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Etna 1971: la tipica eruzione effusiva

 

Il 5 aprile 1971, senza alcun segno premonitore, si aprirono due fratture radiali alla base del cono terminale a quota 3000. Su una di esse si localizzò fin dai primi giorni una serie di bocche esplosive, da cui venivano proiettati brandelli di lava incandescenti, che costituirono tre piccoli coni (Apparato dell'Osservatorio). Dalla base di quello inferiore fuoriuscì una colata lavica che lambì l'Osservatorio, dirigendosi poi verso il Piano del Lago.

Lungo l'altra frattura si formarono due baluardi di scorie con numerosi centri eruttivi, il cui efflusso lavico si riversava nella Valle del Bove. Per la presenza di una spessa coltre di neve si verificarono numerose esplosioni di vapor d'acqua, dovute al contatto della neve con le masse incandescenti. Dopo questo primo periodo di attività eruttiva si ebbe un periodo di calma relativa. Ma ben presto una recrudescenza del fenomeno determinava una nuova effusione lavica che investiva per la seconda volta l'Osservatorio, demolendone una parte.

Il 22 aprile a monte di questo apparato si formò una piccola frattura, anch'essa radiale, sulla quale si impiantarono tre nuove bocche. Dalla parte inferiore di questo nuovo Apparato Occidentale iniziò a defluire una colata lavica, verso SSW ricoprendo in parte la colata del 1964.

Nel mese di maggio l'efflusso lavico aumentò notevolmente e le colate investirono definitivamente l'Osservatorio ricoprendone gli ultimi resti e la stazione terminale della funivia.

Successivamente, il 4 aprile, si aprì una nuova frattura radiale lungo la quale si impiantarono tre piccoli hornitos (colletti di scorie saldate) ed una bocca, formando l'Apparato Orientale. Alla bocca iniziò una nuova attività di lancio di materiale incandescente, sotto forma di fontane di lava e una colata incominciò a defluire verso la Valle del Bove.

Ogni attività nei precedenti apparati era cessata e poco dopo anche quella dell'Apparato Orientale diminuì rapidamente; si pensò così che l'eruzione fosse terminata. Ma spesso i vulcani possono offrirci delle sorprese, generalmente sgradite. Così accadde anche per l'Etna. Nessuno poteva infatti prevedere che all'interno del vulcano esistesse, già da molto tempo, una spaccatura, dovuta a movimenti tettonici regionali. Solo gli eventi successivi dimostrarono la sua esistenza ed il suo condizionamento nello strano andamento dell'eruzione.

Un accurato esame delle varie fasi eruttive, dell'ubicazione delle bocche e l'analisi petrografica e chimica delle lave emesse ha potuto fornire importanti indicazioni sul complicato meccanismo di questa eruzione. Si potè constatare che la fessura radiale dell'apparato orientale intersecava la spaccatura, cosicché il magma defluì all'interno di quest'ultima per più di 4 km in direzione ENE. Questa deviazione della massa fusa causò appunto la diminuzione dell'attività dell'Apparato Orientale ed un effimero periodo di calma.

L'attività riprese ben presto da una nuova bocca esplosiva imbutiforme, dalla quale si liberarono gas in grandi quantità, mentre la massa fusa, ormai abbastanza degassata, continuava a defluire, a poca profondità, nella spaccatura, lungo la quale si formarono varie bocche effusive. Le colate si diressero nell'ampia Valle del Bove.

Il progressivo spostamento delle bocche in direzione ENE fu inaspettatamente interrotto e durante la notte dell'1 maggio si crearono a sud del Rifugio Citelli due fratture esclusivamente effusive, dalle quali le colate si diressero verso ESE, invadendo e. distruggendo vaste zone boschive e coltivate, affiancandosi e sovrapponendosi ripetutamente.

Fu questa un'altra sorpresa del nostro Etna; infatti ricerche successive rivelarono che la spaccatura era servita al deflusso della massa fusa dell'eruzione del 1928 ed appariva quindi in parte ostruita da lava consolidata, che impedì al magma del 1971 di defluire tranquillamente verso ENE. Cercando una via d'uscita, esso trovò, come punto di minor resistenza, uno strato di materiale incoe rente, nel quale si introdusse, sgorgando infine a sud del Rifugio Citelli. Un incremento dell'attività effusiva fece sì che le colate lambissero parecchi centri abitati, distruggendo case e terreni. Questa eruzione, durata complessivamente 69 giorni, viene distinta in due fasi principali: la prima caratterizzata da un'intensa attività esplosiva ed effusiva, la seconda solo da imponenti effusioni laviche.

Molti sono i motivi che ci hanno indotto a scegliere questa eruzione dell'Etna come esempio di un'eruzione effusiva: innanzitutto essa dimostra quanto complicato possa essere l'andamento degli eventi, il meccanismo dei quali può essere compreso solo a posteriori, in base ad accurate ricerche; secondariamente essa può essere rappresentata da un diagramma cronografico, che riassume, più chiaramente di una lunga descrizione verbale, la natura e la successione dei vari fenomeni ed infine perché abbiamo avuto la «fortuna» ed il «piacere» (del tutto vulcanologico!) di poterla seguire personalmente fin dal suo inizio.

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Qui sopra, colate laviche dell'eruzione etnea del 1971 (secondo Romano e Sturiale):

1) apparato dell'osservatorio; 2) apparato del Vulcarolo; 3) apparato occidentale; 4) apparato orientale; 5) frattura effusiva orientale di quota 2680; 6 e 7) fratture effusive orientali di quota 1580-1540; 8) fratture effusive orientali di quota 2300; 9) fratture effusive di Contrada Serracozzo; 10) voragine di sprofondamento alla base Est del Cratere Centrale.

 

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Nella foto l'apparato di bocche eruttive dette "dell'osservatorio"

 

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In questa foto possiamo vedere "l'apparato del Vulcarolo". Sullo sfondo si scorge l'apparato dell'osservatorio.

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[Bibliografia: "I vulcani", Alfred e Loredana Rittmann; Istituto Geografico De Agostini Novara, 1976]

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