giovedì 19 aprile 2012

I coleotteri

Al mondo ci sono più specie di coleotteri che di ogni altro tipo di animali: se ne stimano oltre 400000 tipi differenti e se ne scoprono di nuovi ogni anno. I coleotteri vivono in habitat molto differenti e si presentano di dimensioni assai diverse. I più pesanti appartengono al genere africano del Goliathus, mentre i più grandi sono i centroamericani Hercules, che possono superare i 19 centimetri di lunghezza. I più piccoli sono gli scarabei piuma-alati, sembrano una macchiolina appena visibile ad occhio nudo: più appariscenti sono le colorate coccinelle. Al di là delle loro differenze in dimensioni, tutti i coleotteri hanno in comune le dure ali superiori, che formano una specie di corazza a protezione delle ali inferiori. Molti coleotteri sono vegetariani, ma altri sono cacciatori e carnivori: infine, alcuni passano la loro esistenza nei rifiuti e vivono nei resti in decomposizione di altri animali.

Strano ma vero
Alcune larve di coleottero si nutrono di legno e possono impiegare anche anni per giungere alla maturità. In Inghilterra, un coleottero è uscito da una ringhiera in legno di una casa… ben 47 anni dopo che gli alberi usati per costruirla erano stati abbattuti!

Coleotteri bizzarri
Nel corso di milioni di anni, molti coleotteri si sono evoluti con forme strane che costituiscono un perfetto adattamento ai propri ambienti e stili di vita. Alcune forme sono facili da spiegare, altre costituiscono un mistero per gli stessi entomologi.

Trachelophorus Giraffa

Questo curculionide deve il suo nome al lungo torace “a cavatappi”, che potrebbe aiutare questo coleottero a cercare il cibo.

Marmolyce philloides

Un coleottero a forma di violino, con due ali trasparenti intorno all’addome: abita in alcune colonie di funghi.

Anoplophora glabripennis

Coleottero dalle “lunghe corna” che sono semplici antenne.

Metriona bicolor
Metriona bicolor












E’ la tartaruga dei coleotteri: le ali superiori arrotondate e il torace piatto la rendono simile a una moneta.

Acrocinus longimanus

Detto “arlecchino”, un coleottero tropicale brillantemente colorato, che abita gli alberi di fichi e si nutre di notte.

Corna che incastrano
I maschi dei coleotteri Hercules usano le corna per intrecciarle con quelle dei rivali. Sono combattimenti apparentemente feroci, ma raramente lasciano feriti sul campo: il perdente si limita a scappare via.
Lotta tra coleotteri

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L’agopuntura funziona?

L’agopuntura funziona davvero? Il meccanismo alla base dell’agopuntura appare complicato ed è sempre molto difficile da comprendere. Ora però alcuni ricercatori dell’Università di Berlino hanno visto aree del cervello reagire agli stimoli dell’agopuntura. Lo studio aggiunge un tassello importante per capire come il sistema nervoso centrale reagisce agli stimoli sensoriali.

Un mistero in meno sull’agopuntura, una delle pratiche mediche tradizionali alternative più diffuse. Agopuntura, una medicina con radici antiche 2500 anni in Cina e con vasta diffusione oggi anche nei paesi occidentali. Dall’autorevole rivista NewScientist arriva un’indicazione scientifica sugli effetti terapeutici di questi aghi che si appoggiano quì e là in punti cruciali del corpo. I punti sarebbero distribuiti secondo quelli che sono definiti i “meridiani” del corpo umano. Questi meridiani sarebbero 12 e sarebbero attraversati da “flussi di energia”.

Mentre non sono ancora scientificamente chiare le modalità di azione e i rapporti causa-effetto, da uno studio condotto dal Centro Studi Universitario Charité di Berlino, emerge una mappa grafica delle zone cerebrali attivate dagli aghi. Sarebbe così dimostrato, almeno, che l’agopuntura aziona delle attività che coinvolgono il Sistema Nervoso Centrale. I ricercatori di Berlino hanno utilizzato più di 100 altri studi per individuare punti cruciali dell’agopuntura nel corpo umano.

