domenica 15 aprile 2012

La dilatazione termica lineare dei solidi

Sperimentalmente è facile dimostrare che i solidi si dilatano all’aumentare della temperatura. Una delle esperienze che si possono realizzare che mostra in maniera netta la dilatazione termica dei solidi è quello della sfera metallica che non riesce più a passare attraverso un anello dopo che è stata riscaldata.

Si tratta dell’anello di Gravesande. La sfera metallica passa a stento attraverso l’anello quando ha la sua stessa temperatura, ma appena la sfera viene riscaldata non riesce più a passare.

Questa semplicissima esperienza ci insegna che i corpi si dilatano con la temperatura. Adesso ci interessa conoscere questa dilatazione a livello quantitativo. Il caso più semplice che possiamo trattare è quello di un oggetto solido di forma molto allungata, come un filo metallico o una sbarra. Deve essere comunque un oggetto che ha altezza e profondità trascurabili rispetto alla sua lunghezza.

Per comodità consideriamo una sbarra metallica. Dato che si estende soprattutto in lunghezza, possiamo affermare, con buona approssimazione, che anche la sua dilatazione avverrà soprattutto in lunghezza. Dato che le sue altre dimensioni sono trascurabili rispetto alla lunghezza, posso trascurare anche le dilatazioni che non avvengono in lunghezza.

Detta Li la lunghezza iniziale della sbarra alla temperatura iniziale Ti, chiamiamo Lf la lunghezza finale che questa raggiunge alla temperatura finale Tf.

Avremo che:

Lf – Li = ΔL che è l’allungamento della sbarra.

Sperimentalmente si può stabilire che ΔL è:

- direttamente proporzionale alla lunghezza iniziale Li;

- direttamente proporzionale alla variazione di temperatura ΔT = Tf – Ti;

- direttamente proporzionale ad un coefficiente λ (chiamato coefficiente di dilatazione lineare) che dipende dalla sostanza.

Unendo tutte queste proporzionalità in una sola espressione matematica, avremo che:

che equivale a:

Dalla prima formula possiamo ricavare il coefficiente di dilatazione lineare λ:

da questa espressione di possiamo anche ricavare le unità di misura (del S.I.) di λ:

(dove m sta per metri e °C per gradi centigradi).

Al seguente link potete trovare una esauriente tabella dei coefficienti di dilatazione di alcuni materiali di uso comune e non.


sabato 14 aprile 2012

Chi ha scoperto l’America?

Che l’America sia stata scoperta dagli europei è ormai un dato acquisito, anche se molti dicono che i Vichinghi vi sbarcarono secoli prima di Cristoforo Colombo. Ora però si è aggiunta un’altra ipotesi: in un libro intitolato Across Atlantic Ice due archeologi affermano che i primi a colonizzare il nuovo continente furono effettivamente degli europei, ma di ben 20000 anni fa! Arrivavano dalla Spagna e dalla Francia viaggiando lungo un ponte di ghiaccio.

Quindi non da est, ma da ovest, non dall’Asia, ma dall’Europa, non dalla Siberia, ma dall’Iberia. Secondo Dennis J. Stanford e Bruce A. Bradley, a mettere per primi i piedi in America non furono gli asiatici dallo Stretto di Bering, ma degli europei che attraversarono l’Atlantico tra 22000 e 17000 anni fa, molto prima dell’arrivo in Alaska dei futuri pellerossa e indios. L’ultima glaciazione, il Würmiano, era al culmine e d’inverno l’oceano congelava fino alla Spagna del sud. Non è così strano, concludono i due archeologi dello Smithsonian Institute e dell’Università di Exeter, che popolazioni abituate al freddo estremo abbiano potuto costeggiarlo a piedi o in barca per 4000 chilometri dall’Europa all’America, trascinati anche dalla Corrente del Golfo.

