Presso gli antichi la Luna fu identificata con divinità. femminili con attributi antitetici: dea dell'amore e della morte, creatrice e distruttrice, Selene ed Ecate, Eva e Maria.
L' uomo è arrivato a toccare la Luna, ad asportarne frammenti da sottoporre ad analisi chimiche, e ora, a quanto pare, si sta anche progettando di installare su di essa una stazione abitabile.
La vergine è stata violentata, e presto verrà anche contagiata dal nostro inquinamento. Denudandola del suo velo di mistero, la scienza ha così distrutto nella coscienza collettiva dell'umanità anche le ultime tracce di un mito ancestrale, che con il suo messaggio placava l'ansia psicologica di trovare una spiegazione del conturbante problema — come lo definisce Carl Gustav Jung — della bipolarità dell'essere, cioè del maschile e del femminile: il cielo e la terra, l'uomo e la donna, l'amore e la morte.
La Luna, infatti, per la mutabilità del suo aspetto durante le fasi del ciclo mensile, ora tenue e pallida, ora prodiga di luce, ora invisibile, ora in eclisse, quando si nasconde dietro l'ombra della Terra, come se fosse corrucciata con gli uomini, rappresenta l'archetipo di quelle caratteristiche contrastanti, che si sogliono attribuire alle donne: la purezza di una vergine e il fascino di una femmina sensuale, la fedeltà e l'incostanza, la tenerezza e la crudeltà, la protezione e l'inganno, la creatività materna e la distruzione, ed anche l'intuito e la fantasia, opposti all'arida razionalità del maschio. Naturalmente, solo oggi la psicologia è in grado di svelare il complesso di desiderio e di paura per la donna, che l'uomo proietta inconsciamente nella Luna. Ma la formazione di questo complesso è stata certamente lenta e graduale, e l'uomo l'ha avvertito solo quando la sua mente ha imparato a percepire i primi concetti astratti.
Nei tempi più antichi, la Luna era unicamente considerata una potenza celeste, e spesso era anche indicata con nomi maschili. Ma la sua ambiguità dovette già colpire l'immaginazione degli uomini, fin da quando, col procedere di un periodo di glaciazione, da raccoglitori di erbe e di radici divennero carnivori e cacciatori. La Luna, che con la sua luce favoriva la scoperta delle tane degli animali, nelle notti oscure celava insidie mortali. Allora, per l'istintiva tendenza umana a spiegare ogni fenomeno per mezzo di analogie e coincidenze con il mondo dell'esperienza quotidiana, si cominciò — come dimostrano le credenze di popoli primitivi ancora oggi esistenti — a confrontare la Luna con gli animali stessi. Giaguari e linci furono simboli lunari totemici a causa della loro pelle maculata, i bovini per le corna arcuate, come la Luna crescente e decrescente, i lupi, perché con il loro ululato chiamano la Luna, e, per coincidenza, essa appare in cielo. Così, per analogia, la lumaca che si nasconde nella sua conchiglia, la rana che si gonfia e poi scompare nel limo, il serpente che striscia obliquamente e — lo conferma anche Aristotele — ha tanti anelli quanti sono i giorni del mese lunare. Gli Aztechi chiamavano la Luna col nome Coatlicue ("colei che ha veste di serpente"). Il serpente è anche un simbolo fallico, e riapparirà in leggende successive, allorché alla Luna saranno attribuiti poteri d'influsso sulla vita e sulla procreazione, per significare il suo eccezionale intervento diretto sulla nascita di personaggi illustri, come Alessandro Magno, Arato di Sicione, l'imperatore Augusto. Ma già il re babilonese Hammurabi (1700 a.C.) si faceva chiamare "figlio della Luna", ed è noto che gli Ebrei consacravano i loro re (i messia) nel plenilunio del mese di Nisan.
Allora era già avvenuta l'identificazione della Luna con la donna, e la sua variabile valenza accomunò i miti di popoli diversi come appagamento o rimozione di istinti sessuali. La tradizione orale ebraica, raccolta nei midrash di dotti rabbini, conserva il ricordo, accanto alla leggendaria Eva delle origini bibliche, anche di una precedente femmina, posseduta carnalmente da Adamo, poi subito scomparsa, lasciandogli il rimpianto, ma anche l'amarezza, di una voluttà peccaminosa. L'antropologia pensa che il mito rifletta la reminiscenza di un arcaico periodo in cui l'uomo si accoppiava con gli animali. Comunque, la femmina aveva nome Lilith o Lilitu, che contiene la radice lil, componente del nome di diverse divinità mesopotamiche, adorate anche dai primitivi Ebrei, e di layl, che significa "notte", e infatti gli Assiri rappresentavano Lilith circondata da animali notturni, con l'appellativo di "Luna nera", mentre la Luna nel suo aspetto benefico era detta Inanna. Nel medioevo, la persistenza di culti lunari nelle campagne indurrà i predicatori cristiani a immaginare Lilith un dèmone infernale, protettore delle streghe.
Anche la Luna dell'antichissimo Egitto aveva un doppio nome: Hathor-Tefnut, nel primo caso (la luna piena) rappresentata come una seducente fanciulla, nel secondo (la luna nuova) come un leone: contrapposizione dialettica di amore e paura.
