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Il domatore e il premio Nobel

 

La forza e il prestigio di un leader, il rispetto che egli suscita, sono sempre in funzione dell’ambiente in cui si esprime, dell’eco-sistema che gli consente (oppure no) di essere un “dominante”.

Per esempio un domatore è “forte” nella gabbia di un circo, ma “debole” nell’aula di un Parlamento. Analogamente un “premio Nobel” per la Fisica è “forte” in un anfiteatro universitario, ma sarebbe subito fatto a polpette nella gabbia di un circo.

Ognuno, cioè, è un individuo “alfa” nel suo recinto: difficilmente può diventarlo in quello altrui (perché cambia l’eco-sistema). Il tipo di rapporto gerarchico, in sostanza, dipende dalla qualità di “animali” che si trovano nell’arena. Un domatore che volesse usare la frusta in Parlamento verrebbe subito arrestato; analogamente, un parlamentare che pronunciasse un discorso sui diritti dell’uomo (o del leone) in una gabbia di leoni, verrebbe rapidamente sbranato.

In una gabbia il rispetto lo si ottiene sia bastonando, sia facendo vedere il bastone del potere, cioè il simbolo della propria forza.

Se il leone non vede questi simboli (pacificanti) dell’”autoritarismo”, perde rispetto, e può diventare veramente aggressivo quando gli si chiede di fare un certo esercizio.

Le stesse regole valgono per avanzare nel rango gerarchico. Racconta Jane Goodall, una studiosa che ha osservato per oltre 8 anni la vita degli scimpanzè in piena libertà, in una foresta centro-africana, che uno di questi scimpanzè riuscì un giorno a migliorare il proprio rango nel gruppo incutendo rispetto negli altri con i forti rumori che aveva imparato a produrre battendo con un bastone su una latta di petrolio.

Una foto di Jane Goodall con uno degli scimpanzè oggetto dei suoi studi.

Anche noi battiamo i pugni sul tavolo, o alziamo la voce quando vogliamo farci rispettare. Il “rumore”, come lo sfarzo, è un simbolo esterno di forza. E può incutere non solo rispetto, ma anche ammirazione.

L’arrivo dei potenti, un tempo (ma anche oggi, in fondo n.d.R.), era preceduto da trombe e tamburi, e così gli attacchi militari. Nei concerti di jazz il pubblico più sprovveduto è quello che applaude gli assoli di batteria, nei comizi quello che applaude le intemperanze vocali dell’oratore.

Facite ‘a faccia feroce,” consiglia un vecchio detto napoletano. Ed è vero. Quando non si è culturalmente educati ad apprezzare certi valori “interni”, non visibili, i simboli del prestigio e della forza diventano allora quello “esterni”, cioè l’apparenza, la facciata, la faccia.

Per questo in una popolazione arretrata, l’autoritarismo incute rispetto, la solennità suscita ossequio, il linguaggio aulico provoca ammirazione, mentre la semlicità, la tolleranza, la cortesia vengono scambiate per debolezza, e in definitiva vengono “sbranate”.

Mi viene in mente, in proposito, un episodio molto significativo che mi raccontava un amico: quando Ferruccio Parri, uomo di grande civiltà e democrazia, diventò Presidente del Consiglio nel dopoguerra e si installò a Palazzo Chigi, si comportò con grande semplicità con tutti, anche con gli uscieri.

Ferruccio Parri

Questo suo modo di comportarsi non suscitò apprezzamento, ma quasi delusione: la sua mancanza di autoritarismo veniva scambiata per mancanza di autorità. Lo soprannominarono “Giaccacorta”.

Quando si è abituati ad altre giacche, evidentemente è l’abito che fa il monaco, è l’ermellino che fa il potente; tutto il prestigio morale e intellettuale di un individuo non valgono un’occhiataccia e un pugno sul tavolo di un autocrate qualunque.

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[Bibliografia: “La vasca di Archimede”, 1975, Piero Angela, ed. I Garzanti]

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