John Gottman è un professore di psicologia all'Università di Washington. Nel 1997 ha scritto un libro, The Heart of Parenting, il cui titolo italiano, Intelligenza emotiva per un figlio, richiama il concetto reso popolare dai libri di Daniel Goleman. Nel suo testo, in cui ha sviluppato gli aspetti della teoria di Goleman che riguardano più da vicino l'educazione familiare, e in particolare l'educazione alle emozioni, Gottman classifica i genitori in 4 tipologie: noncuranti, censori, lassisti e allenatori emotivi. Quest'ultima tipologia è quella che Gottman propone come modello da seguire.
Il cosiddetto “allenamento emotivo” si sviluppa in 5 fasi:
1. diventare consapevole dell'emozione del bambino;
2. riconoscere in quell'emozione un'opportunità di intimità e di insegnamento;
3. ascoltare con empatia e convalidare i sentimenti del bambino;
4. aiutare il bambino a trovare le parole per definire le emozioni che sta provando;
5. porre dei limiti, mentre si esplorano le strategie per risolvere il problema in questione.
Si riportano qui alcuni brani del testo di Gottman in cui si spiega perché l'allenamento alle emozioni dovrebbe costituire il cuore della relazione con i figli.
“Sorprendentemente, la maggior parte dei consigli che comunemente vengono dati ai genitori ignora il mondo dell'emozione. Essi si basano, al contrario, su teorie educative interessate al fatto che i bambini si comportino male, ma che ignorano i sentimenti che sottendono a quei comportamenti. In ogni caso, il fine ultimo dell'educazione dei figli non dovrebbe consistere meramente nell'ottenere un individuo docile e obbediente. La maggior parte dei genitori spera in molto di più. Si vuole che i figli diventino persone rette e responsabili, diano il loro contributo alla società, abbiano la forza per fare le proprie scelte nella vita, godano della realizzazione dei propri talenti, della vita e dei piaceri che essa può offrire, intrattengano buoni rapporti con gli amici, abbiano un matrimonio riuscito e, a loro volta, diventino buoni genitori.”
“Nel corso delle mie ricerche ho scoperto che l'amore da solo non è sufficiente. Genitori attenti, affettuosi, assidui, spesso hanno nei confronti delle proprie emozioni e di quelle dei figli atteggiamenti che interferiscono con la capacità di comunicare con i figli quando questi ultimi sono tristi o spaventati o in collera. Ma, se l'amore da solo non è sufficiente, incanalare questo affetto in alcune competenze di base che i genitori esercitano mentre "addestrano" i figli nell'area dell'emotività è sufficiente. Il segreto consiste nel modo in cui i genitori interagiscono con i figli quando le emozioni diventano intense. Abbiamo studiato genitori e figli nel corso di accuratissime ricerche di laboratorio e abbiamo seguito i figli durante la loro crescita. Dopo un decennio di studi nel mio laboratorio, la mia équipe di ricerca ha individuato un gruppo di genitori che, quando i loro figli si trovavano in situazioni emotivamente critiche, faceva cinque cose molto semplici.”
“Abbiamo chiamato queste cinque cose “allenamento emotivo” e abbiamo scoperto che i ragazzi che avevano genitori che li "allenavano" emotivamente intraprendevano una traiettoria di sviluppo completamente diversa rispetto ai figli di altri genitori. I genitori-allenatori avevano figli che in seguito sarebbero diventati quel tipo di persone che Daniel Goleman definisce «emotivamente intelligenti». Questi bambini emotivamente allenati dimostravano maggiori capacità nel campo delle proprie emozioni di quante non ne rivelassero bambini non allenati dai loro genitori. Tra queste capacità c'era anche quella di regolare il proprio stato emozionale. Quei ragazzi riuscivano meglio a calmarsi quando erano agitati. Riuscivano a rallentare i battiti del loro cuore più in fretta. Il fatto di ottenere migliori risultati in quella parte della fisiologia che entra in gioco nel ritrovare la calma e la tranquillità, rendeva quei ragazzi meno esposti alle malattie infettive. Riuscivano a concentrarsi meglio, a essere più attenti, a relazionarsi meglio con gli altri, anche nelle situazioni socialmente difficili tipiche dell'infanzia, come quando si viene stuzzicati, in cui essere troppo emotivi è una debolezza e non una risorsa. Riuscivano meglio a comprendere le altre persone. Stabilivano rapporti di amicizia più solidi con i coetanei. Erano migliori anche nel rendimento scolastico. In breve, avevano sviluppato un tipo di Q.I. (quoziente di intelligenza) che riguardava le persone e il mondo dei sentimenti, ovvero un'intelligenza emotiva.”
“L'Allenamento emotivo ci fornisce uno schema basato sulla comunicazione emozionale. Quando i genitori offrono empatia ai loro figli e li aiutano ad affrontare sentimenti negativi come la collera, la tristezza e la paura, gettano tra sé e loro un ponte di lealtà e attaccamento. All'interno di questo contesto, sebbene i genitori-allenatori pongano effettivamente dei limiti ai loro figli, il fatto che questi ultimi si comportino male non è più la questione più importante. La docilità, l'obbedienza e la responsabilità derivano da un senso di amore e di interdipendenza che il bambino percepisce all'interno della famiglia. In questo modo, le interazioni emozionali tra i membri della famiglia diventano il fondamento attraverso cui si trasmettono i valori e si crescono individui moralmente retti. I figli, in questo modo, si comportano secondo gli "standard" familiari perché comprendono intimamente che ci si aspetta che si comportino bene, che vivere rettamente è implicito nell'appartenenza al clan.”
“La chiave per essere genitori di successo non si trova in teorie complesse, in regole familiari elaborate o in contorte formule comportamentali. Essa si trova nei sentimenti più profondi di amore e di affetto per i figli, e si dimostra semplicemente, attraverso l'empatia e la comprensione. Una buona educazione dei figli comincia dal cuore dei genitori, e poi continua, momento per momento, nello stare vicini ai figli quando la tensione emotiva cresce, quando essi sono tristi, arrabbiati o spaventati. L'essenza dell'essere genitori consiste nell'esserci in un modo particolare, quando esserci conta davvero. [...] Chiamo i genitori che si sono fatti coinvolgere nei sentimenti dei figli «allenatori emotivi», «genitori-allenatori». Proprio come gli allenatori nell'atletica, essi insegnano ai figli delle strategie per affrontare gli alti e bassi della vita. Non si oppongono alle manifestazioni di collera, tristezza o paura dei loro figli. Ma neppure le ignorano. Al contrario, accettano le emozioni negative come un fatto della vita, e usano i momenti emozionali come opportunità per impartire ai figli lezioni di vita e costruire relazioni sempre più strette con loro. [...] Tra i genitori che non riescono a insegnare l'intelligenza emotiva ai loro figli, ho identificato tre categorie:
1) Genitori noncuranti, che sminuiscono, ignorano o sottovalutano le emozioni negative dei figli.
2) Genitori censori, che criticano le espressioni di sentimenti negativi e che possono arrivare a rimproverare o punire i figli per queste manifestazioni emotive.
3) Genitori lassisti, che accettano le emozioni dei figli e si dimostrano empatici, ma non riescono a offrire loro una guida o a porre limiti al loro comportamento.”
(J. Gottman - J. De Claire, Intelligenza emotiva per un figlio, trad. it. di A. Di Gregorio e B. Lotti, Rizzoli, Milano 1999, pp. 10-12 e 17-18).
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