giovedì 26 aprile 2012

I diamanti

Se n’è parlato tanto e se ne parla ancora: oro e diamanti, mai sono stati così d’attualità. C’è chi li nasconde e chi li restituisce, qualcuno se ne tiene uno. Non è una grande novità che metalli e pietre preziose siano oggetto di attenzione da parte di chi vuole mettere al sicuro il proprio patrimonio, o magari fare un regalo importante, ma, bramosie e sentimenti a parte, che cosa sono per la scienza questi diamanti, come si ricavano e perché sono così preziosi?

Diamanti: tra queste pietre rimbalza la luce del sole e la materia raggiunge l’assoluta purezza. Gemme così splendenti da avere illuminato la fantasia dei gioiellieri, l’avidità dei rapinatori, le storie dei letterari e i sogni di tante donne fatali nel cinema, nelle canzoni e nella realtà.

Diamante

Per la scienza e la tecnologia sono semplicemente delle schegge di carbonio puro. Eppure tale elemento (il carbonio) è molto diffuso in natura, tanto abbondante che costituisce il 18% del peso del corpo umano ed è essenziale per la vita. I diamanti sono forme cristallizzate di carbonio, formatesi a pressioni e temperature estreme.

Sono i minerali più duri in natura. Il nome discende proprio da questa qualità: in greco antico diamante deriva da “indomabile”, una pietra, dunque, super resistente, dato che viene utilizzata molto nell’industria, nell’ottica, oltre che brillare come piccole stelle nei gioielli.

Per l’estrema durezza la polvere di diamante è utilizzata nelle macchine abrasive, nelle smerigliatrici, nelle punte perforatrici. E la conducibilità termica rende adatto il materiale anche nella dispersione termica nei basamenti dei superconduttori. I diamanti possono essere fabbricati artificialmente con diverse tecniche, come la sintesi ad alte temperature e pressioni.

Un metodo denominato CVD (Chemical Vapor Deposition), permette di costruire quasi i cristalli di diamante atomo per atomo.

Giacimenti importanti si trovano in Sud Africa, Australia, Botswana, Zaire, Brasile. Diamanti possono trovarsi in giacimenti primari, cioè nella roccia madre, oppure in depositi alluvionali. Mediamente, spiegano gli esperti, occorre scavare 250 tonnellate di roccia per ricavare un diamante grezzo da 1 carato.

mercoledì 25 aprile 2012

Saturno al limite

Quando si è raggiunto il limite di un certo tipo di attrezzatura di ripresa fotografica? E’ difficile dirlo. Nei giorni scorsi avevo mostrato una foto di Saturno ottenuta con un telescopio discreto, ma con attrezzatura fotografica economica e non troppo recente (una fotocamera digitale compatta Casio Exilim EX-Z1050 pagata 108 euro nel 2008) e con un seeing non troppo buono.

Questa foto di Saturno (quella a destra) è stata ottenuta con lo stesso telescopio e attrezzatura fotografica, ma stavolta il seeing era più che buono. Il risultato lo potete confrontare nelle foto sotto.

Saturno3 Saturno5
Seeing mediocre (14 aprile 2012) Seeing buono (21 aprile 2012)

Non so dire se siamo davvero “arrivati” con le possibilità della fotocamera Casio, ma facendo dei confronti con altre foto che si vedono in giro per la rete, mi sembra di capire che sarà difficile ottenere molti più dettagli con questa fotocamera. Per migliorare, mi sa che dovrò pensare ad acquistare una reflex Occhiolino. In realtà i migliori risultati nel campo della fotografia planetaria si possono ottenere solo con delle camere CCD dedicate, ma anche con alcuni modelli di reflex digitali si possono ottenere foto discrete. Inoltre la reflex si può utilizzare anche per le foto “normali” e di solito la spesa è inferiore a quella necessaria per l’acquisto con una camera CCD planetaria. I modelli più consigliati nei vari forum di astronomia sono la Canon EOS 550d e la Canon EOS 1100d, entrambe con un prezzo inferiore ai 600 euro.

