Di solito il termine “lapalissiano” indica un ragionamento o un fatto ovvio e scontato in maniera quasi ridicola. Molto più interessante invece è scoprire che questo termine deriva da un rocambolesco malinteso.
L’aggettivo deriva dal nome del maresciallo Jacques de La Palice, ma la cosa sorprendente è che costui non ha mai avuto l’abitudine di dire o di scrivere cose ovvie.
Cerchiamo di capire il perché.
Il nome completo di Jacques de La Palice era Jacques II de Chabannes, signore di La Palice. Partecipò, come comandante, all’assedio di Pavia nel 1525 dove vi trovò la morte. I suoi soldati composero una canzone per celebrare il suo coraggio. Il testo della canzone (in francese) era:
“Hélas, La Palice est mort,
il est mort devant Pavie;
hélas, s'il n'estoit pas mort
il ferait encor envie.”
La cui traduzione italiana sarebbe:
“Ahimè, La Palice è morto,
è morto davanti a Pavia;
ahimè, se non fosse morto
farebbe ancora invidia.”
Purtroppo all’epoca la f e la s si scrivevano in maniera molto simile, perché differivano solo per il trattino centrale (la s si scriveva ſ). Questo ha fatto sì che in trascrizioni successive la parola ferait dell’ultima frase diventasse serait. Come se non bastasse all’epoca anche gli spazi tra caratteri e parole non erano fissati in maniera univoca e questo provocò il fatto che la parola envie (invidia) diventasse en vie (in vita). Questo bastò a sconvolgere il significato di tutta la strofa, che divenne:
“Hélas, La Palice est mort,
il est mort devant Pavie;
hélas, s'il n'estoit pas mort
il serait encor en vie.”
La cui traduzione stavolta diventa:
“Ahimè, La Palice è morto,
è morto davanti a Pavia;
ahimè, se non fosse morto
sarebbe ancora in vita.”
Da qui l’affermazione lapalissiana…
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