lunedì 12 maggio 2008

Breve storia dell'Intelligenza Artificiale

Per Intelligenza Artificiale (d'ora in poi «IA») s'intende sia la possibilità che un qualunque meccanismo mostri un comportamento «intelligente», sia la disciplina che si occupa di studiare e sviluppare simili meccanismi.
Ma non è semplice capire quando una macchina costruita dall'uomo esibisca un comportamento intelligente: cosa significa, infatti, comportarsi in modo intelligente? Mostrare di compiere atti simili a quelli umani? Ragionare sull'esistenza di Dio, scherzare e ridere con gli amici, risolvere un problema matematico, comporre una sinfonia, parlare di cucina giapponese o inventare le stesse macchine intelligenti? In tali azioni, dov'è rintracciabile la componente di intelligenza? Come si può misurarla? Esiste un metro univoco, da tutti accettabile, per farlo?
In realtà, la definizione d'intelligenza non è tuttora molto chiara all'umanità. Suscita una serie infinita di quesiti filosofici, che sono quelli di tutta la tradizione speculativa occidentale. Inevitabilmente, l'IA si pone sullo stesso livello della filosofia della mente per quanto riguarda la soluzione di questi dilemmi. La disputa su cosa sia la mente è sempre al centro delle discussioni. Rispetto, però, alla riflessione su ragione e intelletto, l'IA ha una storia più recente: dobbiamo certo riconoscere che le radici tematiche della produzione di macchine con capacità simili a quelle mentali dell'uomo risalgono e si perdono nei secoli passati. Se ci riferiamo, invece, ai tentativi pratici e alla teorizzazione stretta circa la costruzione di calcolatori meccanici, allora possiamo circoscrivere il periodo di sviluppo a cominciare dagli anni Quaranta. Infatti, l'epoca dei computer inizia esattamente con la progettazione, nel 1937, dei primi calcolatori elettromeccanici, da parte di un gruppo d'ingegneri americani, tra cui Howard Aiken e George R. Stibitz, riprendendo le idee di Babbage e impiegandole nella costruzione del Complex Computer, nel '39: una piccola macchina che impiegava l'aritmetica booleana (cioè di tipo binario) per funzionare. I suoi commutatori erano relè telefonici e la grossa novità stava nel suo controllo telecomandato a distanza, cosa davvero avveniristica per quel tempo. Nel 1944 Aiken costruì la Mark I, avendo ottenuto dei fondi dall'IBM. Questa macchina era un po' più complicata della prima, in quanto aveva una memoria centrale composta da settantadue contatori, che le permetteva di moltiplicare in sei secondi e dividere in dodici. Nel 1943, un anno prima, era, comunque, già nato il progetto del primo vero computer: l' ENIAC («Electronic Numerical Integrator And Calculator»). Costruito da John Mauchly e J.Presper Eckert, in collaborazione con von Neumann e Herman M. Goldstine, fu attivato nel Novembre del '45, all'Università di Pennsylvania, per poi essere trasferito, due anni dopo, ad Aberdeen, dove restò in funzione fino al 1955. Era un enorme macchinario ingombrante, che raggiungeva la lunghezza di trenta metri, alto e profondo un metro. Era composto da più di 18.000 valvole, 70.000 resistori, 10.000 condensatori e 6.000 commutatori: un mostro elettronico, centinaia di volte più veloce del Mark I. Ciò era dovuto al fatto che se una valvola consente passaggio di elettroni, così come un transistor, al contrario, nel caso di una macchina a relè, l'inerzia che si produce nell'apertura e chiusura è molto più alta, a causa della sua massa minima di un grammo. Ad ogni modo, il Mark I aveva l'esclusivo vantaggio di «leggere» il programma di gestione dei diversi compiti d'affrontare, mentre l'ENIAC aveva bisogno di una nuova programmazione, lunga almeno due giorni di lavoro, per ogni ulteriore operazione non prevista nel precedente programma dato. Il Mark I, infatti, prendeva direttamente le istruzioni nuove da un nastro di carta, immagazzinandole subito nella propria memoria.
Successivamente, Mauchly ed Eckert costruirono il BINAC, una macchina che conteneva il programma da eseguire, per poi inventare l'UNIVAC, il primo computer da immettere sul mercato americano. Comunque, fu John von Neumann, grande genio del nostro secolo, ad essere ricordato nella storia dell'IA come l'ideatore dei princìpi fondamentali dell'architettura dei moderni calcolatori. Non a caso il computer può esser definito «macchina di von Neumann», e non solo «macchina di Turing».