(Una delle mappe delle aree del cervello attivate dall’agopuntura)

E’ stato a partire dagli anni ‘60 che l’agopuntura ha avuto il suo grande exploit internazionale. Ha superato pian piano diverse resistenze, essendo considerata una ciarlataneria. Ora suscita l’attenzione di molti studiosi. Secondo i sostenitori l’agopuntura corregge e ripristina i flussi di un’energia che viene chiamata qi che scorrerebbero lungo i sopracitati meridiani del corpo umano. Secondo costoro i benefici sarebbero osservabili in diversi campi: la terapia del dolore, le affezioni alla schiena, gli effetti indesiderati della chemioterapia e sembra che gli effetti benefici non sono determinati esclusivamente dall’effetto placebo.

Io credo che questo studio non aggiunga molto all’argomento agopuntura, perché non determina affatto se questa sia efficace o meno nel risolvere o curare certe patologie, ma mira piuttosto a creare un legame tra stimoli sensoriali e reazioni di specifiche aree del cervello. Io credo che sia abbastanza ovvio che se si stimola una parte del corpo esisterà una zona del cervello che reagisce, bisogna solo capire qual è questa zona. Lo studio descritto fa proprio questo e non mi sembra che ci sia molta pertinenza con l’agopuntura tradizionale. Forse gli entusiasti staranno già festeggiando, ma io sono certo che sarebbe meglio tenere un atteggiamento più prudente. Quando si fanno più di 100 studi sull’agopuntura e ancora non si riesce a capire bene come agisce, significa che qualcosa che non va c’è. Inoltre, riferendomi ad un articolo del CICAP sull’agopuntura, si capisce subito che in letteratura medica i risultati ottenuti sono sempre stati molto contraddittori.

A volte non basta l’autorevolezza di una rivista scientifica per convincere coloro che sono abituati a pensare con metodo scientifico…


mercoledì 18 aprile 2012

Saturno migliorato

Uno dei soggetti più fotografati dagli astrofili è sicuramente Saturno. Il pianeta con gli anelli in effetti merita tutte le nostre attenzioni e si cerca sempre di ottenere qualche bella foto.

Il 14 aprile 2012, complice una serata con un seeing tutto sommato sufficiente, ho riprovato a fotografare Saturno con la mia attrezzatura per vedere di migliorare i mediocri risultati delle serate precedenti. Stavolta per riprendere il pianeta ho utilizzato una fotocamera compatta Casio Exilim EX-Z1050. La fotocamera è stata utilizzata in proiezione con oculare (ortoscopico 5 mm) e con il telescopio Celestron CPC 800 xlt.

Ho fatto due filmati, da 120 e da 180 secondi con la fotocamera, ed entrambi sono stati elaborati con il software Registax 6. Questo comodissimo software (ed in questa ultima versione anche facilissimo da usare) non fa altro che selezionare i migliori fotogrammi del filmato e li sovrappone con la massima precisione per ottenere una singola immagine in cui gli effetti della turbolenza atmosferica risultano molto attenuati. Lo stesso software permette anche di effettuare altre elaborazioni sull’immagine finale per migliorare ulteriormente contrasto e dettagli.

Quello che vedete è il risultato finale (che è venuto fuori dal filmato di 120 secondi). Non è ancora quello che desidero, ma già si può considerare un miglioramento rispetto ai miei risultati precedenti.

Saturno 14 aprile 2012

(Saturno fotografato la sera del 14 aprile 2012 da Pedara (CT), stavolta si vede abbastanza bene la divisione di Cassini degli anelli e una fascia atmosferica).

