venerdì 25 marzo 2011

Attività vulcanica persistente

 

Non bisogna immaginare l'attività vulcanica sempre connessa a fenomeni violenti, imprevedibili e rapidi: essa può svolgersi in modo tranquillo e per periodi di tempo notevolmente lunghi.
L'attività persistente è appunto una emissione molto prolungata nel tempo di materiale da un condotto vulcanico aperto. Quando un vulcano è attivo si ha una notevole emissione di vapore, non sempre costante, ma intervallata da sbuffi più violenti. Aumentando l'attività i boli di vapore si susseguono a ritmo sempre più frenetico, violentemente spinti in un movimento vorticoso, accompagnati da esplosioni sorde e rombi all'interno del condotto, tanto più forti quanto più piccolo è il diametro della bocca. Questa attività ritmica di vapore può durare mesi ed anni, ma quando il livello della massa fusa all'interno del condotto si innalza, ecco che i gas prorompenti trascinano all'esterno brandelli di questa massa fusa, che vengono lanciati in aria e ricadono ancora incandescenti al suolo, ove si raffreddano (scorie), talvolta saldandosi gli uni agli altri (scorie saldate).

vulcano Irazù
Emissione di vapore dal vulcano Irazù (Costa Rica)

In fase di forte attività la quantità di massa fusa incandescente può essere anche di parecchie centinaia di tonnellate, che fuoriescono, se la bocca del condotto è stretta, sotto forma di zampillo fino a qualche centinaio di metri di altezza a formare una fontana di lava di una abbagliante incandescenza. Lo Stromboli è celebre fin dall'antichità per i suoi fantastici spettacoli notturni, dovuti appunto a questo tipo di attività, riscontrabile peraltro anche nell'Etna ed in molti altri vulcani.

Allo Stromboli è anche frequente il lancio di ceneri e blocchi. Nel 1931 la bocca principale dell'apparato eruttivo di questo vulcano aveva l'aspetto di una caldaia imbutiforme, larga da 60 a 80 m e profonda circa 30 m, con fondo pianeggiante e ricoperto da ceneri, sabbia, blocchi. All'inizio di ognuno dei lanci ritmici, accompagnata da un sibilo sempre più forte, dal centro del fondo pianeggiante, cominciò a «danzare» vorticosamente la cenere, cui si mescolarono ben presto sabbia e lapilli; la corrente di gas divenne sempre più potente e rumorosa, si ingrandì, trascinò con sé in alto ceneri e pietre che ricaddero all'interno della voragine stessa. Solo quando la corrente di gas si aprì un passaggio attraverso le masse detritiche, iniziò la proiezione verso l'alto di brandelli di massa fusa incandescente. I lanci di cenere e di materiale detritico raggiunsero i 250 e perfino i 300 m di altezza. Può accadere, durante tali fenomeni, che materiale franato dalle pareti del cratere ostruisca parzialmente il condotto formando una specie di tappo semipermeabile (setaccio), attraverso il quale fuoriescono i gas con difficoltà, ma non vengono alla luce i brandelli di lava. Soltanto quando la corrente dei vapori ha logorato il tappo e si è aperta un passaggio agevole si hanno lanci sporadici di materiale incoerente. La violenza con cui si manifestano questi lanci dipende dalla resistenza che le masse detritiche oppongono alla liberazione dei gas.

Etna in eruzione
Una spettacolare immagine di lancio di scorie incandescenti (Etna)

Il 21 gennaio 1958 si riaprì, con una forte esplosione, il condotto del cratere dell'Etna, ostruitosi pochi giorni prima con materiale franato dalle pareti ed una imponente nuvola di vapori carica di ceneri, scorie e blocchi raggiunse 1500 m di altezza sull'orlo del cratere. Dopo questa fase, il vulcano riprese la sua attività persistente.
Le attività di lancio di scorie, ceneri e lapilli sono strettamente connesse ad un altro tipo di attività persistente: quella effusiva. In genere questa costituisce una fase successiva e si svolge con modalità differenti a secondo della massa fusa. Se questa presenta una viscosità molto bassa, e quindi una notevole fluidità, darà luogo ad una attività effusiva lenta, con rarissimi fenomeni esplosivi.