LGM

(La massima estensione dei ghiacci durante l’ultima glaciazione. Esisteva un ponte di ghiaccio tra l’Europa e l’America che avrebbe permesso ad antiche popolazioni lo spostamento tra i due continenti)

Alle perplessità che hanno accolto il libro i due autori rispondono di essersi limitati a comporre in un quadro unitario scoperte che avevano già scosso la teoria della colonizzazione dall’Asia e citano, ad esempio, il ritrovamento di scheletri alti e dal cranio allungato, diversi dal tipo fisico amerindio e spesso più antichi di quello. Una distanza confermata da recenti analisi sul DNA che avrebbero rilevato marcatori genetici compatibili con l’origine europea dei resti. A sostegno della loro tesi, Stanford e Bradley giocano anche una carta “archeotecnologica”. I proto americani avrebbero ottenuto i loro strumenti, oggi ritrovati anche sott’acqua, là dove in era glaciale le terre erano emerse, con una tecnica di scheggiatura a pressione caratteristica del solutreano, una cultura diffusa in Francia e in Spagna nel Paleolitico Superiore. Arnesi identici, in altre parole, da una parte e dall’altra dell’oceano, alcuni addirittura realizzati in Europa e portati in America, come sostengono i due studiosi dopo avere esaminato il tipo di pietra.

Sarebbero stati dei solutreani, dunque, probabili cacciatori di foche a spingersi lungo il pack fino a scoprire il nuovo mondo. Se le cose andarono davvero così, rimasero soli per 6000 anni, poi dovettero incrociare i loro passi con i nuovi ospiti venuti dall’Asia, probabilmente più numerosi, organizzati, pur conservando nel loro genoma le tracce di un antico rimescolamento con i solutreani, questi ultimi prevalsero e rimasero gli unici americani fino a quando Colombo non pose le basi per un ritorno in forze degli europei.


La vita su Marte: ecco le nuove scoperte

Sono passati 51 anni dal primo volo nello spazio di Jury Gagarin (nel 1961) e sono passati anche 31 anni dal primo volo dello Shuttle Columbia (12 aprile 1981). Anche il progetto Shuttle sembra qualcosa di "antico" nell'era dei computer. Molti di noi ricordano i suoi primi lanci quando eravamo ancora bambini. Sembra strano che l'esplorazione spaziale, da sempre sinonimo di "futuro", stia diventando sempre più "passato". Tra un decennio solo quelli vicini alla pensione (vicini si fa per dire...) ricorderanno il volo di Gagarin!

Ma, a questo punto, qual è il vero futuro dell'esplorazione spaziale?

Tracce di ghiaccio d'acqua all'interno di un cratere di Marte


Il professor Roberto Orosei dell'Inaf  di Roma ha parlato recentemente delle ultime scoperte che riguardano il pianeta Marte. Orosei ritiene che la scoperta più importante sia quella del metano nell'atmosfera marziana. Questo perché il metano non può sopravvivere a lungo in quel tipo di ambiente perché viene distrutto dalla radiazione ultravioletta proveniente da Sole. Questo significa che se c'è metano nell'atmosfera di Marte è perché questo viene prodotto da "qualcosa" in maniera continua. Di solito il metano viene prodotto da sistemi biologici. In fatto che su Marte siano state trovate tracce di ghiaccio d'acqua e, contemporaneamente, di metano può avere un significato molto importante.

Anche se il ghiaccio non è un buon segno per la presenza della vita, gli scienziati non si sono ancora arresi e credono di poter trovare acqua liquida in strati di terreno profondi alcuni metri sotto la superficie di Marte. Ed è proprio uno strumento italiano, un radar, che sta cercando tracce di acqua nel sottosuolo marziano.

Ma come si fa a sapere che il metano può essere prodotto da sistemi biologici? Il metano viene prodotto da due processi fondamentali: l'attività vulcanica e l'attività dei batteri. La prima ipotesi può essere facilmente scartata: l'attività vulcanica su Marte è già terminata alcuni miliardi di anni fa. Resta da sondare la seconda ipotesi.