Per fare un esempio, vediamo una recente bella foto di Saturno ottenuta con una Canon 550d e un telescopio un po’ più potente del mio.

Direi che la differenza c’è! Ovviamente tutte le foto mostrate in questo post (compresa l’ultima) sono state ottenute da filmati elaboranti con il software Registax 6 che, per dirlo in maniera semplificata, sovrappone i fotogrammi migliori e minimizza gli effetti della turbolenza atmosferica.


Colla fatta in casa

La colla più comune e più semplice da fare è la “colla della nonna”. Si tratta di una ricetta semplicissima che si faceva quando non c’era a disposizione nessun negozio che vendeva le colle. Bisognava utilizzare le sostanze presenti in casa. L’ingrediente principale della colla fatta in casa, infatti, è la farina.

farina per colla fatta in casa

Bisogna mettere due cucchiai di farina in un bicchiere e poi aggiungere acqua a temperatura ambiente, adesso mescoliamo. Nel frattempo facciamo bollire altra acqua. Versiamo un mezzo bicchiere di acqua bollente nell’impasto precedentemente preparato. A questo punto otterremo un impasto gelatinoso dovuto al fatto che l’amido della farina coagula a contatto con l’acqua calda. Abbiamo appena preparato la colla a caldo.

Questo tipo di colla può essere utilizzata per molte cose.

Una curiosità

Gli ebrei durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, quando non potevano uscire di casa perché erano ricercati e non avevano nulla da mangiare, toglievano la carta da parati dai muri e grattavano via la farina. Perché la colla utilizzata all’epoca per attaccare la carta da parati era fatta proprio con acqua e farina.


giovedì 19 aprile 2012

I coleotteri

Al mondo ci sono più specie di coleotteri che di ogni altro tipo di animali: se ne stimano oltre 400000 tipi differenti e se ne scoprono di nuovi ogni anno. I coleotteri vivono in habitat molto differenti e si presentano di dimensioni assai diverse. I più pesanti appartengono al genere africano del Goliathus, mentre i più grandi sono i centroamericani Hercules, che possono superare i 19 centimetri di lunghezza. I più piccoli sono gli scarabei piuma-alati, sembrano una macchiolina appena visibile ad occhio nudo: più appariscenti sono le colorate coccinelle. Al di là delle loro differenze in dimensioni, tutti i coleotteri hanno in comune le dure ali superiori, che formano una specie di corazza a protezione delle ali inferiori. Molti coleotteri sono vegetariani, ma altri sono cacciatori e carnivori: infine, alcuni passano la loro esistenza nei rifiuti e vivono nei resti in decomposizione di altri animali.

Strano ma vero
Alcune larve di coleottero si nutrono di legno e possono impiegare anche anni per giungere alla maturità. In Inghilterra, un coleottero è uscito da una ringhiera in legno di una casa… ben 47 anni dopo che gli alberi usati per costruirla erano stati abbattuti!

Coleotteri bizzarri
Nel corso di milioni di anni, molti coleotteri si sono evoluti con forme strane che costituiscono un perfetto adattamento ai propri ambienti e stili di vita. Alcune forme sono facili da spiegare, altre costituiscono un mistero per gli stessi entomologi.

Trachelophorus Giraffa

Questo curculionide deve il suo nome al lungo torace “a cavatappi”, che potrebbe aiutare questo coleottero a cercare il cibo.

Marmolyce philloides

Un coleottero a forma di violino, con due ali trasparenti intorno all’addome: abita in alcune colonie di funghi.

Anoplophora glabripennis

Coleottero dalle “lunghe corna” che sono semplici antenne.

Metriona bicolor
Metriona bicolor












E’ la tartaruga dei coleotteri: le ali superiori arrotondate e il torace piatto la rendono simile a una moneta.

Acrocinus longimanus

Detto “arlecchino”, un coleottero tropicale brillantemente colorato, che abita gli alberi di fichi e si nutre di notte.