La duplice natura, benefica e malefica, della Luna si ritrova in altre religioni. Tra le più antiche è senz'altro Ishtar, adorata dai Sumeri già nel 3000 a.C., e passata ai Fenici, ai Cananei e ai Siriani col nome di Ashtart, e anche, col nome di Sin, agli Arabi nomadi, che le celebravano riti sul monte Sinai, lo stesso sul quale, secondo la tradizione biblica, Jahve apparve a Mosè. Nel libro di Geremia, assegnato al VII secolo a.C., si legge ancora una deprecazione per l'usanza delle donne ebraiche di offrire focacce alla "regina del cielo" (Geremia, VII 18).
A Ishtar è dedicato un inno sumerico, di recente ricostruito, in cui se ne conferma l'ambivalenza: "...Quando sto in cielo la sera/ io sono alta luce del cielo/ quando sto nel folto di una mischia/ io sono il cuore dello scontro/ quando marcio nelle retrovie/ sono la distruzione che assalta maligna/ quando mi siedo alla porta della taverna/ io sono la cortigiana che conosce l'amore-. Le sue sacerdotesse erano "le meretrici sacre". La Tanit cartaginese, derivata dall'Astarte fenicia, era sempre raffigurata in un'immagine femminile stilizzata in mezzo a punti luminosi di stelle.
Fu certamente nei periodi della pastorizia e dell'agricoltura che l'uomo scoprì i legami tra il ciclo lunare e il ciclo vitale delle piante, degli animali e di se stesso. La Luna divenne significante nell'esperienza quotidiana non solo per gli aspetti visibili che essa presenta, ma soprattutto per gli effetti che le si attribuiscono sulla caduta della pioggia, sulle semine, sulla fecondazione del bestiame, sulle mestruazioni femminili, sulla durata della gestazione, ecc. Fu allora che essa venne considerata Grande Madre della natura.
Molti miti, anche di oggi, denunciano il passaggio. Nelle Molucche, ad esempio, si racconta come avvenne che il cacciatore Ameta scoprì nel grugno di un cinghiale una noce di cocco — ancora sconosciuta all'umanità — e in sogno gli fu ordinato di nasconderla sotto terra. Dalla palma che crebbe, dopo sette giorni, uscì una bella fanciulla, alla quale Ameta diede il nome di Hainuwele. Ma, trascorsi altri sette giorni, durante una festa tribale, i suoi compagni, per invidia, uccisero la fanciulla, che Ameta, afflitto, seppellì. Quella notte ella apparve in cielo, trasformata in Luna. In Rhodesia, quando c'era siccità, si usava seppellire una vergine ai piedi di un albero, e si aspettava che essa, salendo fino alla Luna, facesse scaturire la pioggia. Nell'inno avestico Yest VII, la Luna è invocata come "essere divino, che spande la pioggia e la luce e che contiene il germe dei vegetali e degli animali". Il germe è il soma, che è anche il nome della pioggia, e il rito di propiziazione consisteva nel ripetere per analogia il ciclo, pestando i germogli di una pianta apposita: il rumore dei pestelli imitava il tuono, il gocciolio del succo la pioggia; poi il soma, corrispondente allo sperma maschile, veniva mescolato al latte, elemento femminile. Anche in altre culture il rapporto donna/pioggia/Luna si riscontra nei riti, con poche varianti. In Australia, come in Sudafrica e in certi paesi europei, per esempio la Serbia, si evoca la pioggia facendo correre ragazze nude nelle sere di luna piena, o facendole stendere a terra, coperte di erbe e di fiori.
Ma permane, tuttavia, accanto a questa interpretazione benefica della Luna, il complesso della Luna nera. Ancora oggi, in Islanda e in altri luoghi, le donne incinte evitano di guardarla, per timore che i figli nascano "lunatici". Si fa carico alla Luna anche della forma di isterismo, detta "licantropia", che fa emettere ai malati grida animalesche, e i "lupi mannari", temuti e perseguitati nel Medioevo come indemoniati, hanno il loro corrispondente in Asia e in Africa negli "uomini tigre". Eppure c'è chi sostiene la realtà scientifica di questi fenomeni! Il professore di psichiatria all'Università di Miami, Florida, Arnold L. Lieber, nel suo The lunar effect (1978) porta testimonianze circa l'influenza perturbatrice dei pleniluni sui malati di mente e sul normale aumento, in quei periodi, di violenze e di delitti sessuali. Anche lo psicologo Sandor Ferenczi (1968) riconosce un nesso tra gli impulsi sessuali aggressivi e la periodicità della luna. Se ciò è vero, si può forse supporre un ancestrale ricorrere dell'identificazione psicologica della Luna con la donna e la madre, collegata con il noto complesso di Edipo.
Per molti popoli primitivi, la Luna è addirittura la sede dei morti. Persino tra i cristiani sono sopravvissute superstizioni popolari di questo genere, come quella ricordata da Dante nel II canto del Paradiso, che vede nelle macchie lunari l'effige di Caino, là relegato e costretto a portare in spalla un fascio di spine, o quella ungherese che vi vede invece il cantore dei Salmi, Davide, confinato sulla Luna per il suo adulterio con Betsabea.