Nel 1956 si ebbe l'evento storico con cui comunemente si fissa l'inizio della ricerca scientifica mondiale nel campo la conferenza di Dartmouth, nel New Hampshire. Il.promotore e organizzatore principale, insieme a Marvin Minsky — altro esponente primario —, fu John McCarthy. Il suo nome è legato all'invenzione del LISP (da list programming), il linguaggio di programmazione tuttora più usato nei programmi per i computer. Il progetto di McCarthy consisteva nel riunire più ricercatori possibili legati alla giovane disciplina dell'IA per permettere loro di confrontarsi e maturare idee nuove insieme. Cosa che avvenne solo in parte. Infatti, secondo il piano degli organizzatori, la conferenza doveva svolgersi per ben due mesi, e non tutti aderirono all'incontro per l'intero corso dei lavori. Il «Dartmouth Summer Researcli Project on Artificial Intelligente» — questo il nome per esteso dell'avvenimento — non ha avuto il successo sperato, ma ha offerto, tuttavia, una tappa iniziale ugualmente importante ed unica nella storia dell'IA.
Nello stesso anno il progetto più ricco di aspettative per il nuovo settore scientifico fu quello del computer JOHNNIAC, ad opera di von Neumann. La preoccupazione fondamentale che aveva animato la programmazione del computer era di natura logica: abbiamo visto come era forte, in quegli anni, la ricerca di un'automazione del ragionamento deduttivo. Se, infatti, l'uomo opera secondo una logica stabilita, con regole immutabili, nel campo della matematica e delle altre scienze esatte, come potrebbe una macchina che emula il pensiero umano non funzionare secondo la medesima logica? Il JOHNNIAC fu costruito proprio con tale proposito simulativo. Ciò che, in sostanza, si cercava di ottenere era un calcolatore che, utilizzando un programma di pura logica, riuscisse ad isolare, nello spazio delle infinite soluzioni possibili, la risposta anch'essa logicamente più pura. Un esempio di applicazione logica al ragionamento deduttivo è: M e N (dove M ed N sono due proposizioni) sono una vera ed una falsa; N si dimostra falsa nel riscontro con la realtà; dunque, ne consegue logicamente che M è vera.
Questo non è altro che un caso di sillogismo aristotelico, e il JOHNNIAC fu in grado di risolverne di simili e più complessi grazie ad un programma, il Logic Theorist (il «teorico logico»), inventato da tre grandi pionieri dell'IA: Herbert Simon, Allen Newell e Cliff Shaw. Tale programma riuscì a dimostrare trentotto dei primi cinquantadue teoremi del secondo capitolo del monumentale Principia Mathematica di Bertrand Russell e Alfred Whitehead, l'opera che all'inizio di questo secolo offrì una completa sistematizzazione di tutta la logica occidentale. Era la prima volta nella storia che una macchina produceva risultati di giudizi astratti, e non i soliti numeri di operazioni matematiche. Addirittura, in un caso particolare, la soluzione del computer fu più raffinata di quella offerta nei Principia.
- Questo approccio è all'origine dell'IA cosiddetta «forte», che afferma la possibilità che il computer un giorno riesca a raggiungere un grado di capacità identica a quella del ragionamento umano. La lo gica è la base di tale indirizzo di ricerca: la «rappresentazione della conoscenza» e la «risoluzione dei problemi» sono le principali azioni che devono essere replicate in un calcolatore, per poter essere considerato reale esecutore di un comportamento intelligente. Certamente, persone come Hebert Simon e Marvin Minsky si resero conto di come la mente umana fosse capace di intuizioni e ragionamenti induttivi, assai lontani dalle possibilità dei primi programmi degli anni Cinquanta e Sessanta. Nonostante questo divario, le speranze ottimistiche di costoro non sono mai state minate dai risultati, non sempre soddisfacenti, delle loro creazioni.

(Bibliografia: Le nuove frontiere della mente, Sabatini A. - Ianneo F.)

 

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