Dall'analisi della struttura geologica della superficie di Marte si è ormai potuto appurare che sul pianeta in un'epoca molto lontana c'era acqua liquida. Probabilmente si era diffusa la vita. Se si riuscisse a dimostrare questa tesi, e cioè che la vita si sviluppò su Marte indipendentemente dalla vita sulla Terra, dovremmo ammettere che la vita sia un processo biologico molto comune che "deve" svilupparsi quando ci sono le condizioni ambientali adatte. Quindi è possibile che l'Universo brulichi di vita.

Per capire in maniera definitiva se c'è (o c'era) vita su Marte sarebbe necessaria una missione spaziale su Marte che possa mettere la parola fine a questo enigma. Ecco quale sarebbe il vero futuro dell'esplorazione spaziale, e potrebbe portare una rivoluzione scientifica davvero imponente.


venerdì 13 aprile 2012

Letto di chiodi: in realtà è abbastanza comodo…

Molti sono convinti che per coricarsi in un letto di chiodi occorre possedere delle capacità particolari, di solito associate alla meditazione o alla spiritualità. In realtà la spiegazione non è affatto così “trascendentale” e per capirlo basta avere bene in mente il concetto di pressione.

letto di chiodi

La pressione in Fisica è definita come il rapporto tra la forza che agisce perpendicolarmente su una superficie e la superficie stessa. In formula abbiamo:

dove F è la forza e S è la superficie. Questo significa che anche se la forza è poco intensa, ma la superficie è molto piccola, la pressione è molto grande. E’ il principio del chiodo che riesce a bucare una superficie anche molto dura, infatti in questo caso la forza si concentra in una superficie molto piccola, la punta, e la pressione è altissima. Ma se la forza è grande e la superficie è pure molto grande? In questo caso si capisce subito che la pressione è molto minore.

Questo fa capire che coricarsi in un letto di chiodi non è un’operazione molto difficile. La forza peso del soggetto viene infatti distribuita in molti chiodi. Se, ad esempio, ci sono 100 chiodi e la persona ha una massa di 70 Kg, significa che ci sono 0,7 Kg per ogni chiodo (70 Kg/100 chiodi). Se provate a poggiare qualcosa di 0,7 Kg su un chiodo di sicuro non si buca.

Nel video possiamo vedere il professor Joe Wolfe che ci mostra com’è facile e confortevole coricarsi su un letto di chiodi. E non solo: guardate bene cosa riesce a fare!

Buona visione a tutti.


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Il suono nel vuoto: non è possibile.

In questo video possiamo vedere un esperimento che dimostra che il suono non può propagarsi nel vuoto. Le onde sonore possono propagarsi nell’aria a causa del fatto che si trasmettono attraverso il movimento oscillante di miliardi di microscopiche molecole. Il suono per trasmettersi ha sempre bisogno di un “mezzo” di propagazione, che può essere un gas, un liquido o anche un solido. Quando il mezzo di propagazione viene a mancare, il suono sparisce. Di solito nei film di fantascienza questa nozione viene (per ragioni di spettacolarità) dimenticata, infatti le “esplosioni di astronavi” nello spazio vengono sempre associate ad un suono molto forte, invece qualsiasi impatto o esplosione di quel tipo avverrebbe nel più assoluto silenzio. Inoltre vengono rappresentate anche fiamme, ma anche questo è sbagliato: nello spazio è impossibile anche la combustione. Questa però è un’altra storia.

astronave che esplode

Torniamo al suono nel vuoto. Nell’esperimento di questo filmato possiamo vedere un campanello che è stato sistemato all’interno di un contenitore in cui viene fatto il vuoto per mezzo di una pompa. Man mano che l’aria viene estratta dal contenitore il suono del campanello diventa sempre più debole. Appena l’aria viene fatta rientrare il suono del campanello torna ad aumentare.

