L'apprendistato scolastico fu disastroso, riscattato dalla letteratura. Un vero e proprio somaro, che ha impiegato un anno intero per imparare la lettera 'a' e ha fatto la maturità a vent'anni passati. Il pessimo alunno è Daniel Pennac, l'autore della tetralogia di Belleville, che racconta la sua difficile vita scolastica nell'autobiografico 'Diario di scuola' (Feltrinelli, pp 242, euro 16.00).
Questo libro ha già scalato le classifiche di vendita e sono già in molti ad averlo letto.
Lo scrittore francese narra le sue disavventure scolastiche, raccontate dal punto di vista degli alunni che vanno male a scuola. Daniel Pennac ha saputo capitalizzare i fallimenti trasformandoli nella capacità di comprendere la sofferenza del somaro, dei genitori e dei professori
Credo che ogni studente che soffre per i propri miseri risultati, ogni ragazzo che sente di non farcela proprio a seguire i ritmi della classe, possa trovare in queste pagine quell'energia morale, quella spinta che tutte le critiche sulle spalle gli hanno tolto.
Fin dal primo anno di scuola Daniel si è mostrato in seria difficoltà davanti all'apprendimento (un anno intero per imparare la prima lettera dell'alfabeto) e, col trascorrere del tempo, le cose non sono andate meglio.
L'autore affronta il grande tema della scuola dal punto di vista degli alunni. In verità dicendo "alunni" si dice qualcosa di troppo vago: qui è in gioco il punto di vista degli "sfaticati", dei "fannulloni", degli "scavezzacollo", dei "marioli", dei "cattivi soggetti", insomma di quelli che vanno male a scuola. Pennac, ex scaldabanco lui stesso, studia questa figura popolare e ampiamente diffusa dandogli nobiltà, restituendogli anche il peso d'angoscia e di dolore che gli appartiene. Il libro mescola ricordi autobiografici e riflessioni sulla pedagogia, sulle universali disfunzioni dell'istituto scolastico, sul ruolo dei genitori e della famiglia, sulla devastazione introdotta dal giovanilismo, sul ruolo della televisione e di tutte le declinazioni dei media contemporanei. E da questo rovistare nel "mal di scuola" che attraversa con vitalissima continuità i vagabondaggi narrativi di Pennac vediamo anche spuntare una non mai sedata sete di sapere e d'imparare che contrariamente ai più triti luoghi comuni, anima i giovani di oggi come quelli di ieri. Con la solita verve, l'autore della saga dei Malaussène movimenta riflessioni e affondi teorici con episodi buffi o toccanti, e colloca la nozione di amore, così ferocemente avversata, al centro della relazione pedagogica.(Da Quotidiano net M.Allo)
L'autore
Daniel Pennac, nato a Casablanca nel 1944 già insegnante di lettere in un liceo parigino, dopo un'infanzia vissuta in giro per il mondo, tra l'Africa, l'Europa e l'Asia, si è definitivamente stabilito a Parigi. Accanto all'attività di scrittore si dedica all'insegnamento ai ragazzi difficili. Quando comincia a scrivere scopre una particolare propensione per storie comiche, surreali ma ben radicate nelle contraddizioni del nostro tempo. Ha raggiunto il successo dopo i quarant'anni con la tetralogia di Belleville. Quattro romanzi, editi in Italia tra il 1991 e il 1995, incentrati sul personaggio di Benjamin Malaussène, di professione capro espiatorio, e relativa famiglia. Claudio Bisio ha portato in scena con grande successo la pièce che Pennac ha tratto dalla sua saga Signor Malaussène prodotto dal Teatro dell'Archivolto con la regia di Giorgio Gallione
La laurea in lettere nel 1969 e poi l'insegnamento (il padre gli scriverà più o meno questo concetto: se ci è voluta una rivoluzione per farti prendere una laurea, per il dottorato ci vorrà almeni una terza guerra mondiale...) e migliaia di ragazzi, molti dei quali "asini", passati davanti a lui e come dirà spesso "diventati", cioè cresciuti e rivisti a volte dopo molti anni.
Ma quanto è grande il dolore di chi non capisce? E come è difficile pensare: "non ci arriverò mai"! Pennac ci regala una vera lezione, ci fa capire come è possibile insegnare, ad esempio la grammatica, facendola capire anche a chi è un po' più "lento" rispetto alla media degli studenti e rispetto alle esigenze del professore.
C'è un'indicazione fondamentale per capire la differenza tra un "buon" professore e uno "cattivo": è buono quello che riesce a calarsi davvero nella classe.
E poi è necessario sfatare certe idee: il dettato, la valutazione, lo studio a memoria sono cose che possono essere valide o dannose a seconda di come vengono proposte. Seguono esempi molto efficaci di come certe tecniche d'insegnamento tradizionalmente odiate possono invece diventare divertenti e, soprattutto, utilissime.
