domenica 8 giugno 2008

Galileo Galilei

Questo profilo biografico di Galileo Galilei è tratto dall'opera Storia del pensiero filosofico e scientifico, curata da Ludovico Geymonat.

Galileo Galilei nacque a Pisa il 5 febbraio 1564 da antica famiglia fiorentina, appartenente alla buona borghesia.

Immatricolato, nel 1581, all'università di Pisa come studente di medicina, si dimostrò assai poco interessato a questa scienza e cominciò ben presto a coltivare, in luogo di essa, la matematica studiandola con molto impegno - sotto la direzione di un amico del padre, Ostilio Ricci, già discepolo di Nicolò Tartaglia - sulle grandi opere dei greci, in particolare di Euclide e di Archimede. Né soltanto alla matematica teorica rivolse le sue cure; dimostrò al contrario, fin da quegli anni, una grande propensione per la matematica applicata, la tecnica, e in genere l'osservazione dei fatti empirici. Basti ricordare, a conferma di ciò, la celebre scoperta dell'isocronismo delle oscillazioni del pendolo, da lui compiuta nel 1583. Dell'isocronismo continuerà a occuparsi per tutta la vita, cercando di dimostrarlo per via matematica.

Mentre per la matematica, pressoché trascurata all'università di Pisa, aveva dovuto cercarsi un maestro nell'ambiente di Firenze, non altrettanto accadde per la fisica. Questa veniva infatti insegnata in tale università da un dono professore di formazione aristotelica, Francesco Bonamico; Galileo ne seguì i corsi e ne subì per qualche tempo una certa influenza [...]. Dal Bonamico apprese la cosmologia generale di Aristotele e la centralità del problema del moto per tutta la scienza fisica.

Ritornato a Firenze nel 1585, trascorse quattro anni in famiglia, cercando di arricchire le proprie conoscenze nei campi più diversi - matematico, filosofico, letterario - in fecondo contatto con il vivace ambiente culturale frequentato dal padre. [...]

Finalmente nel 1589 riuscì a ottenere, per l'appoggio di alcuni illustri scienziati dell'epoca che avevano appreso ad apprezzare il suo vivace ingegno (in particolare del matematico Guidobaldo del Monte), un posto di lettore di matematica presso l'università di Pisa. Così poté ritornare, come professore, in questa gloriosa università, che quattro anni prima aveva dovuto abbandonare senza avervi concluso alcun ciclo di studi. [...]

Nel 1592 riuscì a migliorare notevolmente la propria situazione, ottenendo la nomina a professore di matematica presso l'università di Padova. [...]. I diciotto anni trascorsi da Galileo a Padova (1592-1610) furono senza dubbio i migliori della sua vita, sia a causa della grande libertà di pensiero di cui poté godere - come del resto tutti i docenti di quell'università - per la garanzia fornita dalla protezione della repubblica di Venezia [...], sia a causa del pieno vigore delle sue energie fisiche e mentali che gli permisero di dedicarsi con tenacia ed entusiasmo alle più difficili ricerche scientifiche, senza rinunciare perciò alle gioie della vita. In questo periodo Galileo convisse, pur senza giungere a regolari nozze, con Marina Gamba da cui ebbe due figlie e un figlio, verso i quali nutrì sempre il più grande affetto. Tra i molti amici veneziani di Galileo ricordiamo, in particolare, il gentiluomo Gianfrancesco Sagredo (immortalato nei dialoghi galileiani) e Paolo Sarpi. [...]

A questi anni risalgono pure le prime dichiarazioni di Galileo a favore del sistema copernicano; esse sono contenute in due lettere private del 1597, una diretta a Iacopo Mazzoni, professore di filosofia all'università di Pisa, l'altra a Keplero. Anche le famose ricerche sulla caduta dei gravi, e la formulazione delle leggi ad essa relative, vennero in gran parte compiute in questo periodo, come è testimoniato da parecchie lettere private di Galileo datate appunto dai primi anni del Seicento; tali leggi verranno in seguito da lui rielaborate e precisate, formando uno dei principali argomenti esposti nei Discorsi intorno a due nuove scienze del 1638.