Il risultato di questa prova sperimentale è che il suono non riesce a propagarsi nel vuoto.

Buona visione del filmato.


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giovedì 12 aprile 2012

Scienza e fede

Siamo nel Terzo Millennio e gli uomini vivono tra scienza e tecnologie pervasive e non solo resta spazio per Dio, ma Dio è ovunque. Così esordisce un numero speciale del NewScientist, una delle più importanti riviste scientifiche del mondo. Si tratta di un numero speciale intitolato The God Issue (la questione Dio). La rivista indaga su dove e da quanto tempo risieda nel cervello umano l’idea o il bisogno di religiosità. Un pensiero, una sensibilità costante, probabilmente insopprimibile, occupa i pensieri dei filosofi, ma anche di tutte le persone che si dicono laiche o che professano l’ateismo.

(La copertina del numero speciale del 17 marzo 2012 della rivista NewScientist, dedicato alla questione Dio).

L’indagine del NewScientist non potrebbe non procedere in modo scientifico. Lo psicologo e antropologo sostiene che la mente nasce con uno spazio interno dedicato a Dio o all’idea o al bisogno di Dio o di divinità o di religione che dir si voglia. Da un punto di vista più antropologico un’altra parte del saggio disamina l’idea di Dio insieme alla nascita dell’uomo dagli albori e qui afferma che l’idea di Dio è stata decisiva per generare la civilizzazione. E’ così insita nella mente e nella psicologia l’idea di Dio che in suo nome sono state però alzate bandiere di guerra e organizzate invasioni ed eccidi contro gli altri, spesso colpevoli solo di essere fedeli ad un altro Dio.

NewScientist fa parlare poi Alain de Botton, divulgatore e filosofo svizzero il quale in libro recente, Religion for Atheists (titolo italiano: Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti), dice in sostanza che non è tema posto in genere dagli uomini in termini razionali e che dunque non gli interessa. Egli aderisce piuttosto al pensiero di Richard Dawkins, etologo e biologo dell’evoluzione, secondo cui il senso di Dio è una manifestazione di limitatezza di vedute.

Non potevano non chiedersi quelli di NewScientist se l’ipotesi di Dio sia verificabile e allora vi si dice che la maggior parte dei membri dell’Accademia delle Scienze USA non crede a una divinità. Comunque è importante citare che l’Accademia ha affermato ufficialmente che la scienza non dice nulla sul soprannaturale e quindi si dichiara neutrale sull’argomento.

C’è da dire però che, involontariamente, la scienza nella storia ha spesso ricondotto alcuni fatti ritenuti soprannaturali a fatti perfettamente spiegabili scientificamente. E’ una neutralità non del tutto neutrale…


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Le bibite gassate fanno male al cuore

Le bevande gassate sono nemiche del cuore. Lo afferma il “solito” studio americano finito sulle pagine di una prestigiosa rivista scientifica, Circulation, della associazione dei cardiologi americani (American Hearth Association). Addirittura, chi beve le più popolari bevande gassate, rischia di aumentare le probabilità di un attacco di cuore. Se guardiamo bene questo studio, vediamo che il nemico non è il gas, l’anidride carbonica, che produce le bollicine, bensì il solito zucchero.

bevande gassate

Lo studio che ha coinvolto quasi 43000 uomini americani, seguendone gli stili di dieta, mostra come il tipico bicchiere di bevanda gassata da 12 once (un terzo di litro), contenga 10 cucchiaini di zucchero. Se poi pensiamo che mediamente si consumano, per un pasto da fastfood con hamburger e patatine, 20 once di bevanda (quindi mezzo litro), ecco che lo zucchero sale fino a 15-18 cucchiaini. Se a questo poi si aggiungono l’abitudine al fumo, sedentarietà e sovrappeso, la probabilità di rovinarsi la salute in poco tempo diventa davvero molto alta. Infatti il rischio di infarto aumenta del 20%.

