C'è stata una creazione?
Ogni discussione sull'origine dell'universo presuppone che l'universo abbia avuto un'origine. La maggior parte delle culture antiche propendeva per un'idea del tempo in cui il mondo non ha nessun inizio, ma piuttosto attraversa cicli che si ripetono senza fine. È interessante rintracciare la fonte di queste idee. Le tribù primitive vissero sempre in stretta armonia con la natura, dal momento che la loro esistenza dipendeva dal ritmo delle stagioni e di altri periodi naturali. E poiché le generazioni si avvicendavano con un'alterazione minima delle circostanze, esse non concepivano l'idea di un mutamento unidirezionale o di un progresso storico. Gli interrogativi sull'inizio o il destino del mondo andavano oltre la loro idea della realtà. Erano invece interessati ai miti concernenti i modelli ritmici, e alla necessità di propiziarsi gli dèi legati a ciascun ciclo per assicurarsi una continua fertilità e stabilità.
Il sorgere delle prime grandi civiltà in Cina e nel Medio Oriente non cambiò molto questo quadro. Stanley Jaki, un frate benedettino di origine ungherese, che ha conseguito il dottorato sia in fisica che in teologia, ha compiuto uno studio dettagliato delle antiche credenze nella cosmologia ciclica. Egli fa notare che il sistema dinastico cinese rifletteva una indifferenza generale verso la progressione storica: «Le datazioni ricominciavano con ogni nuova dinastia, una circostanza che suggerisce come per loro il flusso del tempo non fosse lineare ma ciclico. Anzi, tutti gli eventi, politici e culturali, rappresentavano per i cinesi uno schema periodico, una piccola replica dell'interazione delle due forze fondamentali nel cosmo, lo Yin e lo Yang... Il successo doveva alternarsi al fallimento, e il progresso alla decadenza».
Il sistema induista consisteva di cicli dentro cicli, di durata immensa. Quattro yuga componevano un mahayuga di 4,32 milioni di anni; mille mahayuga formavano un kalpa, due kalpa costituivano un giorno di Brahma, mentre il ciclo della vita di Brahma era di cento anni di Brahma, ovvero 311 trilioni di anni! Jaki paragona i cicli induisti alla ruota di un mulino che gira incessantemente, il cui effetto ipnotizzante contribuì notevolmente a ciò che egli descrive come la disperazione e l'avvilimento della cultura indù. La ciclicità e il connesso fatalismo permeavano anche la cosmologia babilonese, egiziana e maya. Jaki racconta la storia degli Itza, una tribù maya ben armata che nel 1698 volontariamente lasciò via libera a un piccolo contingente di soldati spagnoli, conformemente alla profezia, comunicata ottant'anni prima a due missionari spagnoli, secondo cui tale data segnava l'inizio della loro era fatale.
Anche la filosofia greca era impregnata del concetto dei cicli eterni, ma a differenza della disperazione pessimistica dei poveri maya, i greci ritenevano che la propria cultura rappresentasse il culmine del ciclo — il vero apogeo del progresso. La natura ciclica del tempo nel sistema greco venne ereditata dagli arabi, che rimasero i custodi della cultura greca finché fu trasmessa alla Cristianità nel Medioevo. Gran parte della visione attuale del mondo nelle culture europee può essere fatta risalire all'imponente scontro tra la filosofia greca e la tradizione giudaico-cristiana. Naturalmente è fondamentale, nella dottrina cristiana e giudaica, il principio secondo il quale Dio creò l'universo in un momento specifico del passato, e gli eventi successivi hanno formato una sequenza che si è svolta in modo unidirezionale.