La massa fusa risalita nel condotto può sgorgare terminalmente, cioè dalla vetta, o da bocche sub-terminali, defluendo poi tranquillamente lungo i fianchi del vulcano. Al Vesuvio, fino al giugno 1932, dominava una vivace attività di lancio di lava, tanto che la massa fusa traboccava spesso dal cratere, posto su un conetto di scorie saldate. I lanci divennero tanto violenti da causare una frattura nel conetto stesso, dalla quale sgorgò la lava fluidissima e povera in gas. Ben presto essa ricoprì il fondo del grande cratere e traboccò al di sopra dell'orlo e, defluendo lungo i fianchi del vulcano, ricoprì molte vecchie colate dirigendosi nella Valle dell'Inferno. Questo tipo di effusione lenta è caratterizzata dall'alta temperatura, dalla povertà in gas e dalla straordinaria fluidità. Un piccolo ramo della colata, scorrente liberamente all'inizio, si va via via raffreddando e la sua superficie si coprirà di una sottile pellicola che viene corrugata e trascinata dalla lava defluente al di sotto. Allontanandosi sempre più dalla sorgente il raffreddamento aumenta e quindi la pellicola semisolidificata si trasforma in una vera e propria crosta. Si forma così un tunnel costituito da pareti e tetto di lava solidificata, all'interno del quale scorre la massa ancora incandescente e fluida. Se l'apporto della colata diminuisce fino a cessare, il tunnel permane e sarà possibile, quando ogni attività è terminata, riscontrare lungo le pareti interne le tracce dei vari livelli del fiume di lava.

Le effusioni lente possono manifestarsi anche lateralmente, sui fianchi del vulcano, quando il livello della massa fusa all'interno del condotto è abbastanza elevato. Si liberano dapprima i gas, trascinando brandelli di lava e lanciandoli in alto. La massa fusa così degassata penetra fra gli strati di scorie del cono eruttivo e defluisce lentamente su uno strato poco resistente, in una galleria sotterranea verso il basso. La pressione idrostatica della massa fusa aumenta man mano che questa si allontana dal cratere finché raggiunge valori tanto elevati da vincere la resistenza ed il peso degli strati sovrastanti, permettendo così al liquido incandescente di sgorgare da una bocca effusiva laterale, ad una quota molto più bassa del cratere.

Queste effusioni lente rappresentano un tipo particolare dell'attività persistente, che dura finché la colonna di liquido incandescente nel condotto si abbassa al di sotto del livello in cui è posta la galleria attraverso la quale è defluita la massa fusa. Questo tipo di efflusso può durare mesi ed anni, come è avvenuto più volte all'Etna, dove una di queste colate, che sgorgava lentamente da una bocca a quota circa 2800 metri sul livello del mare, ricoprì una vasta area del pendio occidentale del vulcano e raggiunse, dopo circa dieci anni, la zona pedemontana presso Bronte.

In alcune effusioni lente subterminali dell'Etna la colata si diresse verso nord (Concazze) ove si formò una cupola alta circa 80 metri. La massa fusa all'interno di questa cupola effusiva era continuamente alimentata attraverso una galleria sotterranea dal cratere di Nord Est. Superficialmente si formò una crosta consolidata che veniva qua e là perforata dando luogo così alla formazione di bocche effusive effimere, dalle quali sgorgavano colatine, che accrescevano la cupola stessa. Queste effusioni lente dimostrano efficacemente il meccanismo eruttivo dei vulcani: separazione dei gas dalla massa fusa, i primi liberatisi dal cratere, la seconda defluente tranquillamente dalla bocca laterale del vulcano.