Questo ci fa capire che in fondo le bevande gassate non sono l’unica causa di infarto! Lo studio alla fine indica solo che non è bene ingurgitare da 15 a 18 cucchiaini di zucchero in un solo pasto. Se ci mettessero davanti una tale quantità di zucchero, nessuno lo mangerebbe senza pensare che è una quantità spaventosa! Il problema che tale quantità di zucchero disciolta nella bevanda non ci fa rendere conto di cosa stiamo facendo realmente.

Pensiamoci ogni volta che beviamo una bibita gassata…


mercoledì 11 aprile 2012

Allarme tsunami a Sumatra

Allerta tsunami nell’oceano Indiano per un terremoto violentissimo (magnitudo 8,9 della scala Richter) che è avvenuto al largo dell’isola di Sumatra a poco più di 600 chilometri dalla città di Banda Aceh. Questo terremoto ovviamente ha riportato alla memoria il terremoto del 26 dicembre 2004 che arrivò a mietere ben 230ooo vittime. Ma fu soprattutto il devastante tsunami che seguì a quel terremoto a fare tante vittime.

Nelle ultime ore l’Istituto Geosismico americano ha affermato che essendo stato un sisma con oscillazioni orizzontali e non verticali non si ritiene probabile lo scatenarsi di un’onda di tsunami.

(L’epicentro del sisma avvenuto oggi 11 aprile 2012 al largo dell’isola di Sumatra).

Perché questo tipo di fenomeni sismici stanno avvenendo di nuovo in questa zona?

Bisogna partire dal fatto che questo sisma ha avuto una magnitudo tra 8,5 e 8,9 della scala Richter e quindi con un’energia variabile tra 1 e 31 miliardi di tritolo equivalente, in grado di causare danni immensi in un raggio di parecchie centinaia di chilometri, con in più, dato l’epicentro situato nel fondo del mare, il rischio tsunami.

Un terremoto di questa intensità avviene in media una volta all’anno, ma il 90% dei terremoti del mondo avviene lungo la cosiddetta cintura di fuoco, una fascia a forma di ferro di cavallo lunga circa 40000 chilometri, caratterizzata da archi insulari, fosse oceaniche e oltre 450 vulcani, molti dei quali attivi.

Tutto dipende dal movimento delle placche che sono continuamente in movimento perché “galleggiano” sulla astenosfera, lo strato fluido di materiale magmatico sottostante, si tratta deriva dei continenti scoperta da Wegener. Nella cintura di fuoco avviene un fenomeno che gli geologi chiamano subduzione. Qui le placche continentali avanzano su quelle oceaniche e la loro frizione provoca scosse sismiche continue ed eruzioni vulcaniche. Si tratta di forze immani sulle quali forse l’uomo non potrà mai intervenire. Fino ad ora l’unica forma di difesa è la prevenzione, allarmi tempestivi e costruzioni antisismiche, ma che non sempre sono sufficienti.


Stelle, pianeti e galassie vicino a Donnafugata

Martedì sera, dopo avere visitato il bellissimo castello di Donnafugata (ne scriverò in un prossimo post), ho alloggiato con mia moglie presso l’agriturismo Casato Licitra. I proprietari (davvero molto disponibili) mi hanno dato il permesso di sistemare il mio telescopio presso la loro piscina e, alle 21:00 circa mi sono lanciato in una veloce scorpacciata di galassie (e anche qualche altra cosa).

Il cielo da quella posizione sembrava abbastanza inquinato in direzione dell’orizzonte ad ovest e a sud, a causa della presenza di diversi centri abitati vicini alla costa come Santa Croce Camerina e Marina di Ragusa. La trasparenza del cielo era media e la magnitudine limite ad occhio nudo circa 5,7.

