lunedì 11 ottobre 2010

Principio di indeterminazione

 

In questo post mi propongo di spiegare il principio di indeterminazione di Heisenberg, le cui conseguenze hanno profondamente modificato sia alcune convinzioni sulla natura dei fenomeni e sul significato stesso delle leggi fisiche utilizzate per interpretarli, sia il ruolo dell'osservatore nella teoria della misura.

 

Conoscere significa misurare, misurare significa perturbare

Ogni grandezza fisica deve essere sempre suscettibile di una definizione operativa, nel senso che deve essere sempre possibile, mediante un'osservazione o un'esperienza, misurare la grandezza considerata.

Nella fisica classica si era sempre supposto che, entro i limiti degli errori, la misura di una grandezza poteva essere eseguita con precisione sempre più rigorosa, a condizione di utilizzare un dispositivo sempre più qualificato e una tecnica sempre più razionale.

In realtà ciò non è esatto: misurare significa sempre perturbare il sistema e quindi anche le grandezze che lo caratterizzano.

Supponiamo, per esempio, di voler stabilire la posizione di un oggetto in movimento. Per far ciò dobbiamo osservarlo. Per vederlo o per individuarne l'esistenza dobbiamo fare arrivare sul corpo un fascio di luce o qualche opportuna e adatta radiazione.

Esiste dunque fra l'oggetto e lo strumento di misura uno stato correlato che si estrinseca in uno scambio energetico, in generale in un'interazione, che tende a modificare qualche grandezza cinematica dell'oggetto. Da ciò discende in modo inequivocabile che "conoscere" significa "misurare" e "misurare" significa "perturbare".

Logicamente, l'andamento del processo perturbativo dipende, oltre che dai metodi di osservazione, anche e soprattutto dal tipo di sistema che si vuole studiare. Per esempio, facendo arrivare un fascetto luminoso su una palla da biliardo in movimento possiamo osservare e quindi studiare il suo moto, senza che le grandezze impulso, energia, ecc., associate al pennello di luce, influenzino il moto della palla: sono infatti trascurabili rispetto ai valori delle entità fisiche che caratterizzano l'oggetto.

Ripetendo invece la stessa esperienza con un elettrone che si muove in un tubo a vuoto, per le ridotte dimensioni del corpuscolo, alcune grandezze geometrico-cinematiche della particella verranno così perturbate che i mutamenti introdotti non potranno più essere trascurati. L'agente usato nella misura (concettualmente almeno un fotone) è ora altrettanto grande quanto l'oggetto che misuriamo, né possiamo concepire, per effettuare la misura, un mezzo che sia più piccolo del fotone. In altre parole, non si può definire un elettrone indipendentemente dal dispositivo utilizzato per dimostrare l'esistenza stessa della particella.

Partendo da queste premesse, Heisenberg stabilì un principio la cui portata può essere paragonata a quella indotta dai principi della meccanica classica.

 

Relazione di Heisenberg

La relazione di indeterminazione di Heisenberg sancisce l'impossibilità di valutare in modo rigoroso e senza alcun limite quelle grandezze la cui determinazione simultanea si rende necessaria per una descrizione meccanicistica del sistema.

Anche con metodi di misura perfezionati all'infinito, la determinazione simultanea di due grandezze coniugate fra loro, come, per esempio, la posizione di una particella e la quantità di moto, la sua energia e l'intervallo di tempo in cui la prima è determinata, sono sempre stabilite con una certa indeterminazione.

Come è stato mostrato da Heisenberg, ogni qualvolta vogliamo determinare, mediante una osservazione contemporanea, la posizione e l'impulso di un corpuscolo, le rispettive incertezze e delle due grandezze sono legate dalla relazione:


    (1)

Un'altra forma del principio di indeterminazione, sempre insita nella natura fisica delle particelle, è la seguente:


    (2)


dove E è l'energia e l'intervallo di tempo in cui la E viene determinata.

È bene subito precisare che le relazioni d'indeterminazione (1) e (2) rappresentano delle medie statistiche i cui valori derivano da un elevato numero di misure delle grandezze coniugate. L'indeterminazione è, infatti, significativa solo se le misure vengono ripetute più volte.

Riprendiamo l’esempio dello studio del moto di un elettrone. Per poter definire lo stato della particella in un dato istante, dobbiamo determinare simultaneamente la posizione e l'impulso, per esempio, come abbiamo già detto, facendo arrivare sulla particella una radiazione di lunghezza d'onda almeno paragonabile con le dimensioni atomiche.