Se la massa fusa è invece viscosa, la degassazione avviene difficilmente e la lava s'ingorga all'interno del condotto, generalmente ostruito. Per effetto del calore il materiale detritico ostruente si riscalda fino alla fusione, prendendo quindi parte con la. massa fusa al moto generale di risalita. Questa fusione determina una diminuzione della resistenza, che ad un certo punto viene superata dalla forza espansiva dei gas inclusi ad alta pressione. L'eruzione inizia quindi con piccole esplosioni di gas che sgomberano definitivamente il condotto. La lava viscosa, non sufficientemente fluida, non ha la capacità di defluire tranquillamente all'esterno, ma ristagna alla bocca, formando una cupola che cresce in altezza ed in ampiezza. La sua superficie coperta da blocchi appare solcata da crepe, in parte causate dalla contrazione dovuta al raffreddamento, in parte dalla pressione della lava che spinge dall'interno verso l'alto. Talvolta si può determinare una spaccatura nella cupola, dalla quale fuoriesce una tozza colata, come è avvenuto ad esempio nella cupola di ristagno del vulcano Merapi (Giava). Queste estrusioni lente sono accompagnate talvolta da fenomeni esplosivi spesso violenti. Infatti solo quando la pressione dei gas nell'interno raggiunge un valore altissimo, essa riesce a superare la resistenza delle masse di lava viscosa e quasi solida. I gas si fanno allora strada con veemenza, strappando blocchi, frammenti e schegge finissime e roventi. Si forma così una sospensione in gas incandescenti straordinariamente mobile, ma tanto pesante da scendere velocemente lungo i fianchi del vulcano (nube ardente).

L'8 maggio 1902 la città di Saint-Pierre nella Martinica (Piccole Antille) con i suoi 29 000 abitanti fu rasa al suolo da una nube ardente carica di ceneri e blocchi, proveniente da una spaccatura di una cupola di ristagno della Montagne Pelée. La sua velocità era di circa 150 m/sec. e la sua temperatura raggiungeva gli 800°C. I suoi effetti meccanici furono disastrosi: gli alberi vennero sradicati, tutti i muri delle case trasversali alla direzione della nube furono abbattuti e pezzi di roccia si scagliarono come proiettili contro gli ostacoli.

spina della Montagne Pelée
La “spina” della Montagne Pelée

Questa violentissima eruzione esplosiva distrusse parzialmente la cupola di ristagno. Ma già prima di questa catastrofe si erano osservate nubi ardenti, più piccole, prorompere dalla cupola di lava, e ad essa ne seguirono numerose altre.

Se la massa fusa ha una viscosità più elevata, possono innalzarsi dal condotto colonne di lava già solide. Queste protrusioni o spine crescono lentamente ed all'interno appaiono ancora incandescenti. Celebre è l'Aiguille della Montagne Pelée (foto sopra).

Fra i vari tipi di attività persistente, la più intensa, dal punto di vista termico, è quella di lago di lava. Fino al 1924 nel cratere del Kilauea (Hawaii), il cui fondo è ricoperto da lava solidificata, nella parte sud-ovest esisteva un lago di lava, lo Halemaumau, in una fossa di 350 m di diametro dalle pareti quasi verticali. Da esso emergevano isolotti di lava solidificata, che si muovevano lentamente, trascinati dalla lava fluida sottostante, ricoperta da una sottile pellicola nerastra più fredda, che si andava qua e là corrugando e spaccando, lasciando fuoriuscire zampilli di lava incandescente. Lo scoppio delle bolle di gas determinava il lancio di goccioline di massa fusa molto fluida, che durante il volo venivano stirate in fili sottilissimi, a causa dell'attrito, e solidificavano sotto forma di vetro. Questi fili trasportati dal vento furono chiamati dagli indigeni capelli di Pele, la dea del fuoco.

Il calore irradiato da un lago di lava è enorme; nel lago di Halemaumau esso raggiunse i 300 milioni di calorie al secondo. Questa enorme perdita di calore viene attribuita principalmente a due cause, una dovuta ai moti convettivi che la massa fusa crea risalendo, al centro del lago, dalla profondità alla superficie ove, liberati i gas ad alta temperatura, divenuta più pesante, scende lungo le pareti del condotto verso il basso; la seconda causa, non meno importante della prima, è costituita dalle reazioni chimiche esotermiche fra aria e gas che avvengono alla superficie del lago, elevando la temperatura. Laghi di lava sono stati osservati anche sul Mauna Loa (Hawaii), sul Nyiragongo (Zaire), sul Matavanu (Savaii, Samoa Occidentali), sull'Erta Alé (Abissinia). Durante l'eruzione del 1929 al Vesuvio si formò per breve tempo un lago di lava molto agitato, la cui temperatura alla superficie arrivò ai 1400 °C.