Mi deve solo capitare una serata con seeing buono (o anche ottimo Sorriso) per capire dove si può arrivare con una fotocamera come quella che possiedo. Ora che Saturno è in opposizione, posso fare osservazioni agevolmente, dato che resta sopra l’orizzonte tutta la notte. Ovviamente con una fotocamera migliore o con un CCD appositamente realizzato per le riprese astronomiche, si possono ottenere immagini davvero sorprendenti, ma per adesso sto cercando di capire cosa si può ottenere con una normalissima ed economica fotocamera digitale. In pratica sto cercando di “cavare sangue dalle rape”. Stiamo a vedere.


lunedì 16 aprile 2012

Titanic riassunto in 5 secondi

In questi giorni vicini all'anniversario dell'affondamento del Titanic si parla tantissimo di questa sciagura (che, lo ricordiamo, avvenne il 14 aprile del 1912). Ancora non si è finito di parlare del Titanic, dopo questi 100 anni e si sono girati film, scritti libri, creati innumerevoli documentari.

Qualcuno però ci fa notare che non era affatto necessario dilungarsi così tanto su questa vicenda e riesce a riassumerci il tutto in soli 5 secondi. Guardare per credere... ;-)

Le valigie all'aeroporto: ecco il percorso che fanno.

Lo sapete che percorso fanno le nostre valigie quando vengono imbarcate a bordo di un aereo? Questo interessante filmato, realizzato dalla Delta Air Lines ci mostra il complesso "viaggio" di una valigia al cui interno sono state installate alcune telecamere per poterlo filmare. Sembra quasi il percorso di un avventuroso gioco per pc.

Buona visione a tutti.


domenica 15 aprile 2012

La dilatazione termica lineare dei solidi

Sperimentalmente è facile dimostrare che i solidi si dilatano all’aumentare della temperatura. Una delle esperienze che si possono realizzare che mostra in maniera netta la dilatazione termica dei solidi è quello della sfera metallica che non riesce più a passare attraverso un anello dopo che è stata riscaldata.

Si tratta dell’anello di Gravesande. La sfera metallica passa a stento attraverso l’anello quando ha la sua stessa temperatura, ma appena la sfera viene riscaldata non riesce più a passare.

Questa semplicissima esperienza ci insegna che i corpi si dilatano con la temperatura. Adesso ci interessa conoscere questa dilatazione a livello quantitativo. Il caso più semplice che possiamo trattare è quello di un oggetto solido di forma molto allungata, come un filo metallico o una sbarra. Deve essere comunque un oggetto che ha altezza e profondità trascurabili rispetto alla sua lunghezza.

Per comodità consideriamo una sbarra metallica. Dato che si estende soprattutto in lunghezza, possiamo affermare, con buona approssimazione, che anche la sua dilatazione avverrà soprattutto in lunghezza. Dato che le sue altre dimensioni sono trascurabili rispetto alla lunghezza, posso trascurare anche le dilatazioni che non avvengono in lunghezza.

Detta Li la lunghezza iniziale della sbarra alla temperatura iniziale Ti, chiamiamo Lf la lunghezza finale che questa raggiunge alla temperatura finale Tf.

Avremo che:

Lf – Li = ΔL che è l’allungamento della sbarra.

Sperimentalmente si può stabilire che ΔL è:

- direttamente proporzionale alla lunghezza iniziale Li;

- direttamente proporzionale alla variazione di temperatura ΔT = Tf – Ti;

- direttamente proporzionale ad un coefficiente λ (chiamato coefficiente di dilatazione lineare) che dipende dalla sostanza.

Unendo tutte queste proporzionalità in una sola espressione matematica, avremo che:

che equivale a:

Dalla prima formula possiamo ricavare il coefficiente di dilatazione lineare λ:

da questa espressione di possiamo anche ricavare le unità di misura (del S.I.) di λ:

(dove m sta per metri e °C per gradi centigradi).

Al seguente link potete trovare una esauriente tabella dei coefficienti di dilatazione di alcuni materiali di uso comune e non.


sabato 14 aprile 2012

Chi ha scoperto l’America?