L'esperienza di professore Pennac l'aveva fatta nei primi anni con classi particolarmente difficili: classi differenzaili che molti definivano soprattutto "delinquenziali" e la sua carriera ha visto anche sconfitte mai dimenticate. Il libro prosegue con piacevolissimi aneddoti che raccontano lo scrittore mentre sta scrivendo il libro, mentre ascolta alla radio dibattiti su un film visto, mentre pensa alla moglie, mentre dialoga con dei ragazzi sconvolti di ritrovare nei suoi libri le parolacce che usano quotidianamente, quando incontra un ragazzo con cui ha (sbagliando) un comportamento da adulto giudicante...
Dopo tante critiche, viene tessuto l'elogio dei buoni insegnanti, l'elogio dell'istituzione denigrata che può essere per alcuni l'unica salvezza. Ma oggi i ragazzi sono gli stessi di qualche decennio fa? "Strappato alla società industriale nell'ultimo quarto del XIX secolo, fu consegnato cento anni dopo alla società di mercato che ne fece un bambino cliente": è un consumatore, un cliente quello che oggi i professori si trovano davanti. Alcuni ragazzi dispongono del denaro dei genitori, altri si arrangiano. Spesso il professore non è preparato, non sa di avere davanti a sé un bambino cliente. Però lo può salvare "l'amore", parola che non si dovrebbe usare ma che ha un potere magico.
Come magica è la capacità di Pennac di entrare nelle nostre coscienze, divertendoci con la leggerezza con cui sa affrontare temi difficili, con il brio di una pagina piena di spunti di fantasia, di genio. Ma chi avrebbe mai scommesso su di lui quando era solo e semplicemente un asino?
.Lo scrittore francese, 64 anni, si dedica anche all'insegnamento dei ragazzi difficili e in questo libro ha scelto, per parlare del grande tema della scuola, proprio il punto di vista degli alunni che vanno male a scuola. ''Come mai - si chiede Pennac - alcuni bambini provano tanto dolore nel vivere il ruolo sociale di alunni? La mia risposta è la paura''. Ma quale paura? ''La paura - spiega - delle domande che possono essere rivolte al bambino. Tutti noi abbiamo paura delle domande che ci potrebbero porre oggi. Ci dimentichiamo che quel piccolo secondo necessario per rispondere è invaso da questa paura. La nostra identità si gioca nella risposta, anche se ci chiedessero dov'è la toilette''.
E, per un bambino che va a scuola tutte le questioni sono fondamentali. ''Penso - confida lo scrittore - che il mio status scolastico di somaro sia ampiamente dovuto al terrore assoluto nel quale mi gettava la minima domanda che mi veniva posta. Non capivo assolutamente nulla di nulla. Mi domandavo che cosa la scuola si aspettasse da me e che cosa ci stessi a fare li'''. Tutto questo aveva sviluppato anche una leggenda familiare per cui il padre di Pennac, che aveva un grande senso dell'umorismo, dopo aver visto che il figlio aveva impiegato un anno ad imparare la lettera 'a' disse: ''ma non c'e' problema perché tra 26 anni sapra' tutto l'alfabeto'' mentre la madre dello scrittore, per tutta la vita, lo ha considerato il suo ''figlio precario''.
Pennac ha saputo capitalizzare tutti questi fallimenti trasformandoli in una grande capacità di comprendere la sofferenza del somaro, dei genitori e dei professori, che è poi lo scopo di questo libro uscito in Francia dove ha vinto il premio Renaudot ed è ancora tra i libri più venduti con il titolo 'Chagrin D'Ecole' (Patema di scuola).
Il compito dei professori, può dire oggi Pennac, è quello di ''aiutare i ragazzi a guarire da questa paura innata fondamentale per poter insegnare qualcosa. Bisogna aprire le porte per far passare un sapere degno di questo nome. Non manca il metodo ma la maniera, le competenze legate a rapporti umani specifici che si instaurano con i bambini. Ci sono anche i casi in cui non si trova la chiave d'accesso per aprire le porte''.
E il discorso non vale solo per le scuole elementari: ''i professori che insegnano ai ragazzi più grandi dovrebbero fare stage con i bambini piccoli. C' è la tendenza a trovare i capri espiatori nei professori precedenti. Mancano le basi significa non è colpa mia. Siamo in piena globalizzazione e abbiamo tragicamente bisogno di silenzio, solitudine, sogno e gratuita'''. Anche per quanto riguarda l'immigrazione, altro tema caro allo scrittore, sono intervenuti nuovi fattori ''di natura economica, la disoccupazione, e il contraccolpo di alcuni conflitti mediorientali che in Francia si teme possano influenzare le periferie''.
Fonte: http://www.aetnanet.org/catania-scuola-notizie-10438.html
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