Utilizzando una radiazione di piccola lunghezza d'onda, cioè con elevata frequenza, possiamo determinare in modo sufficientemente rigoroso la posizione x (consideriamo una sola coordinata dell'elettrone).

Nello stesso tempo, però, la radiazione incidente, interagendo per effetto Compton con l'elettrone, fa variare in modo imprevedibile la velocità e quindi l'impulso p, così che la relativa indeterminazione risulta tanto più forte quanto più esatta è la misura della posizione.

Per evitare o ridurre l'effetto Compton, cioè allo scopo di rendere minima la perturbazione sul moto dell'elettrone, possiamo utilizzare una radiazione di piccola frequenza. Però, essendo in tali condizioni la lunghezza d'onda molto grande, a causa degli inevitabili e marcati fenomeni di diffrazione, non possiamo più rilevare con esattezza la posizione della particella.

Conseguentemente, se si vuole rendere piccolo , necessariamente aumenta e viceversa, sicché, quanto più si cerca di migliorare la precisione di una delle due grandezze coniugate. tanto più aumenta l'imprecisione sull'altra.

Per le formule precedenti il prodotto delle due indeterminazioni non può mai essere minore della costante h di Planck. Al limite, se potessimo conoscere con precisione l'impulso di una particella, essendo avremmo , senza perciò alcuna possibilità di conoscere la posizione.

C'è ovviamente da domandarsi come mai con tutte le innumerevoli esperienze effettuate nella meccanica classica non si è mai evidenziata una indeterminazione del genere?

La risposta è direttamente connessa con la presenza della costante di Planck e con le dimensioni relative dei fenomeni e degli oggetti che si considerano.

Per la profonda coerenza della teoria quantistica, le relazioni di Heisenberg sono valide per ogni fenomeno che avviene in natura e quindi anche nel moto di un oggetto macroscopico. Solo che in questo caso il margine di incertezza, in relazione con il valore della costante h, è così piccolo che appare trascurabile di fronte quello che deriva dagli errori sperimentali delle misure.

Così, per esempio, nell'ipotesi di poter misurare l'impulso di una palla da tennis di massa 600 g e velocità 10 m/s con un errore relativo , il principio di indeterminazione nella forma espressa dalla (1) porta una indeterminazione della posizione dell'ordine di 10-31 m, valore del tutto trascurabile rispetto all'errore di misura.

Si deduce che non è facile, o meglio è quasi impossibile, evidenziare qualche effetto quantistico analizzando direttamente un fenomeno macroscopico.

In base alle considerazioni insite nella meccanica quantistica, una particella si trova "contemporaneamente" in ogni punto dell'onda a essa associata, la particella cioè è distribuita con differente probabilità in tutto lo spazio in cui l'onda è presente.

Per quanto riguarda la velocità, una particella in moto possiede una ben determinata velocità solo quando si effettua una sua misura, poiché prima essa è "contemporaneamente" caratterizzata da un insieme di velocità, ognuna delle quali con una propria probabilità di essere osservata.

Questo nuovo aspetto non solo segna la fine dell'ambizioso sogno del determinismo laplaciano, ma anche la fine dell'oggettività classica. L'apparato logico matematico del principio di Heisenberg è una diretta conseguenza dell'ambiguo dualismo onda-corpuscolo che affligge soprattutto gli oggetti del mondo microscopico.

In fondo, più che una legge epistemologica, l'indeterminazione è insita nella natura delle cose.

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Werner Heisenberg (biografia)

 

Werner Heisenberg, nato a Würzburg nel 1902, morto nel 1976 a Monaco di Baviera. Coetaneo e amico di Pauli, frequentò insieme a lui l'Istituto di fisica di Monaco, del quale in seguito divenne direttore. Dopo la laurea (1923), nominato assistente di Born, ebbe la possibilità di perfezionare i suoi studi nei due centri di ricerca (Göttingen e Copenaghen) dove si formarono i principali protagonisti della meccanica quantistica. Guidato dalle profonde conoscenze fisico-matematiche del suo maestro, influenzato dalla dottrina filosofica di Mach, Heisenberg contribuì in modo determinante alla rivoluzione culturale operata dalla meccanica quantistica nella struttura operativa della fisica microscopica e nel valore epistemologico di alcuni tradizionali concetti della fisica classica.

