venerdì 7 marzo 2008

Il tempo, questo sconosciuto...

Negli ultimi decenni, la scienza ha formulato una teoria che sostiene che il tempo ha avuto origine insieme all’Universo, nel cosiddetto Big Bang, circa 15 miliardi di anni fa. “Prima” di quell’istante di creazione non vi sarebbe stato, quindi, alcun tempo, e ciò per molti potrebbe essere davvero arduo da comprendere! Pazienza, se non lo capiamo siamo in buona compagnia! Infatti, sia per la scienza che per la filosofia il tempo è sempre stato un mistero insondabile, un rompicapo per tutte le grandi menti dell’umanità. Nella nostra convulsa società moderna e occidentale il tempo è diventato denaro, siamo schiavi degli orari dei treni e degli aerei, siamo influenzati dal passato e ossessionati dal futuro. Una cosa è sicura: di tempo ce né sempre troppo poco! Ma è sempre stato così? L’uomo è sempre stato assoggettato al tempo? In tutta la storia del pensiero umano è sempre esistita la convinzione che la soggezione dell’uomo al tempo sia solo una grande illusione…

Per i sostenitori di questa concezione, la vera realtà è costituita da un regno che trascende il tempo: la terra oltre il tempo. Gli europei la chiamano eternità, gli indù moksha e i buddisti nirvana. Per gli aborigeni australiani è il tempo del sogno.

Per secoli l’uomo è stato tormentato dalla paradossale coesistenza di fugacità ed eternità. Platone pensava che il mondo dell’esperienza quotidiana è il tenue riflesso di una dimensione senza tempo fatta di forme pure e perfette. Non a caso in epoca cristiana Agostino pose Dio proprio nel regno dell’eternità.

E se a questo punto vogliamo dare una sbirciatina in oriente, possiamo osservare come i saggi dei Veda possedevano intuizioni cosmiche che certamente mancano all’uomo moderno. La loro non era una visione del presente, ma del passato, del presente e del futuro e dell’assenza di tempo. Brahma, l’Assoluto, è perfetto ed eterno non perché vive per un tempo infinito, ma perché esiste fuori dal tempo, e per questo ciò che è soggetto al trascorrere del tempo, anche se è reale nel mondo dell’esperienza umana, non possiede una realtà suprema. Tuttavia lo struggente desiderio di fuggire dal tempo è un vero e proprio terrore della storia, come lo definisce l’antropologo Mircea Eliade, che porta ad una ricerca quasi ossessiva della terra oltre il tempo. In realtà, questa ricerca è il mito fondatore di quasi tutte le culture dell’umanità.

Il profondo bisogno avvertito dall’uomo di spiegare l’origine delle cose lo porta indietro, a un tempo prima del tempo, a un regno di temporalità senza tempo, un giardino dell’Eden. Questo mondo ideale però, paradossalmente, resta collegato in qualche modo con il mondo reale. Questa paradossale congiunzione viene colta nella sua forma più matura nel concetto del sognare degli aborigeni australiani, talvolta indicato come tempo del sogno eterno. Non esiste una parola aborigena per esprimere il concetto di tempo, in questa cultura tale nozione è completamente sconosciuta. Il sognare difatti non si può collocare nel tempo: era ed è, sempre. Non viene percepita alcuna incongruenza in quanto, per l’aborigeno australiano, gli eventi sono più importanti delle date. Al contrario, in occidente si sono prodotti sforzi enormi per una sempre più precisa determinazione e misura del tempo. Una simile strada può forse condurre al progresso, ma il prezzo psicologico che siamo costretti a pagare è molto alto. Esistere nel tempo implica il nascere e il morire ed è proprio la paura della morte che ci influenza pesantemente in ogni nostra azione.

Ma persino noi che siamo intrappolati nella cultura occidentale, ormai antireligiosa e smaccatamente di sinistra, e senza magiche e mistiche vie di fuga dal tempo, possiamo ancora riconoscere gli antichi e potenti simboli del sogno eterno presenti nell’arte e nella letteratura. Dal Paradiso Perduto al Narnia, dalla mitica Avalon del ciclo di Re Artù a quella galassia lontana lontana nel tempo e nello spazio, dove vengono combattute e vinte le Guerre Stellari.