lago di lava
Il lago di lava del vulcano Erta Alé (Abissinia)

[Bibliografia: “I vulcani” di Alfred e Loredana Rittmann, Istituto Geografico De Agostini Novara. 1976]


Le leggi di Keplero

 

Le leggi di Keplero descrivono il movimento dei pianeti attorno al Sole. Le leggi, formulate da Keplero dal 1608 al 1619, sono tre e possono essere enunciate in maniera semplice in questo modo:

- Prima legge di Keplero (legge delle orbite)

I pianeti orbitano attorno al Sole descrivendo orbite di forma ellittica, il Sole occupa uno dei due fuochi dell’ellisse.

Nel filmato possiamo vedere una animazione che riguarda la prima legge di Keplero.

Prima legge di Keplero

- Seconda legge di Keplero (legge delle aree)

Il raggio che congiunge il centro del pianeta al centro del Sole descrive aree uguali in tempi uguali.

Nel filmato possiamo vedere una animazione che riguarda la seconda legge di Keplero.

Seconda legge di Keplero

- Terza legge di Keplero (legge dei periodi)

I quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle loro orbite.

Questa legge è esprimibile in forma matematica in questo modo:

dove a è la misura del semiasse maggiore e P è il periodo di rivoluzione.

Nel filmato possiamo vedere una animazione che riguarda la terza legge di Keplero.

Terza legge di Keplero

giovedì 24 marzo 2011

L’utilizzo dell’energia geotermica

 

Mai come in questo momento il problema energia preoccupa per il presente e per il futuro. In Italia abbiamo fonti alternative possibili come il geotermico, ma bisogna conoscerne bene le caratteristiche, vediamo perché.

Sarà anche la scoperta dell’acqua calda, ma è gratis. Si tratta dell’energia termica che esce dalle viscere incandescenti del pianeta come da un’immane pentola a pressione. L’Italia è stata la prima a sfruttarla all’inizio del novecento in Toscana per produrre anche elettricità. I tubi (visibili nel filmato) portano il vapore alla turbina, quindi a quell’oggetto che trasforma l’energia termica che contiene questo fluido in energia che a sua volta, nell’alternatore, viene trasformata in energia elettrica e distribuita nella rete elettrica nazionale.

Il calore della Terra gode di incentivi verdi e piace anche alle regioni. Con i 600 megawatt di Larderello e il raddoppio delle centrali di Piancastagnaio e Santa Fiora, ora a 60 megawatt, la Toscana supererà quel 20% di energie rinnovabili che l’Europa chiede entro il 2020.

Ma questo tipo di energia è davvero rinnovabile?

Non la pensa così Andrea Borgia, uno dei massimi esperti di energia geotermica. Borgia spiega che si estrae il calore delle rocce, ma i tempi che occorrono per ricaricare il loro calore sono molto lunghi, dell’ordine delle migliaia di anni.

Anche sulla sostenibilità idrica i comitati locali sollevano obiezioni. Un sondaggio della regione Toscana confermerebbe che i 4 milioni di tonnellate di vapore acqueo consumati dalle centrali, stanno depauperando le sorgenti amiatine, che dissetano 700000 persone, tra Siena, Grosseto e Viterbo. Per Enel questo è impossibile. I meccanismi di circolazione che interessano il vapore acqueo, secondo Enel, sono diversi, sono di scala regionale molto più ampia e sono totalmente distinti da quelli che interessano invece i circuiti potabili.

Ma Borgia non ha dubbi: nell’acquifero superficiale la falda ha una forte depressione e questa depressione indica che l’acqua va verso il basso.

Poi ci sono le sostanze che il vapore rilascia nell’aria e nell’acqua. Per la sola Piancastagnaio, Enel dichiara migliaia di tonnellate annue di acido borico, solfuri, ammoniaca, mercurio, arsenico, radon e metalli pesanti. Ovviamente vengono o diluite o abbattute e quindi, camino per camino, stanno nei limiti, anche se per l’ARPAT sarebbe più corretto considerare i 12 camini come un’unica fonte di emissione.