Werner Heisenberg

A soli 25 anni pubblicò sulla "Zeitschrift für Physik" il famoso lavoro sul principio di indeterminazione dal titolo: Über den anschaulichen Inhalt der quanten theoretischen Kinematik und Mechanik (Sul contenuto intuitivo della cinematica e della meccanica quantistica). Le leggi statistiche legate al concetto di probabilità divennero una realtà, l'indeterminazione un fatto fondamentale e le relazioni connesse con il principio un limite invalicabile nella conoscenza della natura.

Dopo gli studi sulla meccanica quantistica, per i quali nel 1932 gli fu assegnato il premio Nobel, Heisenberg formulò la prima teoria delle forze nucleari, occupandosi fra l'altro di alcune ricerche teoriche sul ferromagnetismo e sulla superconduttività. Insieme a Pauli, inoltre, mise in luce i primi legami tra la meccanica quantistica e la teoria della relatività.

Durante l'ultimo conflitto mondiale fu uno dei capi, però con mediocri risultati, delle ricerche nucleari del Terzo Reich. Dopo la guerra si trasferì temporaneamente negli Stati Uniti d'America; ritornato definitivamente in patria, cercò, fra mille difficoltà, di ricostruire la scuola di fisica tedesca, distrutta dal nazismo prima e dalla guerra poi.

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Guadagnare onestamente? Basta lavorare onestamente…

 

La nostra civiltà in realtà è basata sul guadagno e non sul lavoro. I lavoratori misurano il loro successo professionale usando il guadagno come unico parametro. Non si parla quasi mai di soddisfazione, di realizzazione o di altre cose più profonde. Il lavoro è diventato un mezzo per guadagnare soldi e per poterseli spendere comprando una enorme quantità di cose per la maggior parte inutili. E’ un circolo vizioso: io lavoro, guadagno soldi, mi spendo i soldi (che vanno a finire necessariamente nelle tasche di qualcun altro) e poi il ciclo ricomincia, ma tutti cercano di farlo ricominciare in modo che si guadagni di più, ma questo porta anche a spendere di più e in cose sempre più inutili.

Questo si può fermare? Non è facile fermarlo, perché il tutto è congegnato in modo tale che se la catena si spezza, c’è sempre qualcuno che “perde tutto”, quindi non perde solo la possibilità di guadagnare di più, ma perde addirittura la possibilità di avere il minimo per sopravvivere.

Ma a questo punto si presenta il problema più grave. Alcuni decidono di arraffare soldi in modi poco onesti, ad esempio rubando, truffando o con altre pratiche al limite della legge. Perché lo fanno? Oltre ad avere una concezione estremamente elastica di moralità, costoro sono spinti dal mito del potere del denaro. Avere soldi per comprare auto di lusso, casa di lusso, tutto di lusso, potersi permettere divertimenti di lusso e belle donne, sono incentivi sufficienti per poter mettere da parte il rispetto nei confronti degli altri e cercare di fare “soldi facili”.

Ma noi siamo del tutto immuni dal fascino del denaro? Facciamoci questa domanda e diamoci una risposta onesta.

E sappiamo bene come anche su Internet si siano moltiplicate le promesse (più o meno veritiere) per guadagnare soldi facili e per attirare sprovveduti ad acquistare improbabili guide per diventare ricchi in poco tempo e, possibilmente, senza lavorare.

Ma questi sono solo specchietti per le allodole. Il lavoro non è solo un guadagno dal punto di vista del denaro, ma anche uno spunto per maturare, per conoscere nuova gente che ragiona in maniera diversa dalla nostra, per conoscere nuovi posti e per sperimentare nuove soluzioni, modi moderni per risolvere problemi antichi.

E allora per guadagnare onestamente cosa bisogna fare? Non basta solo rispettare le leggi, ma occorre e basta lavorare onestamente per espandere le nostre percezioni, per migliorare, anche nella fatica, nelle delusioni e nelle difficoltà, la consapevolezza della nostra umanità.

Buon lavoro a tutti ;-)

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domenica 10 ottobre 2010

Turbina eolica ad asse verticale della Enervolt

 

Enervolt è una azienda tutta italiana che produce turbine eoliche. Nel filmato viene presentato il generatore eolico FORZA7®, una turbina eolica ad asse verticale dalle caratteristiche davvero interessanti. Possiamo citare ad esempio il funzionamento indipendente dalla direzione del vento; avviamento a bassa velocità ed autonomo; costruzione solida in acciaio inox oppure alluminio verniciato resistente a qualsiasi condizione ambientale. Una delle proprietà più interessanti è però certamente la notevole silenziosità che permette l’installazione in corrispondenza di abitazioni.