Così un'idea di progressione storica dotata di senso - il peccato originale, il patto, l'incarnazione e la resurrezione, il secondo avvento - pervade queste religioni, ed è in completo contrasto con la concezione greca dell'eterno ritorno. Nella loro preoccupazione di aderire al tempo lineare, piuttosto che a quello ciclico, i primi Padri della Chiesa denunciarono la visione ciclica del mondo dei filosofi greci pagani, nonostante la loro generale ammirazione per tutto il pensiero greco. Così troviamo Tommaso d'Aquino che riconosce la forza degli argomenti filosofici di Aristotele secondo cui l'universo deve essere esistito sempre, ma che si appella alla Bibbia per giustificare la credenza in un'origine cosmica.
Un aspetto chiave della dottrina giudaico-cristiana della creazione è che il Creatore è completamente indipendente e separato dalla sua creazione; cioè, l'esistenza di Dio non garantisce automaticamente l'esistenza dell'universo, come in alcuni schemi pagani dove il mondo fisico scaturisce dal Creatore come un'estensione automatica del suo essere. Piuttosto, l'universo ha avuto origine in un momento preciso del tempo come un atto di deliberata creazione soprannaturale da parte di un essere già esistente.
Per quanto possa sembrare semplice, questo concetto di creazione causò per secoli un'intensa disputa dottrinale, in parte dovuta al fatto che i testi antichi sono estremamente vaghi in materia. La descrizione biblica della Genesi, per esempio, che ha attinto in modo cospicuo dagli antichi miti mediorientali della creazione, si dilunga sugli aspetti poetici ma è concisa per quanto riguarda i dettagli fattuali. Non viene chiarito se Dio si limiti a mettere ordine in un caos primordiale, oppure crei la materia e la luce in un vuoto preesistente, oppure compia qualcosa di ancora più profondo. Gli interrogativi difficili abbondano. Che cosa faceva Dio prima di creare l'universo? Per quale motivo lo creò in quel particolare momento, piuttosto che in un altro? Se era contento di esistere in eterno senza un universo, che cosa lo costrinse a «decidersi» e crearne uno?
La Bibbia lascia parecchio spazio al dibattito su questi argomenti. E il dibattito c'è stato di sicuro. In effetti, gran parte della dottrina cristiana relativa alla creazione venne sviluppata molto tempo dopo la stesura della Genesi e fu influenzata dal pensiero greco tanto quanto da quello giudaico. Due questioni sono particolarmente interessanti dal punto di vista scientifico. La prima riguarda la relazione di Dio con il tempo; la seconda la sua relazione con la materia.
Le principali religioni occidentali proclamano che Dio è eterno, ma la parola «eterno» può avere due significati alquanto diversi. Da una parte può significare che Dio è esistito per un periodo infinito di tempo nel passato e che continuerà a esistere per un periodo infinito di tempo nel futuro; dall'altra che Dio è completamente fuori dal tempo.
Sant'Agostino optò per la seconda interpretazione quando affermò che Dio creò il mondo «con il tempo e non nel tempo». Considerando il tempo come universo fisico, piuttosto che come qualcosa in cui ha luogo la creazione dell'universo, e ponendo Dio completamente al di fuori di esso, Agostino evitò elegantemente il problema di cosa facesse Dio prima della creazione.
Questo vantaggio, comunque, è conseguito a un certo prezzo. Tutti possono riconoscere la forza dell'argomento che «qualcosa deve avere dato inizio a tutto questo». Nel diciassettesimo secolo era di moda considerare l'universo come una macchina gigantesca che era stata azionata da Dio. Persino oggi molti sono attratti dall'idea di Dio come il Primo Motore o la Causa Prima in una catena causale cosmica. Ma cosa significa, per un Dio posto fuori del tempo, causare qualcosa? In conseguenza di questa difficoltà, quanti credono in un Dio atemporale preferiscono enfatizzare il suo ruolo nel mantenere e sostenere la creazione in tutti i momenti della sua esistenza. Non viene fatta nessuna distinzione tra creazione e conservazione: agli occhi del Dio atemporale entrambe rappresentano la medesima azione.