Come se non bastasse, pochi mesi fa il CNR e l’Università di Pisa, per conto della Regione Toscana, avevano osservato un significativo aumento di mortalità. Si tratta di un eccesso del 13% in più rispetto ai comuni limitrofi che hanno le stesse caratteristiche socioeconomiche e del 13,7% rispetto ai valori medi “standard” della regione Toscana.

Eppure un geotermico buono, più pulito e sostenibile esiste. Se di nuova centrale sull’Amiata si deve parlare, l’Enel si impegni a realizzare una tecnologia che riduca il più possibile gli impatti ambientali. A breve saranno anche visitate le centrali geotermiche che sono state realizzate negli Stati Uniti. Si tratta di centrali a “ciclo chiuso” con impatto più sostenibile.

Buona visione del filmato.

Energia geotermica


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Impianto geotermico domestico

 

Un esempio di impianto geotermico domestico. Il filmato presentato mostra il funzionamento di un impianto geotermico in una casa. Vengono descritti tutti i modi possibili per sfruttare il calore della terra per aumentare la temperatura dell'acqua e di conseguenza spendere meno in riscaldamento per portare l'acqua alla temperatura desiderata. Bisogna considerare che un normale impianto riesce a scaldare l'acqua fino a 22 gradi. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito http://www.recanatiservice.it/index.htm.

Negli impianti geotermici di questo tipo si sfrutta il sottosuolo come serbatoio termico dal quale estrarre calore durante la stagione invernale ed al quale cederne durante la stagione estiva. Si tratta di un metodo geotermico con il quale qualsiasi edificio, in qualsiasi luogo del nostro pianeta, può riscaldarsi e raffrescarsi, invece di usare la classica caldaia d'inverno ed il condizionatore d'estate. Ovviamente è applicabile in qualsiasi regione d’Italia, in qualsiasi tipologia di sottosuolo e in qualsiasi situazione geografica. Quindi anche al al mare, in montagna, in pianura, in collina, in riva ad un lago, in città, in campagna, non ci sono limitazioni di questo tipo.

Insomma, si tratta di una una fonte energetica molto interessante, anche se poco conosciuta, ma che vale la pena di essere presa seriamente in considerazione.

Buona visione del filmato.

Impianto geotermico domestico


mercoledì 23 marzo 2011

Siamo tutti marziani?

 

Siamo tutti marziani? La domanda non sorge certo spontanea, perché infatti dovremmo essere marziani? Per gli scienziati invece la domanda non è per nulla oziosa e potrebbe avere un fondamento scientifico. Secondo molti studiosi dei pianeti la vita potrebbe avere avuto origine su Marte e poi sarebbe giunta sulla Terra “a bordo” dei meteoriti. Se è stato davvero così, alcuni studiosi del MIT e dell’Università di Harvard avrebbero trovato il modo di fornire la prova definitiva.

meteoriti da Marte

Per individuare tracce di vita passata o presente su Marte, una strategia promettente sarebbe quella di trovare porzioni di DNA o RNA che sono universalmente presenti in questo tipo di molecole sulla Terra. Questa è la strategia perseguita da una ricerca del MIT condotta da Christopher Carr e da Clarissa Lui, in collaborazione con Maria Zuber, capo del Department of Earth, Atmospheric and Planetary Sciences (EAPS), e Gary Ruvkun, un biologo molecolare del Massachusetts General Hospital e Harvard University, che per primo ha ideato lo strumento adatto ed ha messo insieme la squadra di ricercatori. Lui ha presentato una sintesi del funzionamento del loro strumento, chiamato Search for Extra-Terrestrial genoma (SETG), alla conferenza IEEE Aerospace questo mese a Big Sky, nel Montana (USA).

L’idea si basa sul fatto che, miliardi di anni fa, le condizioni climatiche di Marte e della Terra erano molto simili. Anzi, sembra che in quella remota epoca Marte avrebbe potuto essere anche più adatto della Terra per ospitare la vita. Inoltre si stima che più di un miliardo di tonnellate di rocce marziane siano state espulse da Marte e cadute sulla Terra a causa di impatti di asteroidi e meteoriti sul pianeta rosso. Come ultimo indizio, sappiamo che i microorganismi potrebbero sopravvivere ad un lungo viaggio nello spazio se racchiusi all’interno delle rocce.