Le potenze disponibili per le turbine eoliche FORZA7® sono: 3 kw, 3,2 kw e 5kw.

Buona visione del filmato.

Effetto tunnel

 

L’effetto tunnel quantistico è un fenomeno tipico della meccanica quantistica che non ha corrispettivo nella meccanica classica. Nell'effetto tunnel una particella ha la capacità di attraversare una barriera di potenziale nonostante abbia un'energia insufficiente per superarla. Si tratta di uno dei fenomeni quantistici più controintuitivi, ma le prove sperimentali della sua realtà sono così numerose che ormai è davvero impossibile metterlo in dubbio.

L'effetto tunnel venne utilizzato per la prima volta nel 1928 dal fisico ucraino George Gamow per spiegare il decadimento alfa, nel quale una particella alfa (un nucleo di elio) viene emessa da un nucleo perché riesce a superarne la barriera di potenziale.

Esistono persino dei dispositivi elettronici che funzionano grazie all’effetto tunnel, ad esempio i diodi tunnel, le memorie flash, e il microscopio ad effetto tunnel.

In questo filmato possiamo vedere una breve spiegazione dell’effetto tunnel.

Buona visione.

sabato 9 ottobre 2010

La macchina di Turing

 

Il concetto di sistema automatico di calcolo è rappresentato in modo semplice da un modello di macchina astratta proposto nel 1936 dal matematico inglese Alan M. Turing (1912-1954). Il modello fa riferimento alla comune attività mentale dell'uomo quando è impegnata nella risoluzione di algoritmi di calcolo: di solito si usano un foglio e una penna con la quale segnare sul foglio i dati e i simboli delle operazioni; il lavoro è controllato dalla mente umana, per la quale la carta costituisce il supporto di memoria (il foglio dei calcoli oppure il foglio del libro che contiene le regole di calcolo).

La Macchina di Turing (MdT) può essere definita intuitivamente come un dispositivo di calcolo in grado di operare, mediante una successione finita di passi discreti e secondo determinate regole (programma), su un numero finito di simboli, facendo astrazione dai limiti di spazio, di tempo (durata dell'elaborazione) e da possibili errori di calcolo.
È importante sottolineare come l'attenzione di Turing fosse rivolta al processo di calcolo, indipendentemente da come esso avveniva fisicamente. In modo rigoroso, infatti, una MdT è un dispositivo astratto, cioè indipendente da ogni sua possibile realizzazione fisica.

Anche se si tratta di una pura astrazione matematica, la Macchina di Turing rappresenta ancora oggi un fondamentale strumento logico-concettuale e può essere considerata il punto di partenza per tutti gli studi che portarono alla realizzazione dei calcolatori programmabili.

Dal punto di vista concettuale la Macchina di Turing può essere considerata come un dispositivo composto da tre elementi:

•    Nastro infinito;
•    Testina di lettura/scrittura (TLS);
•    Meccanismo di controllo.

Il nastro di lunghezza infinita è la memoria principale della Macchina di Turing: esso possiede un numero infinito di caselle e ogni casella può contenere solo un simbolo appartenente a un alfabeto finito di simboli.

La testina di lettura/scrittura permette di scrivere o leggere sul nastro, accedendo ad una sola casella per volta.
Il meccanismo di controllo può essere identificato come un automa, perché è in grado di assumere uno tra un numero finito di stati e di svolgere una delle seguenti operazioni elementari:

•    comandare la scrittura di un simbolo nella casella sotto la TLS;
•    comandare lo spostamento della TLS sulla casella di destra o su quella di sinistra, oppure arrestarne il movimento;
•    comandare la sostituzione dello stato attuale con quello successivo.


macchina di Turing

In sostanza, durante il suo funzionamento la macchina evolve da una configurazione all'altra: in corrispondenza del simbolo letto sul nastro e dello stato in cui si trova, viene determinato il simbolo che viene scritto sul nastro, lo stato successivo della macchina e il movimento della testina. All'inizio del processo di elaborazione sul nastro si trova la sequenza dei simboli di input e, al verificarsi della terminazione, si trova l'output del procedimento eseguito.