(Una foto del “terzetto del Leone” M65-M66-NGC 3628, un gruppo di galassie nella costellazione del Leone facili da vedere anche visualmente con piccoli telescopi nelle notti di primavera).

Prima di tutto ho dato un’occhiata a M51 e ho potuto notare un primo indizio di visione delle braccia a spirale. Ma non era quello il mio “programma osservativo”. Mia moglie Laura teneva in mano un foglietto in cui avevo stampato un elenco di galassie e altri oggetti e mi leggeva i numeri NGC. Io li impostavo nella tastiera dello Skyalign e aspettavo il puntamento Occhiolino. Se non era un oggetto troppo “cavaocchi” anche lei dava un’occhiata all’oculare. Poi si passava subito ad un altro oggetto.

Ecco cosa ho (abbiamo) visto.

NGC 4244. E’ una galassia nella costellazione Canes Venatici (Cani da Caccia). Bellissima, vista di profilo. Si vede chiaramente un lungo fuso luminoso che occupa un quarto del campo visibile a 50x. (Mag. 10,0).

NGC 3077. Galassia in Ursa Major (Orsa Maggiore). Fa parte del gruppo di galassie di M81. Appare come appaiono la maggior parte delle galassie ellittiche con un piccolo telescopio. Nessun altro particolare degno di nota. (Mag. 10,6).

NGC 3069. Galassia in Ursa Major. Nonostante gli sforzi non sono sicuro di averla vista. Dovrebbe essere una galassia ellittica.

NGC 3184. Galassia in Ursa Major. Una bella galassia vista di faccia. Si vede un disco luminoso abbastanza debole con un nucleo centrale abbastanza piccolo e concentrato. (Mag. 9,6).

NGC 3226-3227. Galassie in Leo (Leone). NGC 3226 è una galassia ellittica interagente con la spirale NGC 3227. Si osservano solo due nuclei deboli e diffusi circondati da debole luminosità. (Mag. 11,1 e 12,7).

NGC 3810. Galassia in Leo. E’ una galassia a spirale vista quasi di faccia. Davvero difficile da vedere. Il core è piccolo e si vede come una stella sfocata. (Mag. 10,8).

NGC 3190-3193. Galassie in Leo. La prima è una spirale vista quasi di profilo, la seconda è ellittica. Sono visibili nello stesso campo a 50x e si osservano i loro nuclei brillanti circondati da una luminosità poco estesa. In NGC 3190 si intuisce la forma allungata. (Mag. 11,1 e 10,8).

NGC 5005. Galassia in Canes Venatici. E’ una galassia a spirale. E’ facile osservare la sua forma allungata, dato che è disposta quasi di profilo. (Mag. 10,3)

NGC 5033. Galassia in Canes Venatici. E’ una spirale (molto bella nelle foto). All’osservazione visuale offre solo un nucleo allungato circondato da una luminosità con la stessa forma.

NGC 5053. Ammasso globulare in Coma Berenices (Chioma di Berenice). “Inseguo” questo ammasso da diverso tempo. Stavolta è la prima volta che “credo” di averlo visto. L’oggetto è molto difficile perché è uno degli ammassi globulari meno concentrati che si conoscano. Si ha l’impressione di vedere una tenue nebulosità con qualche debole stellina al suo interno. Niente di più.

NGC 5248. Galassia in Bootes (Boote). Galassia a spirale vista di tre quarti. Visibile un nucleo piccolo e brillante circondato da una luminosità in cui è possibile intuire dei chiaroscuri. (Mag. 10,0).

NGC 4216. Galassia in Virgo (Vergine). E’ una galassia a spirale vista di taglio. In effetti si vede come un debole e sottile fuso luminescente.

NGC 2655. Galassia in Camelopardalis (Giraffa). Galassia a spirale peculiare. Si osserva un nucleo diffuso circondato da debole luminosità.