Che l’America sia stata scoperta dagli europei è ormai un dato acquisito, anche se molti dicono che i Vichinghi vi sbarcarono secoli prima di Cristoforo Colombo. Ora però si è aggiunta un’altra ipotesi: in un libro intitolato Across Atlantic Ice due archeologi affermano che i primi a colonizzare il nuovo continente furono effettivamente degli europei, ma di ben 20000 anni fa! Arrivavano dalla Spagna e dalla Francia viaggiando lungo un ponte di ghiaccio.

Quindi non da est, ma da ovest, non dall’Asia, ma dall’Europa, non dalla Siberia, ma dall’Iberia. Secondo Dennis J. Stanford e Bruce A. Bradley, a mettere per primi i piedi in America non furono gli asiatici dallo Stretto di Bering, ma degli europei che attraversarono l’Atlantico tra 22000 e 17000 anni fa, molto prima dell’arrivo in Alaska dei futuri pellerossa e indios. L’ultima glaciazione, il Würmiano, era al culmine e d’inverno l’oceano congelava fino alla Spagna del sud. Non è così strano, concludono i due archeologi dello Smithsonian Institute e dell’Università di Exeter, che popolazioni abituate al freddo estremo abbiano potuto costeggiarlo a piedi o in barca per 4000 chilometri dall’Europa all’America, trascinati anche dalla Corrente del Golfo.

LGM

(La massima estensione dei ghiacci durante l’ultima glaciazione. Esisteva un ponte di ghiaccio tra l’Europa e l’America che avrebbe permesso ad antiche popolazioni lo spostamento tra i due continenti)

Alle perplessità che hanno accolto il libro i due autori rispondono di essersi limitati a comporre in un quadro unitario scoperte che avevano già scosso la teoria della colonizzazione dall’Asia e citano, ad esempio, il ritrovamento di scheletri alti e dal cranio allungato, diversi dal tipo fisico amerindio e spesso più antichi di quello. Una distanza confermata da recenti analisi sul DNA che avrebbero rilevato marcatori genetici compatibili con l’origine europea dei resti. A sostegno della loro tesi, Stanford e Bradley giocano anche una carta “archeotecnologica”. I proto americani avrebbero ottenuto i loro strumenti, oggi ritrovati anche sott’acqua, là dove in era glaciale le terre erano emerse, con una tecnica di scheggiatura a pressione caratteristica del solutreano, una cultura diffusa in Francia e in Spagna nel Paleolitico Superiore. Arnesi identici, in altre parole, da una parte e dall’altra dell’oceano, alcuni addirittura realizzati in Europa e portati in America, come sostengono i due studiosi dopo avere esaminato il tipo di pietra.

Sarebbero stati dei solutreani, dunque, probabili cacciatori di foche a spingersi lungo il pack fino a scoprire il nuovo mondo. Se le cose andarono davvero così, rimasero soli per 6000 anni, poi dovettero incrociare i loro passi con i nuovi ospiti venuti dall’Asia, probabilmente più numerosi, organizzati, pur conservando nel loro genoma le tracce di un antico rimescolamento con i solutreani, questi ultimi prevalsero e rimasero gli unici americani fino a quando Colombo non pose le basi per un ritorno in forze degli europei.


La vita su Marte: ecco le nuove scoperte

Sono passati 51 anni dal primo volo nello spazio di Jury Gagarin (nel 1961) e sono passati anche 31 anni dal primo volo dello Shuttle Columbia (12 aprile 1981). Anche il progetto Shuttle sembra qualcosa di "antico" nell'era dei computer. Molti di noi ricordano i suoi primi lanci quando eravamo ancora bambini. Sembra strano che l'esplorazione spaziale, da sempre sinonimo di "futuro", stia diventando sempre più "passato". Tra un decennio solo quelli vicini alla pensione (vicini si fa per dire...) ricorderanno il volo di Gagarin!

Ma, a questo punto, qual è il vero futuro dell'esplorazione spaziale?

