessi, ma per qualcosa di molto più importante:

per Cristo, la Chiesa ed il suo popolo. Questi sono i dieci punti del giuramento del cavaliere all’atto della sua investitura:

1) Tu crederai a tutto ciò che la Chiesa insegna ed osserverai tutti i suoi comandamenti.

2) Tu proteggerai la Chiesa.

3) Tu difenderai tutti i deboli.

4) Tu amerai il paese dove sei nato.

5) Tu non ti ritirerai mai davanti al nemico.

6) Tu farai la guerra ad oltranza contro gli infedeli.

7) Tu adempirai ai tuoi doveri feudali, se non sono contrari alla legge di Dio.

8) Tu non mentirai mai e sarai fedele alla parola data.

9) Tu sarai liberale e generoso con tutti.

10) Tu sarai sempre il campione del diritto e del bene, contro l’ingiustizia e il male.

Oggi almeno alcuni di questi punti ci potrebbero apparire incomprensibili, ma bisogna ricordare che nell’Europa del medioevo nascente, spiritualità, fede e vita quotidiana formavano un tutt’uno inscindibile, ed il cavaliere di allora vuoi per sincera fede, vuoi per superstizione o per convenienza teneva in grande considerazione l’autorità della chiesa ed a quei tempi la conquista di un posto in Paradiso era molto importante. Inoltre si andava sempre più affermando una concezione pessimistica della vita, sopravvivenza forse dello spirito tragico della religiosità germanica, ma conseguenza anche della concezione negativa della realtà che il cristianesimo medievale diffonde soprattutto nel mondo germanico (siamo ancora ben lontani dalla laicità del mondo moderno, anche se già a quell’epoca nascono i primi contrasti fra il potere laico, incarnato dall’imperatore, ed il potere spirituale, incarnato dal papato.)

Ma un’altra caratteristica contraddistingue la figura del cavaliere:

il suo spirito di guerriero nobile, incarnato dal suo coraggio, dalla sua lealtà dal suo senso del dovere, cioè in altre parole dal suo Onore. Il cavaliere diceva di se:

La Fede a Dio

L’Obbedienza al Re

Il Cuore alla Dama

L’Onore a Me!

ed è in queste poche parole che si può racchiudere tutto il significato dell’essere cavaliere.

Diventarlo era cosa tutt’altro che semplice. Nelle tribù barbariche che occuparono il vecchio continente il senso di appartenenza a un clan (cioè ad un gruppo etnico-linguistico in generale ed alla propria famiglia in particolare) era molto sentito (caratteristica peraltro condivisa anche nell’impero di Roma o nelle civiltà precedenti dove la società era comunque suddivisa in classi, patrizi, plebei, contadini ecc.), per cui era molto raro che un giovane che non poteva vantare discendenze nobiliari potesse diventare un cavaliere, e questa caratteristica andò man mano accentuandosi con l’affermarsi delle famiglie nobiliari stesse nel corso delle generazioni. Inoltre diventare cavaliere non significava solamente essere nobile di nascita ma aver seguito un duro apprendistato. Il giovane cadetto infatti già a circa dieci anni, lasciava il castello del padre per andare al servizio di un altro feudatario. Qui trovava altri cadetti che si preparavano a diventare cavalieri. I più giovani si dicevano paggi; quelli che hanno più di quattordici anni erano scudieri. Essi venivano educati severamente: dovevano imparare le nobili regole della cavalleria e dovevano irrobustire il proprio corpo per sapersi trarre d’impiccio in ogni occasione; perciò imparavano a cavalcare, a maneggiare ogni tipo di armi, a lottare, a nuotare, a cacciare. E quando non si esercitavano svolgevano servizio nelle cucine e servivano a tavola. Da scudieri entravano al servizio personale di un cavaliere e lo assistevano in tutto, dalla vestizione dell’armatura all’accudirne il suo cavallo; e comunque continuavano i loro servizi di servitù nelle cucine. Quindi passavano tutta la loro infanzia tra il duro lavoro e il servire gli altri e molto raramente imparavano a leggere e scrivere, ma poiché trascorrevano la loro vita errando da castello in castello, alcuni di essi per divenire persone di buona compagnia, imparavano a suonare il liuto e la mandola. E solo compiuto il ventunesimo anno di età lo scudiero poteva sperare (se a giudizio insindacabile del cavaliere presso cui prestava servizio) di ricevere l’investitura a Cavaliere. Infatti la nomina a Cavaliere non era automatica, e solo se il giovane aspirante avesse dato prova di esserne degno, poteva coronare con successo anni di duro e servile apprendistato. Essere nominato Cavaliere assumeva un significato profondo per il giovane dell’epoca, significava essere riconosciuto nobile tra i nobili, e spesso era proprio in battaglia che il giovane scudiero proteggendo coraggiosamente il suo cavaliere si conquistava il diritto di ricevere la spada, gli speroni e lo scudo simboli dell’appartenenza alla cavalleria. Ed è molto importante ricordare che non tutti i nobili, anche se potenti feudatari, erano cavalieri, e solo un cavaliere poteva con cerimonia solenne carica di misticismo, elevare un altro uomo al rango di Cavaliere, poiché solo un Cavaliere può riconoscere nell’altro un suo pari.