Al 1609 risale infine la scoperta del cannocchiale, indubbiamente suggerita a Galileo dalla notizia che strumenti del genere stavano diffondendosi nei Paesi Bassi e in Francia. Questa circostanza non diminuisce affatto i meriti del nostro autore, che vanno riferiti non tanto alla priorità dell'invenzione (è certo, del resto, che il telescopio di Galileo riuscì assai più potente degli altri), quanto al fatto che egli fu indubbiamente il primo ad attribuire al cannocchiale un effettivo valore scientifico. Ricordiamo che vetri a forma di lenti erano noti da molto tempo agli artigiani occhialai e da essi usati per la correzione dei difetti della vista, ma fino a Galileo tutti i rappresentanti della scienza ufficiale li avevano sempre guardati con sdegnoso disprezzo. Galileo invece ebbe il coraggio e l'intelligenza di servirsene per le proprie ricerche astronomiche, combinandoli con perizia sì da ottenere una potenza di ingrandimento per quei tempi veramente notevole.

Puntato il suo telescopio al cielo, Galileo ebbe la fortuna e la gioia di scoprirvi nuovi meravigliosi fenomeni, dei quali capì subito l'eccezionale importanza: i quattro satelliti di Giove (da lui chiamati “medicei” in onore del granduca di Toscana), le macchie della luna, le fasi di Venere. Fra tutto un mondo nuovo che per la prima volta giungeva a conoscenza degli uomini; Galileo diede la grande notizia nel Sidereus nuncius (Avviso astronomico), pubblicato a Venezia il 12 marzo 1610.

Il carattere delle scoperte galileiane doveva, evidentemente, suscitare ostilità e diffidenza fra i pensatori più ligi alla tradizione. In breve volgere di tempo ne sorse infatti un'aspra polemica, nella quale gli avversari di Galileo fecero ricorso contro di lui ad ogni sorta di armi: dall'accusa di aver semplicemente riprodotto un apparecchio già costruito da altri, a quella di avere cercato in cielo le cause di luci e macchie che erano semplicemente dovute alla struttura difettosa delle lenti (è un fatto, che queste erano allora assai difettose, e producevano immagini ben lontane dalla chiarezza di quelle prodotte dai telescopi moderni). In breve, però, Galileo riuscì a sbaragliare gli avversari e ad ottenere il riconoscimento delle proprie scoperte da parte dei più autorevoli scienziati dell'epoca, prima di tutti da Keplero, e in seguito anche dai potentissimi astronomi e filosofi della compagnia di Gesù.

Le grandi scoperte comunicate nel Sidereus nuncius accrebbero enormemente la sua fama e gli procurarono l'offerta di un magnifico posto da parte di Cosimo II de' Medici: il posto, cioè, di “matematico straordinario dello studio di Pisa” senza obbligo di lezioni, e di “filosofo del serenissimo granduca”.

Galileo accettò, pur senza nascondersi la gravità del passo, che lo obbligava a trasferirsi dalla libera repubblica di Venezia in una città ove la potenza dell'inquisizione era enormemente maggiore.

I primi anni del periodo fiorentino fiorirono molto intensi per l'attività scientifica di Galileo [...]. Il nostro autore, rafforzato dalle proprie scoperte in campo astronomico e in meccanica, non ha più dubbi sulla verità del sistema copenicano, e sulla rivoluzione che esso comporta in tutta la vecchia concezione del mondo. Proprio in quegli anni, però, incominciano a diffondersi le prime accuse di eresia contro il copernicanesimo galileiano: l'accusa è pubblicamente lanciata nel 1612 da un padre domenicano, Nicolò Lorini, e verrà ripetuta due anni più tardi da un altro domenicano, Tommaso Caccini. Galileo decide subito li intervenire contro queste voci minacciose, e scrive n proposito le famose lettere copernicane, che pur essendo inviate a privati vengono fatte appositamente circolare fra numerosi amici e conoscenti.

Esse affrontano il problema dei rapporti fra scienza e fede sotto aspetti differenti: la prima sulla base della diversità fra il linguaggio scientifico e quello biblico, la seconda e la terza con esplicito riferimento all'opera di Copernico, la quarta con argomentazioni fondate sull'interpretazione del testo biblico.

Alcuni potenti amici di Galileo, assai vicini al sommo pontefice, lo avevano avvertito che le massime gerarchie ecclesiastiche si stavano orientando contro il copernicanesimo. Malgrado i loro consigli a trattare l'argomento con la dovuta cautela, egli volle affrontarlo con la massima decisione. Donde derivava questa sua imprudenza?