Ma torniamo a noi. Sappiamo che attraverso lo studio del moto dei corpi, Aristotele giunse ad apprezzare l’importanza fondamentale del tempo, tanto che arrivò quasi a concepirlo come parametro matematico astratto. Per Aristotele il tempo era movimento.

La presenza di un ordine nella natura era stata riconosciuta da tutte le culture, ma solo le più grandi riuscirono a dare a questo ordine l’attributo di oggettività.

La storia racconta che Galileo fu il primo a considerare il tempo come quantità misurabile, ma la posizione fondamentale occupata dal tempo nelle leggi dell’Universo venne svelata completamente solo nella seconda metà del XVII secolo grazie all’opera di Newton. L’intera costruzione di Newton si basava sull’ipotesi che i corpi materiali si muovano nello spazio seguendo percorsi prevedibili, soggetti a forze che li accelerano, secondo rigorose leggi matematiche. Newton fu in grado di calcolare il moto della Luna e dei pianeti, così come i percorsi dei proiettili. Le leggi della meccanica di Newton si dimostrarono così valide che molti le ritennero applicabili a qualunque fenomeno nell’Universo. Da questa convinzione nacque l’immagine del cosmo come di un gigantesco meccanismo ad orologeria, prevedibile in ogni suo dettaglio. Il tempo in questo caso diventa potenzialmente superfluo, dal momento che il futuro è interamente contenuto nel presente, nel senso che ogni informazione necessaria per creare gli stati futuri dell’Universo si trova già nello stato presente. Il tempo di Newton è matematico. Egli fece per il tempo quello che i geometri greci avevano fatto per lo spazio: lo nobilitò in una dimensione perfettamente misurabile.

L’epoca in cui nacque Albert Einstein era ancora dominata da questa rigida concezione del tempo e in Occidente raramente veniva messa in discussione, nonostante si trovasse sempre al suo fianco il pensiero orientale, e continuasse ad essere ignorato dai popoli indigeni in America, in Africa e in Australia. Al di là delle sue implicazioni matematiche, il tempo di Newton è anche il tempo del senso comune (occidentale). Tra le altre cose, la concezione newtoniana ci invita a suddividere il tempo in passato, presente e futuro. Questa immagine ordinata del tempo, che scandisce una successione di istanti presenti, ci suggerisce un curioso aspetto della realtà: nella visione newtoniana del mondo, solo ciò che accade ora può essere definito reale. Infatti è proprio così che la gente comune avverte il tempo. Il futuro viene considerato come non ancora esistente o, al limite, non ancora deciso, mentre il passato scivola in una indistinta terra nebbiosa o giunge all’oblio.

Ad un certo punto, all’inizio del XX secolo, utilizzando il concetto newtoniano di tempo si cominciarono a notare strane assurdità riguardo ad alcuni fenomeni che coinvolgevano i segnali luminosi e il moto dei corpi. Così, nel volgere di pochi anni, la visione newtoniana crollò. Questa profonda trasformazione fu opera del lavoro di Albert Einstein. La teoria della relatività di Einstein introduceva una nozione di tempo flessibile. Anche se non arrivò a restaurare le antiche concezioni mistiche del tempo, che lo descrivevano fondamentalmente individuale e soggettivo, esso collegò l’esperienza del tempo all’osservatore individuale. Non era più il tempo, ma il mio tempo e il tuo tempo, a seconda di come ci stiamo muovendo. Per usare una frase abusata: il tempo è relativo. L’effetto psicologico prodotto dall’abolizione di un tempo universale che scorresse allo stesso modo in tutti i sistemi fisici fu drammatico e ancora oggi ha un peso notevole su ogni tipo di espressione artistica.

Nei decenni successivi gli scienziati esplorarono sempre più a fondo i misteri del tempo, cercando di capire sempre qualcosa in più riguardo a questo affascinante e sfuggente concetto.

Prima di concludere voglio che ci poniamo alcune domande. C’è stato un inizio del tempo e ci sarà una fine? Perché il tempo scorre dal passato al futuro e non viceversa? Da cosa dipende la sensazione dello scorrere del tempo? È possibile viaggiare nel tempo? Nonostante un secolo di ricerche molti di questi interrogativi restano senza risposta. Siamo ancora in attesa di una totale comprensione della natura del tempo…

Il 12 aprile 1955, a causa della rottura di un aneurisma, muore Albert Einstein. Anche per l’uomo che aveva mostrato al mondo come il tempo possa deformarsi, il tempo era scaduto.

 

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