Così si andò formando una classe di guerrieri coraggiosi, dall’animo fiero e nobile, dai modi cortesi, sinceri uomini di fede ma soprattutto con un profondo senso dell’Onore, Lealtà e Giustizia. Un Cavaliere non mentiva mai; non scendeva mai a compromessi anche se questo poteva significare crearsi dei nemici. In pace come in guerra il Cavaliere era sempre il paladino della giustizia, la sua rettitudine come la sua lealtà lo distinguevano sempre. In battaglia non mostrava esitazioni, ma non si abbandonava a violenze gratuite. E di fatto proprio la battaglia era il fine ultimo di un Cavaliere. Per egli, ricevere il battesimo del fuoco significava poter dimostrare a se stesso e agli altri, il suo valore, e guadagnarsi il rispetto degli altri cavalieri. Questo sentimento era ancora più esasperato nei cavalieri di lingua tedesca, in quanto fedeli alla loro tradizione religiosa precristiana, immolarsi in battaglia con la spada in pugno significava guadagnarsi il diritto ad accedere al Valhalla (il paradiso dei guerrieri secondo la mitologia dei popoli nordici, dalla penisola scandinava alla Germania), e questo li spingeva spesso a ricercare la morte in battaglia esattamente come i cavalieri Samurai del Giappone. Anzi è interessante notare come cavalieri provenienti da paesi, cultura e tradizioni profondamente diverse, finiscano con l’identificarsi negli identici valori, segno inequivocabile di uno spirito, quello cavalleresco, trasversale a quelle che sono le culture dei singoli popoli.

Naturalmente, come la storia ci insegna, non tutti gli uomini divenuti cavalieri, si dimostrarono all’altezza del loro titolo; se uno di essi mancava alla parola data o si macchiava di viltà, veniva proclamato indegno di essere Cavaliere. Condotto su un palco, tutte le sue armi venivano spezzate e calpestate, il suo scudo veniva legato alla corda di un cavallo e trascinato nel fango, dopo avervi cancellato lo stemma di famiglia. Poi veniva posto su una barella, coperto con un drappo nero e portato in chiesa come un morto. Su di lui venivano recitate le preghiere dei defunti, tutto ciò a sottolineare che egli come Cavaliere era morto. Da quel momento veniva posto al bando per tutta la vita. Ma più che di viltà, purtroppo furono in molti quelli che si macchiarono di crudeltà in battaglia, sia con i nemici sconfitti che con le popolazioni inermi, a dimostrazione che la fragilità della natura umana è tale da poter rendere un uomo contemporaneamente da un lato forte e coraggioso ma di fatto dall’altro vile e crudele.

Ma che fine ha fatto la Cavalleria e dove sono finite le sue nobili tradizioni?

Fu durante le Crociate che nacquero gli Ordini Cavallereschi, istituzioni di monaci guerrieri legate alla Chiesa, antesignane degli eserciti nazionali moderni.

Bisogna ricordare infatti che nel medioevo il concetto di nazione come la conosciamo oggi, non esisteva. Si parlava di impero che racchiudeva tutta la cristianità. Solo intorno al X-XI Sec. cominciano a delinearsi i primi regni nazionali (Francia, Spagna, Inghilterra), ed a quel tempo gli eserciti erano costituiti dai singoli feudatari che fornivano ai Re uomini e mezzi per le guerre, e che costituivano nell’insieme una forza molto eterogenea e mal coordinata. Non esisteva nemmeno il concetto di divisa nell’abbigliamento del guerriero. Ogni feudatario andava in battaglia con le sue insegne di famiglia, dipinte su scudi o cucite sulle gualdrappe dei cavalli, sui mantelli e sulle tuniche indossate sopra l’armatura, e questo contribuiva non poco alla confusione degli eserciti cristiani in battaglia.