In questo modo l’ipotesi che la vita sia iniziata in realtà prima su Marte e poi si sia diffusa con le meteoriti sulla Terra diventa del tutto plausibile. Per questo motivo noi, che siamo i discendenti dei primi microorganismi “caduti” sulla Terra, che erano marziani, saremmo quindi tutti discendenti dei marziani.

siamo tutti marziani

Se siamo tutti discendenti dei microorganismi marziani, allora avremmo molte cose da imparare sulle nostre origini biologiche studiando la biochimica di Marte. Le origini della vita che sono state cancellate sulla Terra, potrebbero essersi conservate intatte nel suolo ghiacciato di Marte.

Il dispositivo ideato dai ricercatori del MIT  dovrebbe prelevare campioni di suolo marziano e isolare eventuali microbi che potrebbero essere presenti, o resti di microbi (che potrebbero essersi conservati per circa un milione di anni ancora vitali e quindi contengono DNA), e separare il materiale genetico per poter utilizzare le tecniche biochimiche standard allo scopo di analizzare la loro sequenza genetica.

In questo modo si potrebbe stabilire facilmente se c’è un legame tra la vita terrestre e l’eventuale vita marziana. Si tratta di uno studio affascinante e questo nuovo strumento di analisi potrebbe essere utilizzato in una futura (ma non ancora approvata) missione spaziale su Marte.


La nebulosa Red Square (quadrato rosso)

 

Cosa potrebbe far apparire una nebulosa di forma quadrata? Ancora non si sa bene. Il caldo sistema stellare MWC 922 appare associato ad una nebulosa dalla forma davvero particolare, la nebulosa Red Square (quadrato rosso). L’immagine presentata sotto è una sovrapposizione di esposizioni nell’infrarosso del telescopio Hale dell’osservatorio di Monte Palomar (California) e del telescopio Keck-2 del Mauna Kea nelle Hawaii.

La migliore ipotesi che spiega la forma quadrata di questa meravigliosa nebulosa è che la stella o le stelle presenti nel suo centro abbiano espulso dei getti di gas di forma conica durante una fase avanzata della loro vita stellare. La particolare prospettiva da cui vediamo questi coni di gas spiegano gli angoli retti che osserviamo nella forma della nebulosa.

Alcuni ricercatori hanno pensato che questi coni di gas, visti da un angolo prospettico diverso, apparirebbero simili agli anelli giganti della supernova 1987a (qui ne potete vedere una foto) e questo farebbe pensare che la stella al centro della nebulosa Red Square potrebbe un giorno esplodere come supernova.


martedì 22 marzo 2011

Eolo

 

Eolo è il dio dei venti nella mitologia greca e figlio di Poseidone, vive nell'isola di Lipari, nelle Eolie, con i sei figli e le sei figlie godendo di perenni feste. La sua prerogativa è quella di governare i venti, eccitandoli o frenandoli a sua volontà. In un episodio dell'Odissea, Ulisse approda all'isola di Eolo, che lo accoglie amichevolmente e lo ospita per un mese. Al momento della sua partenza gli consegna un otre dove stavano rinchiusi tutti i venti, fuorché quello che doveva portare direttamente Ulisse a Itaca. ma i compagni di Ulisse, mentre lui dorme, pensando che l'otre fosse pieno di vino lo aprono, scatenando una tempesta che riporta la nave alle isole Eolie. Ma Eolo, indovinando che Ulisse, a causa dei guai che gli capitano, sia vittima della collera di qualche Dio, non vuole più avere nulla a che fare con lui e lo caccia via.

Da Eolo deriva l’aggettivo “eolico” che riguarda tutto ciò che deriva dall’azione del vento (energia eolica, erosione eolica, ecc…).


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Vediamo un frammento della diretta del lancio dello Starship del 18 noembre 2023. Il Booster 9, il primo stadio del razzo, esplode poco dopo...