mercoledì 4 giugno 2008

Pitagora

Nel sesto secolo a.C., Pitagora di Samo fu una delle figure più autorevoli e misteriose della matematica. Poiché non esistono resoconti di prima mano della sua vita e della sua opera, la sua figura è avvolta nel mito e nella leggenda e ciò rende difficile per gli storici separare la realtà dall'immaginazione. Quello che sembra certo è che Pitagora sviluppò l'idea della logica numerica e fu responsabile della fioritura della prima età aurea della matematica. Grazie al suo genio i numeri non furono più usati semplicemente per contare e calcolare, ma furono apprezzati nel loro auten­tico valore. Egli studiò le proprietà di certi numeri particolari, i rapporti tra i numeri e gli schemi che essi formavano. Pitagora capì che i numeri esistono indipendentemente dal mondo sensibile e che perciò il loro studio non è soggetto alle imprecisioni della percezione. Questo significa che egli poté scoprire verità indipendenti dall'opinione e dal pregiudizio e che erano più assolute di ogni precedente conoscenza.

Pitagora acquisì le sue abilità matematiche viaggiando nel mondo allora conosciuto. Alcuni rac­conti vorrebbero farci credere che si fosse spinto sino all'india e alla Gran Bretagna, ma è certo soltanto che egli raccolse molte tecniche e strumenti matematici dagli egiziani e dai babilonesi. Questi due popoli antichi si erano spinti al di là del semplice conteggio empirico ed erano capaci di eseguire calcoli complessi che permisero loro di elaborare sofisticati sistemi di numerazione e di costruire complessi edifici. Essi vedevano nella matematica un semplice strumento per risolvere problemi pratici e certamente le motivazione che li mosse a scoprire alcune regole basilari della geometria fu di ricostruire i confini dei campi che si smarrivano a seguito dell'annuale piena del Nilo. La stessa parola geometria significa «misurazione della terra».

Dopo vent'anni di viaggi Pitagora aveva assimilato tutte le regole matematiche allora note nel mondo antico. Veleggiò alla volta di Samo, la sua isola, nel mare Egeo, con l'intenzione di fondarvi una scuola dedita allo studio della filosofia e che si occupasse particolarmente di ricerche sulle regole matematiche da poco acquisite. Egli sperava di trovare un folto numero di studenti amanti del libero pensiero che potessero aiutarlo a sviluppare una filosofia radicalmente nuova, ma durante la sua assenza dall'isola il tiranno Policrate aveva trasformato la città un tempo liberale in una società intollerante e conservatrice. Policrate invitò Pitagora a unirsi alla sua corte, ma il filosofo capì che era solo un tentativo per metterlo a tacere e perciò declinò l'invito.

Stabilì temporaneamente una scuola nota come il Semicerchio di Pitagora, ma le sue idee di riforma sociale erano inaccettabili e il filosofo fu costretto a fuggire dalla colonia con la madre e l'unico discepolo.

Pitagora parti alla volta dell'italia meridionale, parte della Magna Grecia, e si stabilì a Crotone dove ebbe la fortuna di trovare un patrono ideale in Milone, l'uomo più ricco della città e uno degli uomini più robusti che siano mai esistiti. La fama di Pitagora come sapiente di Samo si era già diffusa in tutta la Grecia, ma quella di Milone era ancora più grande. Era un uomo di dimensioni erculee, che era stato campione per dodici volte nei Giochi Olimpici e nei Giochi Pitici. Oltre all'atletismo, Milone apprezzava e praticava anche la filosofia e la matematica. Mise a disposizione una parte della propria casa e offrì a Pitagora stanze sufficienti per l'istituzione di una scuola. Avvenne così che la mente più creativa e il corpo più potente formarono un sodalizio.

Al sicuro nella sua nuova dimora, Pitagora fondò il Sodalizio pitagorico, un gruppo di seicento seguaci non soltanto in grado di capire i suoi insegnamenti, ma anche capaci di contribuire alla dottrina pitagorica elaborando nuove idee e nuove dimostrazioni.

Il Sodalizio pitagorico era una scuola egualitaria e comprendeva parecchie donne. L'allievo favorito di Pitagora era la figlia dello stesso Milone, la bellissima Teano e, nonostante la differenza d'età, essi finirono per sposarsi.

Subito dopo aver fondato il Sodalizio, Pitagora coniò la parola filosofo e, così facendo, definì gli scopi della scuola.

Mentre assisteva ai Giochi Olimpici, Leone, principe di Flio, chiese a Pitagora come si sarebbe definito. Pitagora rispose: «Io sono un filosofo», ma Leone non aveva mai sentito prima quella parola e gli chiese di spiegarsi.

«La vita, principe Leone, può essere ben a ragione paragonata a questi Giochi pubblici, perché nella vasta folla qui convenuta taluni sono attirati dal guadagno, altri sono mossi solo dalla speranza e dall'ambizione di ottenere la fama e la gloria. Ma tra costoro ve ne sono alcuni, che sono venuti qui per osservare e capire che cosa accade.