Naturalmente, l'osservazione del ricorrente ciclo lunare, con il suo costante risorgere in cielo ogni 27-28 giorni, non ha tardato a suggerire la confortante analogia anche di una propria rinascita all'uomo, restio ad accettare la verità che anch'egli come qualunque altro essere vivente, animale o vegetale, sia destinato, dopo la morte, a integrarsi nella materia. Forse solo gli Yamana, della Terra del Fuoco, interpretano la sopravvivenza, con encomiabile saggezza, come continuità della specie: la loro Luna, di nome Hanuxa, è una donna, sottile e magra, che ingrossa perché incinta, e poi muore partorendo, e appare in cielo la figlia, e il ciclo si ripete.
Nella nostra cultura, a partire dal tardo paganesimo greco-latino, il ciclo vita-morte-rinascita fu visto invece in analogia al ciclo stagionale del Sole. Ma la Luna vi ebbe ancora un ruolo importante. I Greci, che intorno al 1000 a.C. avevano accolto la Astarte orientale quale pótnia thérón (signora degli animali selvatici), poi trasformata in Madre della natura, con abbondanti attributi di fertilità (oggi impropriamente detta Diana di Efeso) e la Cibele della Frigia, assimilata a Demetra (dea-madre), più tardi, dimostrando una profonda intuizione della psiche umana, seppero mutare le deità naturali in simboli astratti. La Luna, col nome di Selene (la luminosa), accanto ad Afrodite, dea dell'amore sensuale, divenne simbolo dell'amore fecondo, associata come era nel mito al pastore Endimione, a cui diede cinquanta figlie (le stelle); col nome di Artemide, sorella di Apollo (il Sole), non solo ereditò tutte le caratteristiche delle dee lunari orientali, come protettrice degli animali, dei cacciatori, della vegetazione, dei parti, ma divenne spiritualmente anche la proiezione del concetto di innocenza, di purezza, di castità; col nome di Ecate (la saettatrice) era simile alla Luna nera, che oscurandosi porta i viandanti fuori strada e corre invisibile, seguita da cani latranti, ma era anche la regina dell'oltretomba, che accoglie e protegge i morti nel regno sotterraneo.
Nella figura triforme della Luna greca erano quindi racchiusi i tre momenti essenziali: nascita, vita, morte. Nella religione romana mutarono soltanto i nomi. Diana, da Diva Jana, all'origine "signora dei monti, delle verdi selve e dei fiumi risonanti", come la cantò Catullo, assimilata a Selene, come donatrice di fecondità; con l'attributo di Lucina (che porta la luce), da cui, per sincope, il nome Luna, e assimilata ad Artemide, come dea dei cacciatori; col nome Trivia si connotava con caratteristiche simili a quelle di Ecate.
Ma la profonda speculazione filosofica e religiosa della Grecia nei secoli VI e V a.C., postulando nell'uomo l'esistenza di un'anima, separabile dal corpo, modificò il concetto dei filosofi naturalisti di "rinascita" come reintegrazione nella materia, in quello di "risurrezione" autonoma delle anime, con il loro "ritorno" sugli astri (Platone). I riti agrari (dionisiaci, eleusini, ecc.), ancora fiorenti nel V secolo, divennero riti misterici, che ipotizzavano l'intervento di una divinità salvifica a sollevare le anime in un mondo spirituale di pace e di serenità. Di qui attinse il cristianesimo l'idea platonica di un "ritorno" delle anime nel regno dei cieli; ma per tutta la dinamica del mito di risurrezione si ispirò particolarmente al culto misterico di Iside ed Osiride, che era stato di recente importato in Grecia dall'Egitto. Osiride, divenuto Serapide fin dai tempi di Tolomeo I (366-283 a.C.), come dio universale della vita umana, animale e vegetale, ucciso e smembrato dal fratello Seth dio delle tenebre e della morte (con evidente allusione alla venuta distruttrice dell'inverno e alla morte), veniva ricomposto e risuscitato da Iside, sua sposa, e madre di Horus (il Sole nascente), che, come attesta.Plutarco, era originariamente essa pure una dea lunare, e ora compariva in funzione di mediatrice tra la morte e la risurrezione.
È straordinaria la somiglianza del mito cristiano, che attribuisce a Maria Vergine le stesse caratteristiche e le stesse funzioni di Iside: identica figura fisica dell'iconografia ellenistica, con l'aureola di stelle in capo, il piede che schiaccia il serpente del dio delle tenebre, anch'essa collegata col dio che muore e risorge (e — si noti — proprio nel giorno di Pasqua, il plenilunio del mese Nisan), madre e sposa, anche essa mediatrice presso il Dio universale, per la rinascita eterna dell'uomo. Invece Eva, la Grande Madre dell'ebraismo è stata degradata al ruolo negativo della Luna nera, seduttrice e tentatrice al peccato, causa della morte dell'umanità.
[Bibliografia: l'astronomia (rivista), numero 55, maggio 1986]
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