Fu l’Ordine Militare dei Cavalieri Templari, nato durante il regno cristiano di Gerusalemme (siamo all’epoca delle Crociate) intorno all’anno 1118, ad adottare per primo una divisa in battaglia (inizialmente una tunica e un mantello completamente bianchi, solo successivamente ornati da una croce, detta patente, di colore rosso); ed essi si distinsero da subito dagli altri cavalieri cristiani presenti in Terrassanta per la loro disciplina ed organizzazione in battaglia, gettando le basi del moderno concetto di militare successivamente imitato dagli altri Ordini Cavallereschi nati in Terrassanta, e dagli eserciti nazionali che si andarono lentamente costituendo nel corso dei secoli di pari passo con il rafforzarsi dei regni stessi. E fu sempre lo stesso sopracitato Ordine, a dare una regola definitiva alla figura del Cavaliere, che da nobile e solitario guerriero, diventava un vero e proprio militare di carriera appartenente ad una istituzione che difendeva la cristianità e la tradizione cavalleresca. L’Ordine Templare fu sospeso dal papa Clemente V nel 1314 per volere dell’allora re di Francia Filippo detto il Bello ma la tradizione templare, che poi altro non era che la tradizione cavalleresca stessa, sopravvisse innanzitutto negli altri due Ordini nati durante le Crociate, l’Ordine dei Cavalieri di S.Giovanni (oggi conosciuto come Ordine di Malta) e l’Ordine dei Cavalieri di S.Maria di Gerusalemme (meglio conosciuto come Ordine Teutonico), ma più in generale nelle accademie militari delle varie nazioni europee che si formarono nei secoli successivi. Naturalmente la forte spiritualità del Cavaliere medioevale, oggi, almeno in parte, si è persa, ma quei valori che facevano del Cavaliere un nobile uomo d’onore, si sono conservate pressoché intatte all’interno delle odierne accademie militari d’Europa; quella che sembra si sia persa (almeno nella nostra Italia) è la vocazione a diventare Cavalieri, perché forse troppo distratti dai nostri egoismi, troppo assuefatti al benessere, troppo desiderosi di intraprendere una carriera che ci garantisca ricchezza, fama e potere, per poter essere disposti a sacrificare la nostra vita per un ideale, per difendere la nostra Patria e le sue tradizioni.

Ma state tranquilli, in compenso ci sono le nostre donne che sempre più stufe di fare le Dame, si affrettano a sostituire i maschi (sempre più stufi di fare i Cavalieri) nelle nostre caserme, sempre più vuote.

E che fine hanno fatto gli Ordini Cavallereschi?

Esistono ancor oggi, ma, purtroppo, della tradizione cavalleresca del medioevo hanno conservato una sola cosa: il Mantello!

Massimo Cigna

 

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Ma voi lo fareste ciò che ha fatto questo fotografo? (immagini)

A me vengono le vertigini al solo pensiero! Ma questo fotografo non si è lasciato spaventare dall'altezza e dal salto tra una roccia e l'altra del Grand Canyon. Ha rischiato la vita per poter fotografare il tramonto. Una sola curiosità... ma chi ha fotografato il fotografo? :-)

 

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sabato 24 maggio 2008

Miti e costellazioni: Orione il cacciatore

La costellazione di Orione è una delle più famose e riconoscibili della volta celeste. Le sue luminose sette stelle principali che brillano alte nel cielo nelle limpide notti invernali, hanno fatto di questa costellazione il terreno fertile per grandi storie mitologiche.

Partiamo dalla mitologia greca. Orione, secondo gli antichi greci, era un gigante, possente e bellissimo, figlio di Poseidone ed Euriale, figlia di Minosse, il re di Creta . Si racconta che una notte, sull'isola di Chio, corteggiò Merope, figlia del re Enopione, che irato dall'affronto lo fece accecare ed allontanare dall'isola. Orione si diresse verso l'isola di Lemno dove Vulcano, impietosito dalla sua cecità, lo affidò alla guida di Cedalione, che lo condusse verso est, fin dove sorgeva il sole e lì riacquistò la vista, grazie ad Eos, l'aurora, che alla fine divenne sua moglie.

Cacciatore dagli occhi celesti, usciva di notte accompagnato dal suo cane fedele, Sirio, in cerca di prede. La dea Artemide, che con lui condivideva molte battute di caccia, se ne invaghì perdutamente e gli fece delle avances esplicite, anche se lei era famosa per la sua sacra castità (evidentemente quando c'è l'occasione buona...). Orione la rifiutò con gentilezza, adducendo come fragile giustificazione che non avrebbe mai potuto tradire la sua amata sposa, che era stata colei che lo aveva guarito dalla cecità. Inizialmente Artemide si mise l'animo in pace, convinta di aver trovato un uomo davvero fedele, ma...

