Varie circostanze politiche determinarono già nel sec. VI a.C., un notevole movimento migratorio dalle coste dell'Asia all'Italia Meridionale e con esso il trapasso dell'indagine scientifico-filosofica.
Fondatore della «Scuola Italica» è Pitagora, nato a Samo verso il 572 a.C., e vissuto a Crotone, nella Magna Grecia.
Tale scuola fu insieme comunità e partito politico formato da aristocratici; in essa si viveva una rigida vita morale (ascetismo) e venivano coltivate la matematica, la musica e l'astronomia.
I meriti scientifici della Scuola Pitagorica sono i seguenti:
a) Prima elaborazione di una concezione «razionale» della scienza.
Secondo Aristotele, i Pitagorici «avendo cominciato ad occuparsi di ricerche matematiche ed essendo grandemente progrediti in esse furono condotti da questi loro studi ad assumere come principi di tutte le cose esistenti quelle di cui fanno uso le scienze matematiche. E poiché i primi che qui s'incontrano sono, per natura, i numeri, sembrò loro di ravvisare in questi molte più analogie con ciò che esiste o avviene nel mondo, di quante se ne possano trovare nel fuoco, nella terra e nell'acqua... .
Avendo poi riconosciuto che le proprietà e le relazioni delle armonie musicali corrispodono a rapporti numerici, e anche in altri fenomeni naturali si riscontrano analoghe corrispondenze coi numeri, furono tanto più indotti ad ammettere che i numeri siano gli elementi di tutte le cose esistenti, e che tutto il cielo sia proporzione e armonia».
Un secolo dopo Pitagora, Filolao esprimeva questo pensiero dicendo che: «tutte le cose conosciute possegono un numero, e nulla possiamo comprendere e conoscere senza di questo».
Si vede allora che, con questa teoria, i Pitagorici hanno precorso la scienza moderna, secondo la quale le leggi della natura si possono esprimere in termini matematici.
Tutti i fenomeni dell'universo, cioè, sono intellegibili solo in quanto i loro aspetti qualitativi possano essere ricondotti e riconosciuti nella loro struttura quantitativa e perciò misurabile: il suono, ad es., può diventare oggetto di scienza soltanto se può essere risolto in numero, cioè nella «frequenza» delle sue vibrazioni, nella lunghezza della corda che, vibrando, lo produce, nel peso del martello che batte sull'incudine.
Per la prima volta, dunque, nella storia del pensiero occidentale, la misura matematica viene adoperata come principio di intellegibilità dell'ordine e dell'unità del mondo e per la prima volta la scienza è diventata «razionale», in contrapposizione alla scienza degli Egizi e degli Assiro-Babilonesi, di carattere empirico, priva di evidenza e oscura.
b) Concezione «atomistica» della materia.
Il numero, dunque, è la «essenza di tutte le cose»; ma il numero come lo intendevano i pitagorici, non è una pura astrazione: è invece un elemento primo costitutivo delle cose; un «punto materiale» vero e proprio, una unità materiale o «monade».
Pertanto la formula «le cose sono numeri» viene a dire che ogni materia è composta di elementi o punti materiali, di piccola ma non nulla grandezza; e che dalla figurazione (numero e ordine) di questi punti, fra loro identici e qualitativamente indifferenti, dipendono tutte le proprietà e differenze apparenti dei corpi.
Come si vede, la concezione «atomistica», discontinua, della materia è già annunciata.
c) Scoperta delle grandezze incommensurabili.
Se per i Pitagorici, il punto geometrico è esteso, allora ogni linea viene considerata come formata da un insieme più o meno numeroso di tali punti materiali, messo uno dopo l'altro come le perline di una collana, ed ogni superficie come costituita da un certo numero di quelle linee, disposte una accanto all'altra.
Conseguenza diretta di questa concezione materiale del punto è che, considerati due qualsiasi segmenti, essi erano sempre commensurabili.
Infatti, ogni segmento risultava costituito da un numero finito di punti (granellini), tutti eguali fra di loro, per cui se un segmento era, ad esempio, doppio o triplo di un altro, ciò significava che era formato da un numero doppio o triplo di punti rispetto all'altro.
Così stando le cose, è evidente che due qualsiasi segmenti dovevano avere sempre come sottomultiplo comune almeno, nel caso più sfavorevole, il punto.
Quindi il quoziente tra il numero dei punti che formava il primo segmento e il numero dei punti del secondo esprimeva il rapporto, in tal modo sempre razionale, tra i due segmenti.
Quando poi i Pitagorici, avvalendosi del teorema, di Pitagora scoprirono che lato del quadrato e diagonale sono segmenti fra loro incommensurabili, essi ne furono sconvolti.
Tale scoperta costituì uno dei segreti più gelosamente custoditi dai Pitagorici. E quando un discepolo infedele la rivelò, Pitagora lo cacciò invocando su di lui l'ira degli dei.
In un «scolio» al X libro degli Elementi di Euclide si legge: «È fama che colui il quale per primo rese di pubblico dominio la teoria degli incommensurabili è perito in naufragio e ciò perché l'inesprimibile e l'inimmaginabile sarebbero dovuti rimanere sempre celati. Perciò il colpevole, che fortuitamente toccò e rivelò questo aspetto delle cose viventi, fu trasportato al suo luogo d'origine e là viene in perpetuo flagellato dalle onde».
Questa è indubbiamente leggenda, ma essa sta ad esprimere lo sbigottimento e la reazione che dovette provocare quella rivoluzionaria scoperta, che demoliva il concetto pitagorico di punto esteso e recava, quindi, un gravissimo colpo non solo a tutta la geometria pitagorica, fondata su si esso, ma anche al complesso delle dottrine filosofiche di quella Scuola, fondate anch'esse su tale concetto.
Si comprende perciò come dei pensatori successivi (i filosofi della scuola d'Elea), rimettano in discussione tutto il sistema delle monadi: la loro critica, riprendendo e spingendo alle estreme conseguenze il monismo pitagorico, riuscirà da una parte a segnalare le difficoltà di tale principio per la costruzione della fisica, dall'altra a far nascere una geometria veramente razionale, i cui enti sono concepiti per la prima volta come «idee», oltrepassanti l'empirico.
Bibliografia
1) F. ENRIQUES-G. DE SANTILLANA: Compendio di Storia del pensiero scientifico, Zanichelli. Contiene un'esposizione dettagliata (Cap. III) del pensiero scientifico della scuola pitagorica, con osservazioni interessanti e abbondante documentazione.
2) C.B. BOYER: Storia della Matematica, Isedi.
Nel Cap. V, sull'«età eroica» della matematica, viene esposta la serie di tentativi per affrontare problemi matematici fondamentali (fra cui quello della incommensurabilità) con risorse metodologiche così inadeguate. Interessante l'esame del problema della incommensurabilità e della concezione geometrica pitagorica in rapporto ai famosi «paradossi» di Zenone.
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