Per comprenderne l'effettivo significato, dobbiamo tenere conto di tre circostanze: 1) Galileo era assolutamente certo della verità fisica del sistema eliocentrico e non era quindi disposto a considerarlo quale pura ipotesi matematica (come veniva suggerito dal potente cardinale Bellarmino); 2) non era filosoficamente disposto ad ammettere, come gli aristotelici padovani, la coesistenza di verità tra loro antitetiche; 3) ancor meno era disposto a considerare (come i libertini) la religione quale puro e semplice complesso di regole pratiche, inventate per dominare i popoli e ingannare gli ingenui. Al contrario, egli era convinto della possibilità di dimostrare che i testi sacri non contengono -sebbene interpretati - alcuna affermazione in reale antitesi con la verità copernicana.

Questo stato di cose non basta, però, a spiegare perché mai egli non si sia accontentato - come gli consigliavano gli amici - di tenere per sé la propria convinzione, analogamente a ciò che facevano altri scienziati dell'epoca, discorrendone tutt'al più in una ristretta cerchia di conoscenti, senza discuterne in pubblico e senza sfidare quasi apertamente le ire degli inquisitori romani. E evidente che a decidere l'atteggiamento di Galileo intervennero altri fattori.

Da un lato i successi organizzativi della controriforma dovevano averlo convinto dell'enorme peso dell'organizzazione cattolica nel campo culturale e della necessità di impedire che questa organizzazione si ponesse erroneamente contro la scienza. Dall'altro, il riconoscimento ottenuto da parte delle autorità ecclesiastiche più elevate - delle proprie scoperte astronomiche (esistenza dei satelliti di Giove, ecc.) doveva avergli fatto sperare che un riconoscimento analogo sarebbe stato ottenibile anche per altri risultati scientifici. Infine, la coscienza della propria grande autorità in campo scientifico, ormai universalmente riconosciuta, doveva fargli sentire l'imprescindibile dovere di esporre le ragioni della scienza nella grande controversia.

Ecco dunque delinearsi, nell'animo di Galileo, l'ambizioso programma di evitare l'irrigidimento della chiesa in una posizione scientificamente sbagliata. Bisognava, evidentemente, non fermarsi alle prime difficoltà sollevate in buona o mala fede dagli inquisitori, persistere con cautela nell'opera di chiarificazione, appoggiarsi agli uomini di niente più aperta esistenti anche nelle maggiori gerarchie della chiesa. Alla fine - pensava Galileo - la forza delle argomentazioni avrebbe ottenuto il sopravvento, e la scienza avrebbe trovato nella potenza della chiesa, non un ostacolo, ma un appoggio al proprio sviluppo. [...]

Nel 1619 comparvero in cielo tre comete, e questo fatto straordinario accese le discussioni sulla loro natura. Nel 1619 il padre gesuita Orazio Grassi pubblicò sull'argomento un'opera in cui riprendeva e sosteneva l'interpretazione di Tycho Brahe. Galileo volle approfittarne per entrare in polemica con lui; egli era convinto che la colpa dell'atteggiamento anticopernicano assunto dalla chiesa risalisse sostanzialmente al potente ordine ed ora intendeva gettare il discredito scientifico su tutti i gesuiti. Così nacque Il saggiatore, pubblicato nel 1623. L'interpretazione del fenomeno delle comete ivi proposta da Galileo era sbagliata (essa riprendeva una vecchia tesi della fisica aristotelica), ma lo spirito innovatore che pervade tutto lo scritto, la chiarezza della visione metodologica, l'acume delle argomentazioni ne fanno ciò malgrado un vero capolavoro.

Nel medesimo anno l'elezione alla cattedra di Pietro del cardinale Barberini (Urbano VIII) fece sorgere nello scienziato pisano nuove speranze, sembrandogli naturale che un uomo di mente così aperta come il Barberini, a cui egli era legato da una certa dimestichezza, avrebbe appoggiato il suo sforzo per far uscire la chiesa dalla posizione reazionaria che i gesuiti le avevano fatto assumere.