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Polvere di stelle negli occhi

 

“Or se la copia è tanta dei germi, che intere esistenze
di viventi creature non mai li potrebber contare,
se la Natura ognora procede in identico modo,
gli atomi per il vuoto dovunque lanciando, sì come
già li sospinse a formar questo nostro visibil creato,
devi con vera ragione pensare che esistono altrove
altri mondi, di gente, di prole ferina diversi.”

Tito Lucrezio Caro.

esopianeta

Con queste toccanti parole, il filosofo e poeta latino Lucrezio cerca di convincerci che non siamo soli nell'universo. Lucrezio pensava che, se l'universo era fatto di atomi identici, soggetti alle universali leggi della natura, allora gli stessi processi che hanno prodotto la vita sulla Terra dovevano averla prodotta su altri mondi. L'argomentazione, che risale all'atomista greco Epicuro, è degna di nota. Ma è corretta?

Grazie alle osservazioni spettroscopiche, gli astronomi hanno confermato che gli atomi sono gli stessi in tutto il cosmo. Un atomo di carbonio nella galassia di Andromeda, per esempio, è identico a un atomo di carbonio qui sulla Terra.

Nella biologia terrestre cinque elementi hanno un ruolo di primo piano: carbonio, ossigeno, idrogeno, azoto e fosforo. Sembra che questi elementi siano tra i più abbondanti nell'universo.
Il carbonio è l'elemento vitale per eccellenza. Il primo posto gli spetta di diritto per una proprietà chimica unica: gli atomi di carbonio si legano tra loro a formare lunghe catene, o polimeri, di varietà e complessità sconfinate. Due esempi di grandi molecole formate da catene di carbonio sono le proteine e il DNA. Se non fosse per il carbonio, la vita come la conosciamo sarebbe impossibile. Addirittura, non sarebbe probabilmente possibile alcuna forma di vita.

Quando l'universo ebbe inizio con il Big Bang, il carbonio era completamente assente. L'intensissimo calore della nascita cosmica precludeva l'esistenza di qualsiasi nucleo atomico composto; la materia era formata solo da un brodo di particelle elementari quali neutroni e protoni. I protoni restavano per la maggior parte isolati, andando in seguito a costituire i nuclei degli atomi di idrogeno. Tuttavia, con l'espansione e il raffreddamento dell'universo nei suoi primi minuti le reazioni nucleari hanno trasmutato una parte dell'idrogeno in elio, e una frazione infinitesima in carbonio.

Ma la maggior parte del carbonio nell'universo proviene non dal Big Bang, bensì dalle stelle. Le stelle sono reattori a fusione nucleare che normalmente bruciano idrogeno per produrre elio. Nelle stelle di grosse dimensioni il passo successivo è la trasformazione dell'elio in carbonio, e poi in altri elementi familiari quali l'ossigeno e l'azoto. La gran parte di queste sostanze di maggior peso rimane confinata all'interno delle stelle, ma viene liberata quando una stella esplode. C'è inoltre un flusso continuo di materia emessa dal Sole con il vento solare, e un processo simile si verifica in altri sistemi stellari. In un modo o nell'altro, le sostanze espulse si mescolano alle nubi di gas, perlopiù idrogeno, che vagano nello spazio interstellare. A tempo debito, se le nubi di gas si contrarranno a formare nuove stelle e sistemi planetari, il carbonio e gli altri elementi delle stelle morte entreranno a farne parte.

Immaginiamo che il nostro sistema solare si sia formato in questo modo, quattro miliardi e mezzo di anni fa. Una massiccia nube di idrogeno, cui si aggiungono elementi pesanti, comincia a contrarsi gradualmente. Qua e là la gravità trascina il gas in densi ammassi rotanti. Questi agglomerati di materia sono destinati a divenire masse di nuove stelle, una delle quali è il nostro Sole. Intorno al Sole, il gas e la polvere eseguono complicate evoluzioni, formando una nebulosa a disco. Il materiale leggero scivola alla periferia della nebulosa, e col tempo si condensa in pianeti giganti come Saturno.

Gli elementi più pesanti si addensano invece nelle regioni centrali del disco, dove vengono incorporati nel pianeta Terra e in quelli vicini. Pertanto, la materia che costituisce il nostro pianeta non è primordiale, ma è la cenere nucleare delle stelle che hanno brillato e sono morte molto prima che il sistema solare iniziasse a esistere.
Da quando la Terra si è formata, il materiale che la compone non è rimasto inerte. Il carbonio, l'idrogeno, l'ossigeno e l'azoto circolano continuamente tra l'atmosfera e la crosta terrestre per effetto dei processi biologici e geologici.