Il rapporto di Dio con la materia è stato allo stesso modo oggetto di difficoltà dottrinali. Alcuni miti sulla creazione, come ad esempio la versione babilonese, dipingono un'immagine del cosmo come qualcosa che emerge dal caos primordiale. (Letteralmente «cosmo» significa «ordine» e «bellezza»; quest'ultimo aspetto sopravvive nella moderna parola «cosmetico»). Secondo questo punto di vista la materia è anteriore a un atto soprannaturale creativo, ed è ordinata da esso. Una concezione simile fu abbracciata nella Grecia classica. Il Demiurgo di Platone era limitato perché doveva lavorare con la materia già esistente. Questo atteggiamento fu adottato anche dai cristiani gnostici, che consideravano la materia corrotta, e quindi un prodotto del diavolo più che di Dio.
In realtà l'uso generico della parola «Dio» in queste discussioni può disorientare, considerata la ricca varietà di schemi teologici proposti nel corso della storia. La credenza in un essere divino che dà origine all'universo e poi «si mette seduto comodamente» a osservare gli eventi che si svolgono, senza prendervi direttamente parte, è nota come deismo. In esso la natura di Dio è espressa dall'immagine del perfetto orologiaio, una sorta di ingegnere cosmico, che progetta e costruisce un meccanismo elaborato e immenso, e poi lo mette in moto. In antitesi con il deismo c'è il teismo, la credenza in un Dio che è il creatore dell'universo, ma che rimane pure coinvolto direttamente nella gestione quotidiana del mondo, soprattutto negli affari degli esseri umani, con cui Dio mantiene un rapporto personale continuo e un ruolo di guida. Tanto nel deismo quanto nel teismo viene tracciata una netta distinzione fra Dio e il mondo, fra il creatore e la creatura. Dio è considerato come un essere completamente altro dall'universo fisico e oltre esso, benché ne sia ancora responsabile. Nel sistema noto come panteismo, non viene fatta una tale distinzione tra Dio e l'universo fisico. Pertanto Dio è identificato con la natura stessa: ogni cosa è parte di Dio e Dio è in ogni cosa. C'è anche il panenteismo, che somiglia al panteismo in quanto l'universo è parte di Dio, ma non tutto. Una metafora è quella dell'universo come corpo di Dio.
Infine, parecchi scienziati hanno proposto un Dio che si sviluppa all'interno dell'universo, diventando alla fine così potente da rassomigliare al Demiurgo di Platone. Si può immaginare, per esempio, che la vita intelligente o persino l'intelligenza artificiale divengano più progredite e si propaghino per il cosmo, estendendo il loro controllo su parti sempre più vaste finché la manipolazione della materia e dell'energia sia tanto raffinata che questa intelligenza non si distingua più dalla natura stessa. Una tale intelligenza, di tipo simile a quella divina, potrebbe svilupparsi dai nostri discendenti, o addirittura essersi già sviluppata da una o da diverse comunità extraterrestri.
La fusione di due o più intelligenze diverse è possibile nel corso di questo processo evolutivo. Sistemi di questo tipo sono stati proposti dall'astronomo Fred Hoyle, dal fisico Frank Tipler e dallo scrittore Isaac Asimov. In questi schemi il «Dio» è chiaramente qualcosa di meno dell'universo, e benché immensamente potente non è onnipotente, e non può essere considerato il creatore dell'universo nel suo complesso, ma solo di una parte del suo contenuto organizzato. (A meno che non si introduca un sistema particolare di causalità a ritroso, per mezzo del quale la super-intelligenza alla fine dell'universo agisca a ritroso nel tempo per creare questo universo, come parte di un ciclo causale coerente. Nelle idee del fisico John Wheeler ci sono allusioni al riguardo. Anche Fred Hoyle ha discusso tale schema, ma non nel contesto di un evento creativo che abbracci tutto.)
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Bibliografia: La mente di Dio; Paul Davies, Arnoldo Mondadori Editore, 1992.
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