Corna che incastrano
I maschi dei coleotteri Hercules usano le corna per intrecciarle con quelle dei rivali. Sono combattimenti apparentemente feroci, ma raramente lasciano feriti sul campo: il perdente si limita a scappare via.
Lotta tra coleotteri

Tag di Technorati:

L’agopuntura funziona?

L’agopuntura funziona davvero? Il meccanismo alla base dell’agopuntura appare complicato ed è sempre molto difficile da comprendere. Ora però alcuni ricercatori dell’Università di Berlino hanno visto aree del cervello reagire agli stimoli dell’agopuntura. Lo studio aggiunge un tassello importante per capire come il sistema nervoso centrale reagisce agli stimoli sensoriali.

Un mistero in meno sull’agopuntura, una delle pratiche mediche tradizionali alternative più diffuse. Agopuntura, una medicina con radici antiche 2500 anni in Cina e con vasta diffusione oggi anche nei paesi occidentali. Dall’autorevole rivista NewScientist arriva un’indicazione scientifica sugli effetti terapeutici di questi aghi che si appoggiano quì e là in punti cruciali del corpo. I punti sarebbero distribuiti secondo quelli che sono definiti i “meridiani” del corpo umano. Questi meridiani sarebbero 12 e sarebbero attraversati da “flussi di energia”.

Mentre non sono ancora scientificamente chiare le modalità di azione e i rapporti causa-effetto, da uno studio condotto dal Centro Studi Universitario Charité di Berlino, emerge una mappa grafica delle zone cerebrali attivate dagli aghi. Sarebbe così dimostrato, almeno, che l’agopuntura aziona delle attività che coinvolgono il Sistema Nervoso Centrale. I ricercatori di Berlino hanno utilizzato più di 100 altri studi per individuare punti cruciali dell’agopuntura nel corpo umano.

(Una delle mappe delle aree del cervello attivate dall’agopuntura)

E’ stato a partire dagli anni ‘60 che l’agopuntura ha avuto il suo grande exploit internazionale. Ha superato pian piano diverse resistenze, essendo considerata una ciarlataneria. Ora suscita l’attenzione di molti studiosi. Secondo i sostenitori l’agopuntura corregge e ripristina i flussi di un’energia che viene chiamata qi che scorrerebbero lungo i sopracitati meridiani del corpo umano. Secondo costoro i benefici sarebbero osservabili in diversi campi: la terapia del dolore, le affezioni alla schiena, gli effetti indesiderati della chemioterapia e sembra che gli effetti benefici non sono determinati esclusivamente dall’effetto placebo.

Io credo che questo studio non aggiunga molto all’argomento agopuntura, perché non determina affatto se questa sia efficace o meno nel risolvere o curare certe patologie, ma mira piuttosto a creare un legame tra stimoli sensoriali e reazioni di specifiche aree del cervello. Io credo che sia abbastanza ovvio che se si stimola una parte del corpo esisterà una zona del cervello che reagisce, bisogna solo capire qual è questa zona. Lo studio descritto fa proprio questo e non mi sembra che ci sia molta pertinenza con l’agopuntura tradizionale. Forse gli entusiasti staranno già festeggiando, ma io sono certo che sarebbe meglio tenere un atteggiamento più prudente. Quando si fanno più di 100 studi sull’agopuntura e ancora non si riesce a capire bene come agisce, significa che qualcosa che non va c’è. Inoltre, riferendomi ad un articolo del CICAP sull’agopuntura, si capisce subito che in letteratura medica i risultati ottenuti sono sempre stati molto contraddittori.

A volte non basta l’autorevolezza di una rivista scientifica per convincere coloro che sono abituati a pensare con metodo scientifico…


mercoledì 18 aprile 2012

Saturno migliorato

Uno dei soggetti più fotografati dagli astrofili è sicuramente Saturno. Il pianeta con gli anelli in effetti merita tutte le nostre attenzioni e si cerca sempre di ottenere qualche bella foto.