Tracce di ghiaccio d'acqua all'interno di un cratere di Marte


Il professor Roberto Orosei dell'Inaf  di Roma ha parlato recentemente delle ultime scoperte che riguardano il pianeta Marte. Orosei ritiene che la scoperta più importante sia quella del metano nell'atmosfera marziana. Questo perché il metano non può sopravvivere a lungo in quel tipo di ambiente perché viene distrutto dalla radiazione ultravioletta proveniente da Sole. Questo significa che se c'è metano nell'atmosfera di Marte è perché questo viene prodotto da "qualcosa" in maniera continua. Di solito il metano viene prodotto da sistemi biologici. In fatto che su Marte siano state trovate tracce di ghiaccio d'acqua e, contemporaneamente, di metano può avere un significato molto importante.

Anche se il ghiaccio non è un buon segno per la presenza della vita, gli scienziati non si sono ancora arresi e credono di poter trovare acqua liquida in strati di terreno profondi alcuni metri sotto la superficie di Marte. Ed è proprio uno strumento italiano, un radar, che sta cercando tracce di acqua nel sottosuolo marziano.

Ma come si fa a sapere che il metano può essere prodotto da sistemi biologici? Il metano viene prodotto da due processi fondamentali: l'attività vulcanica e l'attività dei batteri. La prima ipotesi può essere facilmente scartata: l'attività vulcanica su Marte è già terminata alcuni miliardi di anni fa. Resta da sondare la seconda ipotesi.

Dall'analisi della struttura geologica della superficie di Marte si è ormai potuto appurare che sul pianeta in un'epoca molto lontana c'era acqua liquida. Probabilmente si era diffusa la vita. Se si riuscisse a dimostrare questa tesi, e cioè che la vita si sviluppò su Marte indipendentemente dalla vita sulla Terra, dovremmo ammettere che la vita sia un processo biologico molto comune che "deve" svilupparsi quando ci sono le condizioni ambientali adatte. Quindi è possibile che l'Universo brulichi di vita.

Per capire in maniera definitiva se c'è (o c'era) vita su Marte sarebbe necessaria una missione spaziale su Marte che possa mettere la parola fine a questo enigma. Ecco quale sarebbe il vero futuro dell'esplorazione spaziale, e potrebbe portare una rivoluzione scientifica davvero imponente.


venerdì 13 aprile 2012

Letto di chiodi: in realtà è abbastanza comodo…

Molti sono convinti che per coricarsi in un letto di chiodi occorre possedere delle capacità particolari, di solito associate alla meditazione o alla spiritualità. In realtà la spiegazione non è affatto così “trascendentale” e per capirlo basta avere bene in mente il concetto di pressione.

letto di chiodi

La pressione in Fisica è definita come il rapporto tra la forza che agisce perpendicolarmente su una superficie e la superficie stessa. In formula abbiamo:

dove F è la forza e S è la superficie. Questo significa che anche se la forza è poco intensa, ma la superficie è molto piccola, la pressione è molto grande. E’ il principio del chiodo che riesce a bucare una superficie anche molto dura, infatti in questo caso la forza si concentra in una superficie molto piccola, la punta, e la pressione è altissima. Ma se la forza è grande e la superficie è pure molto grande? In questo caso si capisce subito che la pressione è molto minore.

Questo fa capire che coricarsi in un letto di chiodi non è un’operazione molto difficile. La forza peso del soggetto viene infatti distribuita in molti chiodi. Se, ad esempio, ci sono 100 chiodi e la persona ha una massa di 70 Kg, significa che ci sono 0,7 Kg per ogni chiodo (70 Kg/100 chiodi). Se provate a poggiare qualcosa di 0,7 Kg su un chiodo di sicuro non si buca.

Nel video possiamo vedere il professor Joe Wolfe che ci mostra com’è facile e confortevole coricarsi su un letto di chiodi. E non solo: guardate bene cosa riesce a fare!

Buona visione a tutti.


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Il suono nel vuoto: non è possibile.