Nella vita avviene lo stesso. Alcuni sono influenzati dall'amore della ricchezza, mentre altri sono ciecamente condotti dal folle desiderio di potere e di dominio, ma l'uomo migliore si dedica a scoprire il significato e lo scopo della vita stessa. Egli cerca di scoprire i segreti della natura. E questo l'uomo che io chiamo filosofo perché, sebbene nessun uomo sia completamente saggio sotto ogni rispetto, egli può amare la sapienza in quanto chiave di accesso ai segreti della natura».

Anche se molti erano consapevoli delle aspirazioni di Pitagora, nessuno fuori del Sodalizio conosceva i dettagli o la misura del suo successo. Ogni membro della scuola era costretto a giurare di non rivelare mai all'esterno nessuna de le loro scoperte matematiche.

Ciò che si sa per certo è che Pitagora ha cambiato il corso della matematica. Il Sodalizio era effettivamente una comunità religiosa e uno degli idoli adorati era il Numero.

Pitagora comprese che i numeri erano celati in tutte le cose, dall'armonia musicale alle orbite dei pianeti, e ciò lo indusse a proclamare che «tutto è numero». Esplorando il significato della matematica Pitagora stava sviluppando il linguaggio che avrebbe consentito a lui e ad altri di descrivere la natura dell'universo. Da allora in poi ogni progresso matematico avrebbe dato agli scienziati il vocabolario di cui avevano bisogno per spiegare meglio i fenomeni circostanti. Infatti gli sviluppi nella matematica avrebbero ispirato le rivoluzioni scientifiche.

Di tutti i nessi fra i numeri e la natura scoperti dai pitagorici il più importante fu il rapporto che reca il nome del fondatore della scuola. Il teorema di Pitagora ci offre un'equazione valida per tutti i triangoli rettangoli e che perciò definisce anche lo stesso angolo retto. A sua volta l'angolo retto definisce la perpendicolare, ossia la relazione tra verticale e orizzontale e infine la relazione tra le tre dimensioni dell'universo a noi familiare. La matematica, attraverso l'angolo retto, definisce proprio la struttura dello spazio nel quale viviamo.

I pitagorici rafforzarono la matematica con la loro zelante ricerca della verità attraverso la dimostrazione. Si diffuse la notizia dei loro successi, ma i dettagli delle loro scoperte rimasero un se­greto accuratamente custodito. Molti chiesero di essere ammessi al santuario della conoscenza, ma solo gli intelletti più acuti vennero accolti. Un candidato respinto si chiamava Cilone. Cilone non accettò l'umiliazione di essere rifiutato e vent'anni dopo si vendicò.

Durante la sessantasettesima Olimpiade (510 a.C.) ci fu una rivolta nella vicina città di Sibari. Teli, il capo vittorioso dei ribelli iniziò una barbara persecuzione dei sostenitori del precedente governo, che indusse molti di loro a cercare rifugio a Crotone. Teli chiese che i traditori fossero rispediti a Sibari per scontare la pena dovuta, ma Milone e Pitagora persuasero i crotoniati a op­porsi al tiranno e a proteggere i rifugiati. Teli si infuriò e raccolse subito un esercito di trecentomila uomini per marciare su Crotone, dove Milone difendeva la città con centomila cittadini armati. Dopo settanta giorni di guerra, Milone, comandante supremo, guidò i crotoniati alla vittoria e per ritorsione essi deviarono il corso del fiume Crati verso la città di Sibari, per mondana e distruggerla.

Nonostante la fine della guerra, Crotone era ancora in tumulto a causa delle liti sulla spartizione del bottino di guerra. Temendo che la terra sarebbe stata assegnata all'élite pitagorica, il popolo crotoniate cominciò a rumoreggiare. Fra le masse serpeggiava già un crescente risentimento perché i pitagorici continuavano a mantenere segrete le loro scoperte, ma nulla accadde finché Cilone si fece avanti come portavoce del popolo. Cilone fece leva sulla paura, sulla frustrazione e sull'invidia della plebaglia e la guidò nell'opera di distruzione della più geniale scuola matematica che il mondo abbia mai conosciuto. La casa di Milone e la scuola adiacente furono circondate, tutte le porte furono sprangate per impedire la fuga e poi fu appiccato il fuoco. Milone riuscì a scappare dall'inferno e fuggì, ma Pitagora e molti suoi discepoli rimasero uccisi.

La matematica aveva il suo primo grande eroe, ma lo spirito pitagorico sopravvisse. I numeri e le loro verità erano immortali. Pitagora aveva dimostrato che la matematica, più di ogni altra disciplina, è una materia svincolata dalla soggettività di chi la pratica. I suoi discepoli non avevano bisogno del maestro per decidere della validità di una particolare teoria. La verità di una teoria era indipendente dall'opinione dei singoli. Al contrario, arbitra della verità era diventata la costruzione della logica matematica. Fu questo il massimo contributo pitagorico alla civiltà: un metodo di acquisire la verità che oltrepassa la fallibilità del giudizio umano.

(Bibliografia: S. Singh: L'ultimo teorema di Fermat. Rizzoli 1997)

 

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