Il 14 aprile 2012, complice una serata con un seeing tutto sommato sufficiente, ho riprovato a fotografare Saturno con la mia attrezzatura per vedere di migliorare i mediocri risultati delle serate precedenti. Stavolta per riprendere il pianeta ho utilizzato una fotocamera compatta Casio Exilim EX-Z1050. La fotocamera è stata utilizzata in proiezione con oculare (ortoscopico 5 mm) e con il telescopio Celestron CPC 800 xlt.

Ho fatto due filmati, da 120 e da 180 secondi con la fotocamera, ed entrambi sono stati elaborati con il software Registax 6. Questo comodissimo software (ed in questa ultima versione anche facilissimo da usare) non fa altro che selezionare i migliori fotogrammi del filmato e li sovrappone con la massima precisione per ottenere una singola immagine in cui gli effetti della turbolenza atmosferica risultano molto attenuati. Lo stesso software permette anche di effettuare altre elaborazioni sull’immagine finale per migliorare ulteriormente contrasto e dettagli.

Quello che vedete è il risultato finale (che è venuto fuori dal filmato di 120 secondi). Non è ancora quello che desidero, ma già si può considerare un miglioramento rispetto ai miei risultati precedenti.

Saturno 14 aprile 2012

(Saturno fotografato la sera del 14 aprile 2012 da Pedara (CT), stavolta si vede abbastanza bene la divisione di Cassini degli anelli e una fascia atmosferica).

Mi deve solo capitare una serata con seeing buono (o anche ottimo Sorriso) per capire dove si può arrivare con una fotocamera come quella che possiedo. Ora che Saturno è in opposizione, posso fare osservazioni agevolmente, dato che resta sopra l’orizzonte tutta la notte. Ovviamente con una fotocamera migliore o con un CCD appositamente realizzato per le riprese astronomiche, si possono ottenere immagini davvero sorprendenti, ma per adesso sto cercando di capire cosa si può ottenere con una normalissima ed economica fotocamera digitale. In pratica sto cercando di “cavare sangue dalle rape”. Stiamo a vedere.


lunedì 16 aprile 2012

Titanic riassunto in 5 secondi

In questi giorni vicini all'anniversario dell'affondamento del Titanic si parla tantissimo di questa sciagura (che, lo ricordiamo, avvenne il 14 aprile del 1912). Ancora non si è finito di parlare del Titanic, dopo questi 100 anni e si sono girati film, scritti libri, creati innumerevoli documentari.

Qualcuno però ci fa notare che non era affatto necessario dilungarsi così tanto su questa vicenda e riesce a riassumerci il tutto in soli 5 secondi. Guardare per credere... ;-)

Le valigie all'aeroporto: ecco il percorso che fanno.

Lo sapete che percorso fanno le nostre valigie quando vengono imbarcate a bordo di un aereo? Questo interessante filmato, realizzato dalla Delta Air Lines ci mostra il complesso "viaggio" di una valigia al cui interno sono state installate alcune telecamere per poterlo filmare. Sembra quasi il percorso di un avventuroso gioco per pc.

Buona visione a tutti.


domenica 15 aprile 2012

La dilatazione termica lineare dei solidi

Sperimentalmente è facile dimostrare che i solidi si dilatano all’aumentare della temperatura. Una delle esperienze che si possono realizzare che mostra in maniera netta la dilatazione termica dei solidi è quello della sfera metallica che non riesce più a passare attraverso un anello dopo che è stata riscaldata.

Si tratta dell’anello di Gravesande. La sfera metallica passa a stento attraverso l’anello quando ha la sua stessa temperatura, ma appena la sfera viene riscaldata non riesce più a passare.

Questa semplicissima esperienza ci insegna che i corpi si dilatano con la temperatura. Adesso ci interessa conoscere questa dilatazione a livello quantitativo. Il caso più semplice che possiamo trattare è quello di un oggetto solido di forma molto allungata, come un filo metallico o una sbarra. Deve essere comunque un oggetto che ha altezza e profondità trascurabili rispetto alla sua lunghezza.