Quando un organismo muore e si decompone, i suoi atomi tornano a liberarsi nell'ambiente. Alcuni finiscono per tornare a far parte di nuovi organismi. Un semplice calcolo statistico rivela che il corpo di ognuno di noi contiene circa un atomo di carbonio per ogni milligrammo di materia organica morta di più di mille anni fa.

Questo dato ha implicazioni stupefacenti. Per esempio, il nostro corpo ospita all'incirca un miliardo di atomi appartenuti un tempo a Gesù Cristo, o a Giulio Cesare, o a Buddha, o all'albero sotto il quale costui una volta sedeva.

La prossima volta che vi guardate allo specchio, riflettete sulla lunga e avventurosa storia dei vostri atomi, e ricordate che la carne che vedete, e gli occhi con cui la vedete, sono composti letteralmente di polvere di stelle.

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Questo brano è tratto dal libro “Da dove viene la vita” di Paul Davies e l’ho voluto citare nel mio blog per la sua suggestiva implicazione. Il fatto che siamo fatti di polvere di stelle ci proietta in una dimensione cosmica davvero vertiginosa. Adesso che lo sapete, dormiteci su ;-)

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venerdì 8 ottobre 2010

I gesti degli italiani

 

Di solito si dice che gli italiani gesticolano molto e probabilmente è assolutamente vero. I gesti tipici degli italiani sono davvero tantissimi ed è difficile farne una classificazione completa, anche perché cambiano (anche di molto) a seconda della zona dell’Italia. In queste tre immagini possiamo vedere molti gesti italiani (i più comuni e comprensibili) e, visto che, come notate, sono state realizzate in inglese, sono anche uno specchio di come ci vedono al di fuori del nostro Paese. Devo dire che i significati dei gesti li hanno saputi interpretare molto bene.

Ecco a voi “i gesti degli italiani”. Divertitevi a volontà Occhiolino e vedete quanti ne conoscete.

gesti degli italiani

 

gesti degli italiani

 

gesti degli italiani

Un motore elettrico semplice

 

Quello che vedrete in questo filmato è il più semplice motore elettrico che si possa realizzare. Basta una pila, dei piccoli magneti al neodimio e un filo di rame sagomato opportunamente, come quello che appare nel video. Basta poggiare il filo per innescare subito il movimento. Ovviamente si tratta di un “motore” nel senso che produce un movimento, ma non è ovviamente in grado di essere sfruttato per “trasportare” qualcosa di utile. Più che altro è un interessante esercizio di elettromagnetismo.

Buona visione del filmato.

giovedì 7 ottobre 2010

Glicolisi (video)

 

La glicolisi (rottura del glucosio) è un processo metabolico che serve per ottenere energia. Il processo è diviso in 10 reazioni chimiche che possiamo vedere nel filmato. Nel video vengono anche specificate le formule molecolari e la loro variazione di struttura nel corso del processo.

Buona visione.

Auto del futuro. Al Politecnico di Milano esiste già.

 

Si tratta di una vettura che ha il minor consumo di sempre in una gara per veicoli solari. Questa macchina ad energia solare, sviluppata presso il Politecnico di Milano, è un grado di percorrere qualcosa come 800 chilometri con un  solo kilowattora. Tradotto in consumo di benzina, è come se avesse percorso 7070 chilometri con un litro! E’ realizzata in fibra di carbonio, due ruote anteriori e una posteriore. Il pannello fotovoltaico garantisce l’alimentazione elettrica. Per muoverla, è sufficiente la potenza di una lampadina! Direi che si tratta veramente di un gioiello della tecnologia e dobbiamo essere orgogliosi che è tutta italiana.

Se, ogni volta che si progetta un’automobile, si pensasse ad avere un’efficienza da record, anziché pensare all’estetica o alla potenza (e alla pericolosa velocità), vivremmo in un mondo con meno incidenti e meno inquinamento.

Buona visione del filmato.

Auto del futuro

Space X Starship: il nuovo tentativo di lancio del 18 novembre 2023.

Vediamo un frammento della diretta del lancio dello Starship del 18 noembre 2023. Il Booster 9, il primo stadio del razzo, esplode poco dopo...