NGC 2403. Galassia in Camelopardalis. Galassia a spirale. Molto grande. Si osserva una nebulosità irregolare piuttosto larga tra due stelline e altri grumi luminosi sparsi per il campo visuale. In definitiva potrebbe essere un oggetto stupendo da osservare sotto cieli davvero bui.

NGC 5907. Galassia in Draco (Drago). E’ una bellissima spirale vista di profilo. E’ stata una vera sorpresa. Sottilissima e lunghissima ed è anche piuttosto facile e luminosa. Sembra di vedere una zona centrale leggermente più luminosa.

NGC 4147. Ammasso globulare in Coma Berenices. Piccolo e concentrato, non si risolve in stelle.

NGC 6543. Nebulosa planetaria in Draco. E’ la famosa “nebulosa Occhio di Gatto”. Nelle foto appare davvero spettacolare, nell’osservazione visuale offre molto meno. A 250x appare come un dischetto sfocato con alcuni chiaroscuri.

NGC 6207. Galassia a spirale in Hercules (Ercole). Niente di particolare, se non il fatto che si riesce a trovare vicino al grande ammasso globulare M13. Si vede un nucleo piccolo ed evidente circondato da debole luminosità.

NGC 4038-4039. Galassie “Antennae” in Corvus (Corvo). Si tratta delle famose galassie interagenti chiamate “Antennae” che nelle foto con grandi telescopi esibiscono stupendi dettagli di “getti” di materia dovuti alle forze gravitazionali di marea e grandi zone di intensa formazione stellare. All’osservazione visuale è possibile vedere poco più che due macchioline luminose di forma irregolare a distanza ravvicinata. (Mag. 11,1).

Dopo ho rivolto la mia attenzione a Saturno e a Marte. Mi sono accorto però che la lastra del Celestron si era fortemente appannata e la visione dei pianeti appariva come avvolta da una fastidiosa luce diffusa. E’ proprio un peccato visto che la turbolenza era davvero minima e si sarebbero potuti vedere molti dettagli. La prossima uscita notturna in luoghi lontani da casa mi dovrò fornire di fascia anticondensa per impedire l’appannamento dell’obiettivo del telescopio.

Con questo il report osservativo del 10 aprile 2012 è finito. Sono riuscito a vedere un bel po’ di oggetti nella stessa serata e sono soddisfatto.


sabato 7 aprile 2012

Le donne dell’astronomia: Cecilia Payne Gaposchkin

Molte donne, spesso nascoste da un fatale anonimato, hanno dato contributi non indifferenti alla scienza. E’ sicuramente il caso di Cecilia Payne Gaposchkin, nata a Wendower il 10 maggio 1900 e scomparsa a Cambridge il 7 dicembre 1979. Nei libri di scienze c’è scritto che il Sole è composto per il 90% da idrogeno, chi ha un minimo di memoria per le nozioni scolastiche probabilmente lo ricorderà. Bene, è stata proprio Cecilia Payne a scoprirlo nel 1925, in un epoca in cui si era convinti che la nostra stella avesse una composizione quasi del tutto simile al nostro pianeta, cioè che fosse formato soprattutto da ferro.

Cecilia Payne

Decisivo, per questa scoperta, fu l’incontro con l’astronomo Harlow Shapley nel 1923 a Cambridge. Shapley convinse Cecilia a trasferirsi negli Stati Uniti. Infatti Cecilia si laureò ad Harvard con una tesi dal titolo: “Stellar Atmospheres, A Contribution to the Observational Study of High Temperature in the Reversing Layers of Stars”. Questa tesi fu definita dall’astronomo Otto Struve indubbiamente la più brillante tesi di laurea mai scritta in astronomia”. Questa scoperta portò a capire che tutte le stelle sono formate prevalentemente da idrogeno.

Nello stesso studio trovò una correlazione tra la classe spettrale delle stelle e la loro temperatura.

