A partire dal 1889 l’unità di misura della distanza è stata assunta come la distanza tra due sottili incisioni fatte su una barra di platino-iridio conservata presso il Bureau International des Poids et Mesures a Sèvres, presso Parigi. Questo fu, per quasi un secolo, il “metro campione”.
Nel 1983 fu deciso a livello internazionale che il campione di distanza non poteva essere riprodotto con accuratezza sufficiente e si decise di utilizzare un fenomeno molto più stabile e preciso: la costanza della velocità della luce.
All’inizio del XX secolo fu scoperto da Albert Einstein (1879 – 1955) che nessun corpo materiale può muoversi con velocità maggiore di quella della luce. Essa è la velocità limite e quindi insuperabile. Inoltre ha lo stesso valore per tutti gli osservatori. Per esempio se due osservatori, uno sulla Terra e l’altro su un’astronave che si allontana rapidamente, misurano la velocità di un lampo di luce, ottengono lo stesso valore.
La velocità di un lampo di luce nel vuoto (che si indica con il simbolo c) è stata misurata con metodi molto accurati; il risultato è:
c = 299.792.458 m/s.
cioè circa 300.000.000 di metri al secondo.
Proprio per questa proprietà di costanza della velocità della luce nel 1983 fu deciso di cambiare la definizione di metro (m) campione, che da allora è definito come la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un 299.792.458-esimo di secondo.
La foto della sbarra originale di Platino-Iridio conservata a Sèvres. |
Così facendo, un metro risulta ancora eguale, entro i piccolissimi ma inevitabili errori di misura, alla distanza tra le due tacche del metro platino-iridio conservato a Sèvres; ma non cambierà più man mano che i metodi di misura diverranno sempre più precisi, perché è legato, una volta per tutte, alla velocità della luce.
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