Per comodità consideriamo una sbarra metallica. Dato che si estende soprattutto in lunghezza, possiamo affermare, con buona approssimazione, che anche la sua dilatazione avverrà soprattutto in lunghezza. Dato che le sue altre dimensioni sono trascurabili rispetto alla lunghezza, posso trascurare anche le dilatazioni che non avvengono in lunghezza.

Detta Li la lunghezza iniziale della sbarra alla temperatura iniziale Ti, chiamiamo Lf la lunghezza finale che questa raggiunge alla temperatura finale Tf.

Avremo che:

Lf – Li = ΔL che è l’allungamento della sbarra.

Sperimentalmente si può stabilire che ΔL è:

- direttamente proporzionale alla lunghezza iniziale Li;

- direttamente proporzionale alla variazione di temperatura ΔT = Tf – Ti;

- direttamente proporzionale ad un coefficiente λ (chiamato coefficiente di dilatazione lineare) che dipende dalla sostanza.

Unendo tutte queste proporzionalità in una sola espressione matematica, avremo che:

che equivale a:

Dalla prima formula possiamo ricavare il coefficiente di dilatazione lineare λ:

da questa espressione di possiamo anche ricavare le unità di misura (del S.I.) di λ:

(dove m sta per metri e °C per gradi centigradi).

Al seguente link potete trovare una esauriente tabella dei coefficienti di dilatazione di alcuni materiali di uso comune e non.


sabato 14 aprile 2012

Chi ha scoperto l’America?

Che l’America sia stata scoperta dagli europei è ormai un dato acquisito, anche se molti dicono che i Vichinghi vi sbarcarono secoli prima di Cristoforo Colombo. Ora però si è aggiunta un’altra ipotesi: in un libro intitolato Across Atlantic Ice due archeologi affermano che i primi a colonizzare il nuovo continente furono effettivamente degli europei, ma di ben 20000 anni fa! Arrivavano dalla Spagna e dalla Francia viaggiando lungo un ponte di ghiaccio.

Quindi non da est, ma da ovest, non dall’Asia, ma dall’Europa, non dalla Siberia, ma dall’Iberia. Secondo Dennis J. Stanford e Bruce A. Bradley, a mettere per primi i piedi in America non furono gli asiatici dallo Stretto di Bering, ma degli europei che attraversarono l’Atlantico tra 22000 e 17000 anni fa, molto prima dell’arrivo in Alaska dei futuri pellerossa e indios. L’ultima glaciazione, il Würmiano, era al culmine e d’inverno l’oceano congelava fino alla Spagna del sud. Non è così strano, concludono i due archeologi dello Smithsonian Institute e dell’Università di Exeter, che popolazioni abituate al freddo estremo abbiano potuto costeggiarlo a piedi o in barca per 4000 chilometri dall’Europa all’America, trascinati anche dalla Corrente del Golfo.

LGM

(La massima estensione dei ghiacci durante l’ultima glaciazione. Esisteva un ponte di ghiaccio tra l’Europa e l’America che avrebbe permesso ad antiche popolazioni lo spostamento tra i due continenti)

Alle perplessità che hanno accolto il libro i due autori rispondono di essersi limitati a comporre in un quadro unitario scoperte che avevano già scosso la teoria della colonizzazione dall’Asia e citano, ad esempio, il ritrovamento di scheletri alti e dal cranio allungato, diversi dal tipo fisico amerindio e spesso più antichi di quello. Una distanza confermata da recenti analisi sul DNA che avrebbero rilevato marcatori genetici compatibili con l’origine europea dei resti. A sostegno della loro tesi, Stanford e Bradley giocano anche una carta “archeotecnologica”. I proto americani avrebbero ottenuto i loro strumenti, oggi ritrovati anche sott’acqua, là dove in era glaciale le terre erano emerse, con una tecnica di scheggiatura a pressione caratteristica del solutreano, una cultura diffusa in Francia e in Spagna nel Paleolitico Superiore. Arnesi identici, in altre parole, da una parte e dall’altra dell’oceano, alcuni addirittura realizzati in Europa e portati in America, come sostengono i due studiosi dopo avere esaminato il tipo di pietra.