In questo video possiamo vedere un esperimento che dimostra che il suono non può propagarsi nel vuoto. Le onde sonore possono propagarsi nell’aria a causa del fatto che si trasmettono attraverso il movimento oscillante di miliardi di microscopiche molecole. Il suono per trasmettersi ha sempre bisogno di un “mezzo” di propagazione, che può essere un gas, un liquido o anche un solido. Quando il mezzo di propagazione viene a mancare, il suono sparisce. Di solito nei film di fantascienza questa nozione viene (per ragioni di spettacolarità) dimenticata, infatti le “esplosioni di astronavi” nello spazio vengono sempre associate ad un suono molto forte, invece qualsiasi impatto o esplosione di quel tipo avverrebbe nel più assoluto silenzio. Inoltre vengono rappresentate anche fiamme, ma anche questo è sbagliato: nello spazio è impossibile anche la combustione. Questa però è un’altra storia.

astronave che esplode

Torniamo al suono nel vuoto. Nell’esperimento di questo filmato possiamo vedere un campanello che è stato sistemato all’interno di un contenitore in cui viene fatto il vuoto per mezzo di una pompa. Man mano che l’aria viene estratta dal contenitore il suono del campanello diventa sempre più debole. Appena l’aria viene fatta rientrare il suono del campanello torna ad aumentare.

Il risultato di questa prova sperimentale è che il suono non riesce a propagarsi nel vuoto.

Buona visione del filmato.


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giovedì 12 aprile 2012

Scienza e fede

Siamo nel Terzo Millennio e gli uomini vivono tra scienza e tecnologie pervasive e non solo resta spazio per Dio, ma Dio è ovunque. Così esordisce un numero speciale del NewScientist, una delle più importanti riviste scientifiche del mondo. Si tratta di un numero speciale intitolato The God Issue (la questione Dio). La rivista indaga su dove e da quanto tempo risieda nel cervello umano l’idea o il bisogno di religiosità. Un pensiero, una sensibilità costante, probabilmente insopprimibile, occupa i pensieri dei filosofi, ma anche di tutte le persone che si dicono laiche o che professano l’ateismo.

(La copertina del numero speciale del 17 marzo 2012 della rivista NewScientist, dedicato alla questione Dio).

L’indagine del NewScientist non potrebbe non procedere in modo scientifico. Lo psicologo e antropologo sostiene che la mente nasce con uno spazio interno dedicato a Dio o all’idea o al bisogno di Dio o di divinità o di religione che dir si voglia. Da un punto di vista più antropologico un’altra parte del saggio disamina l’idea di Dio insieme alla nascita dell’uomo dagli albori e qui afferma che l’idea di Dio è stata decisiva per generare la civilizzazione. E’ così insita nella mente e nella psicologia l’idea di Dio che in suo nome sono state però alzate bandiere di guerra e organizzate invasioni ed eccidi contro gli altri, spesso colpevoli solo di essere fedeli ad un altro Dio.

NewScientist fa parlare poi Alain de Botton, divulgatore e filosofo svizzero il quale in libro recente, Religion for Atheists (titolo italiano: Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti), dice in sostanza che non è tema posto in genere dagli uomini in termini razionali e che dunque non gli interessa. Egli aderisce piuttosto al pensiero di Richard Dawkins, etologo e biologo dell’evoluzione, secondo cui il senso di Dio è una manifestazione di limitatezza di vedute.

Non potevano non chiedersi quelli di NewScientist se l’ipotesi di Dio sia verificabile e allora vi si dice che la maggior parte dei membri dell’Accademia delle Scienze USA non crede a una divinità. Comunque è importante citare che l’Accademia ha affermato ufficialmente che la scienza non dice nulla sul soprannaturale e quindi si dichiara neutrale sull’argomento.

C’è da dire però che, involontariamente, la scienza nella storia ha spesso ricondotto alcuni fatti ritenuti soprannaturali a fatti perfettamente spiegabili scientificamente. E’ una neutralità non del tutto neutrale…


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Space X Starship: il nuovo tentativo di lancio del 18 novembre 2023.

Vediamo un frammento della diretta del lancio dello Starship del 18 noembre 2023. Il Booster 9, il primo stadio del razzo, esplode poco dopo...