Ripreso l'antico programma, Galileo si decise pertanto a condurre a termine una grande opera, diretta a porre a confronto gli argomenti scientifici a sostegno delle due tesi contrastanti, geocentrica ed eliocentrica. Per dare alla trattazione un'apparenza di neutralità, scelse la forma dialogica, immaginando che un aristotelico (Simplicio) e un copernicano (Salviati) fossero stati invitati ad esporre ciascuno la propria concezione, da un terzo interlocutore (Sagredo) non desideroso di altro che di conoscere a fondo i termini esatti della grande controversia. Ottenuta, con questo stratagemma, l'autorizzazione ecclesiastica, il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo poté uscire nel 1632.

Ma i gesuiti attendevano al varco il loro avversario e subito scatenarono contro di lui la più dura battaglia. Allo scienziato vecchio e malaticcio venne ingiunto di recarsi a Roma per comparire dinanzi al tribunale del sant'uffizio. Invano egli cercò di difendere, con ogni mezzo, la propria posizione; invano cercò di evitare che la chiesa pronunciasse una sentenza, che avrebbe pesato per secoli e secoli contro di lei. I suoi avversari sostenevano con accanimento che il libro era “esecrando e più pernitioso per la chiesa delle Scritture di Lutero e di Galvino”. Galileo fu processato, riconosciuto colpevole e costretto ad abiurare. Fu inoltre condannato alla prigione a vita, immediatamente tramutata in isolamento dal mondo, prima a Siena (nell'abitazione dell'arcivescovo della città, suo amico), e poi nella propria villa di Arcetri.

La vittoria dei gesuiti non poteva essere più netta; essa segnò la fine del programma, tenacemente coltivato da Galileo per anni e anni, di indurre la chiesa a riconoscere la libertà della scienza. Ai futuri scienziati cattolici non restava ormai altra via, che quella di evitare con la più scrupolosa cautela qualunque dibattito con l'autorità ecclesiastica. Il fallimento del proprio programma gettò nell'animo di Galileo una profonda amarezza, che non lo abbandonò più fino alla morte. [...]

Col trascorrere del tempo, i divieti dell'inquisizione vennero a poco a poco attenuati. Galileo ottenne il permesso di scendere qualche volta da Arcetri a Firenze, e poté anche ricevere la visita di qualche straniero (per es. di Hobbes nel 1636). Ma la salute peggiorava irrimediabilmente; soprattutto grave fu la perdita pressoché completa della vista. Malgrado tante disgrazie, egli trovò tuttavia la forza d'animo di proseguire con immutato acume scientifico le proprie ricerche, pubblicando nel 1638 (in Olanda, presso il celebre editore Lodewijk Elzevier) quella che è forse - dal punto di vista scientifico - la maggiore delle sue opere: Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze.

Anche quest'opera, come quella del 1632, presenta forma dialogica fra i medesimi interlocutori (Simplicio, Salviati, Sagredo) [...]. Essa si svolge in quattro giornate; una quinta e una sesta verranno pubblicate postume (nella sesta non comparirà più Simplicio, comparirà invece un nuovo interlocutore, Paolo Aproino, che fu discepolo e amico di Galileo). Le due nuove scienze di cui parla il titolo sono: la resistenza dei materiali e la dinamica. Particolare importanza hanno le giornate terza e quarta, dedicate a quest'ultima; esse riprendono argomenti già studiati da Galileo a Padova, approfondendoli notevolmente e dando loro una elevata forma matematica.

Da un punto di vista formale, i Discorsi non discutono più il sistema copernicano; in realtà, però, ne costituiscono un'ulteriore validissima difesa, in quanto eliminano definitivamente le obiezioni di carattere meccanico che gli avversari elevavano contro di esso. Gome ha scritto il Timpanaro, i Discorsi “non sono meno copernicani del Dialogo dei massimi sistemi. I teologi non li condannarono perché non li avevano capiti”.

Anche dopo il 1638 Galileo continuò a occuparsi attivamente di problemi scientifici, nei limiti concessigli dalla sua salute; coadiuvato, a partire dal 1639, da Vincenzo Viviani e negli ultimi mesi anche da Evangelista Torricelli. Si spense l'8 gennaio 1642.

[L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, voi. II: Il ‘500 e il '600, Garzanti, Milano 1970, pp. 189-203]

 

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