Sarebbero stati dei solutreani, dunque, probabili cacciatori di foche a spingersi lungo il pack fino a scoprire il nuovo mondo. Se le cose andarono davvero così, rimasero soli per 6000 anni, poi dovettero incrociare i loro passi con i nuovi ospiti venuti dall’Asia, probabilmente più numerosi, organizzati, pur conservando nel loro genoma le tracce di un antico rimescolamento con i solutreani, questi ultimi prevalsero e rimasero gli unici americani fino a quando Colombo non pose le basi per un ritorno in forze degli europei.


La vita su Marte: ecco le nuove scoperte

Sono passati 51 anni dal primo volo nello spazio di Jury Gagarin (nel 1961) e sono passati anche 31 anni dal primo volo dello Shuttle Columbia (12 aprile 1981). Anche il progetto Shuttle sembra qualcosa di "antico" nell'era dei computer. Molti di noi ricordano i suoi primi lanci quando eravamo ancora bambini. Sembra strano che l'esplorazione spaziale, da sempre sinonimo di "futuro", stia diventando sempre più "passato". Tra un decennio solo quelli vicini alla pensione (vicini si fa per dire...) ricorderanno il volo di Gagarin!

Ma, a questo punto, qual è il vero futuro dell'esplorazione spaziale?

Tracce di ghiaccio d'acqua all'interno di un cratere di Marte


Il professor Roberto Orosei dell'Inaf  di Roma ha parlato recentemente delle ultime scoperte che riguardano il pianeta Marte. Orosei ritiene che la scoperta più importante sia quella del metano nell'atmosfera marziana. Questo perché il metano non può sopravvivere a lungo in quel tipo di ambiente perché viene distrutto dalla radiazione ultravioletta proveniente da Sole. Questo significa che se c'è metano nell'atmosfera di Marte è perché questo viene prodotto da "qualcosa" in maniera continua. Di solito il metano viene prodotto da sistemi biologici. In fatto che su Marte siano state trovate tracce di ghiaccio d'acqua e, contemporaneamente, di metano può avere un significato molto importante.

Anche se il ghiaccio non è un buon segno per la presenza della vita, gli scienziati non si sono ancora arresi e credono di poter trovare acqua liquida in strati di terreno profondi alcuni metri sotto la superficie di Marte. Ed è proprio uno strumento italiano, un radar, che sta cercando tracce di acqua nel sottosuolo marziano.

Ma come si fa a sapere che il metano può essere prodotto da sistemi biologici? Il metano viene prodotto da due processi fondamentali: l'attività vulcanica e l'attività dei batteri. La prima ipotesi può essere facilmente scartata: l'attività vulcanica su Marte è già terminata alcuni miliardi di anni fa. Resta da sondare la seconda ipotesi.

Dall'analisi della struttura geologica della superficie di Marte si è ormai potuto appurare che sul pianeta in un'epoca molto lontana c'era acqua liquida. Probabilmente si era diffusa la vita. Se si riuscisse a dimostrare questa tesi, e cioè che la vita si sviluppò su Marte indipendentemente dalla vita sulla Terra, dovremmo ammettere che la vita sia un processo biologico molto comune che "deve" svilupparsi quando ci sono le condizioni ambientali adatte. Quindi è possibile che l'Universo brulichi di vita.

Per capire in maniera definitiva se c'è (o c'era) vita su Marte sarebbe necessaria una missione spaziale su Marte che possa mettere la parola fine a questo enigma. Ecco quale sarebbe il vero futuro dell'esplorazione spaziale, e potrebbe portare una rivoluzione scientifica davvero imponente.


Space X Starship: il nuovo tentativo di lancio del 18 novembre 2023.

Vediamo un frammento della diretta del lancio dello Starship del 18 noembre 2023. Il Booster 9, il primo stadio del razzo, esplode poco dopo...