La sua intuizione fu davvero brillante. Cecilia Payne pensò di impiegare la teoria quantistica della struttura dell’atomo per dimostrare che gli spettri stellari esibivano una grande varietà a causa delle variazioni fisiche e non per le variazioni di abbondanza degli elementi chimici. Fu proprio questa intuizione a indicare che il Sole fosse formato soprattutto da idrogeno, nonostante le righe spettrali del ferro fossero più numerose.

Ora sappiamo chi ha scoperto questa fondamentale nozione della composizione chimica delle stelle, che nei libri spesso viene scritta senza dare troppe spiegazioni. Bisogna sempre ricordarsi che dietro ogni nozione scientifica c’è sempre la storia di qualcuno che ha lavorato a questa scoperta, ci ha sudato sopra e spesso ci ha anche sofferto. In molti casi queste scoperte sono dovute a donne.


Il sale fa bene o fa male?

Noi esseri umani non potremmo sopravvivere senza il sale. Ma qual è la dose giusta per il nostro organismo? Infatti sembra che ne consumiamo davvero troppo. Le linee guida sono chiare: la dose ideale è la metà di quella che ciascuno di noi in media assume! Uno studio recente però non è d’accordo e questo ha portato ad una leggera confusione.

Il sale favorisce il mantenimento dell’equilibrio dei liquidi nell’organismo e il sodio è uno degli ioni che contribuiscono a creare impulsi elettrici nel cervello. Si tratta di due funzioni fondamentali, eppure il sale è uno degli indiziati principali nell’aumento delle malattie cardiovascolari nelle zone più ricche del mondo. Contro il sale sono stati scritti e pubblicati decine di studi scientifici. Negli ultimi tempi alcuni studi scientifici hanno cominciato, con cautela, a considerare il sale meno dannoso di quello che finora si era sempre pensato.

sale

Si calcola che nei paesi occidentali ogni persona consumi in media 8 grammi di sale al giorno, una quantità ben superiore a quella indicata dalle linee guida alimentari che consigliano di non superare i 3,75 grammi al giorno. Numerose ricerche hanno testimoniato come una riduzione del sale abbassi i rischi cardiovascolari. Con due grammi in meno al giorno si è osservato un regresso delle patologie cardiache del 25%. Esistono poi osservazioni più empiriche e prive del sostegno statistico. In Giappone, 50 anni fa, il consumo di sale era di 18 grammi al giorno a persona e ictus e malattie cardiocircolatorie erano molto diffuse. Si tratta di dati che sembravano inconfutabili fino a quando, circa un anno fa, la Cochrane, un organismo non governativo, ha pubblicato una ricerca nella quale la relazione tra il sale e l’aumento della mortalità, viene fortemente messa in discussione. Il lavoro sottolinea come non vi siano prove inconfutabili circa la dannosità del sale, anzi, il suo consumo aumenterebbe il livello di ormoni e lipidi nel sangue. Osservazioni sulle quali, manco a dirlo, si è tuffata a pesce l’industria del sale, che teme di subire la stessa offensiva patita dalle multinazionali del tabacco.

In realtà, per scrivere una parola definitiva sarebbe necessario uno studio epidemiologico di lungo periodo che nessuno, al momento, sembra voler finanziare. Così restano quelle generiche raccomandazioni a ridurre il consumo di sale. La sfida non è quella di farlo sparire del tutto dalle nostre tavole, ma di consumarlo in una giusta misura. Le prime da convincere sono le industrie alimentari che spesso abbondano nell’uso del sale per coprire ingredienti scadenti e sapori amari dovuti ai processi di lavorazione. Il sale sarà dannoso, forse, ma è sicuramente molto utile…


Space X Starship: il nuovo tentativo di lancio del 18 novembre 2023.

Vediamo un frammento della diretta del lancio dello Starship del 18 noembre 2023. Il Booster 9, il primo stadio del razzo, esplode poco dopo...