Il nome Gradiva, letteralmente "colei che cammina", le venne attribuito da Wilhelm Jensen in una novella, intitolata appunto Gradiva. Una fantasia pompeiana (1903).
Qui l'autore narrava di un giovane archeologo tedesco, Norbert Hanold, che a Roma in un museo vede un rilievo e ne rimane affascinato. Acquistatone un calco che porterà con sé, inizia a sognare: immagina Gradiva avanzare per le strade di Pompei e la segue finché ella non scompare nella notte dell'eruzione del 79 d.C.
Da sveglio, decide di partire per la città vesuviana, dove vedrà una fanciulla con le fattezze dell'immagine impressa nel marmo e scoprirà con felice sorpresa che si tratta di una ragazza, già sua compagna di giochi nell'infanzia e con il tempo dimenticata.
Fu Carl Gustav Jung che segnalò tale novella a Sigmund Freud (1856-1939), il quale esaminò il caso letterario come un caso psichiatrico. Nel saggio Delirio e sogno nella "Gradiva" di Jensen (1906) Freud prese spunto dalla vicenda letteraria per spiegare come le sollecitazioni esterne possano portare in superficie tensioni psichiche nascoste nell'intimo. Queste ultime si esprimono talvolta nella forma del delirio, come nel caso del protagonista, che vive un'esperienza tra realtà e immaginazione. A sua volta Freud, collezionista di arte antica, visitò il Museo Chiaramonti (in una lettera scrisse del suo "incontro" con la Gradiva) e del rilievo lì in esposizione acquistò un calco in gesso che tenne alla parete del suo studio vicino al celebre divano-lettino, sul quale si distendevano i pazienti.
Calco in gesso della Gradiva nello studio di Freud. Foto von Edmund Engelman, 1938.
Il rilievo è parte di una composizione che prevede una triade femminile avanzare da destra, secondo una ricostruzione effettuata sulla base di ulteriori esemplari a Monaco e agli Uffizi; le tre fanciulle si muovevano in
parallelo con una seconda triade femminile: sono le cosiddette Horai e Aglauridi, probabilmente ispirate da un originale greco del IV secolo a.C.
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