Quando però scoprì che dopo pochissimo tempo Orione si era invaghito delle Pleiadi, le sette figlie di Atlante e Pleione, e che, addirittura, aveva cominciato a molestarle, la dea si offese a morte e per punire l'insopportabile affronto, mandò contro Orione un formidabile killer: lo Scorpione; il piccolo animale entrò di nascosto nella capanna del cacciatore durante la notte e ne attese il ritorno fino all'alba; il terribile aracnide continuò a rimaner nascosto fino a quando il nostro eroe ed il suo fido compagno non si addormentarono, spossati da un'avventurosa battuta di caccia, ed infine sferrò il suo attacco letale con il suo pungiglione avvelenato, prima su Orione e poi su Sirio che si era svegliato ed aveva tentato di difendere il suo padrone.

Secondo altre fonti Orione era un cacciatore spietato che uccideva le prede solo per il piacere di uccidere e fu proprio questo suo atteggiamento a dare fastidio ad Artemide che gli mandò contro lo Scorpione. Quando il possente cacciatore vide un così piccolo animale rise di lui, ma subito lo Scorpione lo punse e Orione in breve tempo morì.

Esistono altre versioni riguardo la morte di Orione: alcune dicono che lo Scorpione fu inviato ad uccidere Orione da Apollo, fratello della dea, che quando venne a conoscenza dell'affetto di Artemide verso il cacciatore, ne rimase alquanto contrariato; altri miti, invece, narrano che fu Orione a innamorarsi di Artemide, e non viceversa, e che per difendersi da lui la dea lo uccise con le sue frecce.

Ed ecco un'altra versione. Egli si vantò con Artemide di essere il più abile cacciatore esistente e di poter uccidere qualsiasi bestia sulla terra.  Allora Gea (la Terra), indignata per la sua presunzione, fremette e fece uscire da una spaccatura del terreno uno scorpione che lo punse facendolo morire.

Comuque sia andata, non appena Giove scoprì cosa era successo, si adirò molto, e dall'alto dell'Olimpo fulminò con una folgore lo scorpione (poveraccio...). Infine decise di far ascendere al cielo gli eroi, e da allora la costellazione di Orione splende nell'Emisfero Boreale mentre affronta la carica del Toro (di cui possiamo vedere l'occhio rosso di rabbia, la bella stella Aldebaran) e non lontano troviamo la costellazione del Cane Maggiore (con la stella Sirio, che è la più luminosa del cielo); la costellazione dello Scorpione invece sorge esattamente quando Orione tramonta, in questo modo il letale aracnide non potrà mai più insidiare il cacciatore.

 

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venerdì 23 maggio 2008

Su Giove è apparsa una nuova "macchia rossa" (immagine)

Il pianeta Giove non è conosciuto solo per essere il più grande del Sistema Solare, ma anche per la famosa "macchia rossa". La macchia rossa di Giove è un'immenso vortice atmosferico, una sorta di uragano, che dura da almeno 300 anni. Infatti fu osservata per la prima volta dall'astronomo Cassini nel 1665. Il colore rosso potrebbe essere dovuto al metano che, secondo alcune simulazioni al computer dell'atmosfera di Giove, emergerebbe dagli strati più profondi del pianeta. La macchia rossa non è stata sempre uguale in questi secoli: è variata in dimensioni e anche nel colore, infatti spesso ha assunto tonalità che andavano dal rosato fino al bianco. Negli ultimi anni si è tornati ad un colore rosso più vivo. In ogni caso le dimensioni di questo vortice perenne sono davvero ragguardevoli: potrebbe contenere al suo interno ben due pianeti grandi quanto la Terra.

La novità

Nella primavera del 2006 apparve, vicino alla macchia rossa, una macchia rossa più piccola, che gli astronomi battezzarono red spot junior. La cosa più incredibile è che il 9 maggio del 2008 è apparsa un'altra macchia rossa, ancora più piccola (come si vede nella foto presentata) che si va ad aggiungere alle altre due preesistenti. Adesso l'aspetto di Giove è ancora più spettacolare che nel passato, viste tutte queste nuove strutture atmosferiche.

Una nota per coloro che non hanno mai osservato un pianeta al telescopio e lo vorrebbero fare. La grande macchia rossa è visibile anche in telescopi molto piccoli facilmente a disposizione di molti appassionati.

 

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Una memoria da i 1 Gigabyte di 20 anni fa confrontata con una attuale (immagine)

Direi che c'è una gran bella differenza!

 

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