lunedì 12 novembre 2007

Come si fa a misurare la distanza delle stelle

stella_1 Spesso si sente dire che una certa stella dista da noi un certo numero di anni luce. Ma come fanno gli astronomi a misurare la distanza delle stelle?

In effetti esistono vari metodi per avere una valutazione della distanza delle stelle. Si tratta comunque di una stima che prevede un certo grado di incertezza, come accade in qualsiasi misura scientifica.

I metodi più usati sono tre:

1) Metodo della parallasse. Si tratta di un metodo trigonometrico e funziona bene per le stelle più vicine (al massimo un centiniaio di anni luce).

2) Metodo delle Cefeidi. Le stelle variabili dette cefeidi presentano un periodo che è in stretta relazione con la loro luminosità assoluta; dal periodo osservato di una cefeide si ricava quindi la magnitudine assoluta e dal confronto con quella apparente la distanza.

3) Metodi spettroscopici. L'analisi dello spettro di una stella fornisce tra le altre cose una buona stima della sua magnitudine assoluta; il confronto con la magnitudine apparente fornisce una stima della distanza.

La distanza delle stelle più vicine (entro 100 anni luce circa) si misura con il metodo della parallasse.
Per metterlo in pratica si deve misurare due volte la posizione di una stella (rispetto alle stelle più deboli e quindi presumibilmente molto più lontane) a distanza di sei mesi. In questo periodo la Terra ha percorso metà della propria orbita, e quindi la seconda osservazione viene fatta a circa 300 milioni di Km di distanza dalla prima (il raggio dell'orbita terrestre è di circa 150 milioni di Km).

Parallasse

A causa di questo spostamento della Terra, che è il punto d'osservazione, si può constatare una modificazione apparente della posizione della stella rispetto alle stelle di sfondo. La misura precisa dell'angolo di spostamento (che per definizione è il doppio della parallasse) permette di risalire alla distanza della stella.

La relazione tra la distanza e la parallasse è data dalla formula:

d = r / sen p

nella quale d è la distanza della stella, r è la base di triangolazione (ovvero il semiasse maggiore dell'orbita terrestre, pari a 149597870 km) e p è l'angolo di parallasse.

Per misurare distanze maggiori di un centinaio di parsec e quindi, in definitiva, per fissare la scala delle distanze nell'Universo osservabile bisogna ricorrere a metodi diversi dalla parallasse. In base alla relazione che sussiste tra la magnitudine apparente e quella assoluta ecco che è necessario scoprire nelle altre galassie delle "candele" stellari, di luminosità assoluta nota, per potere effettuare una stima della loro distanza.

Conoscendo la legge con cui si attenua la luce in base alla distanza ecco che si può risalire, una volta nota la luminosità (o magnitudine) assoluta della stella alla sua distanza.

Uno di questi metodi è quello delle Cefeidi classiche. Chiaramente questo metodo si può applicare a galassie non troppo lontane in quanto condizione fondamentale è che in esse si possano risolvere le stelle che le compongono. Le variabili Cefeidi sono stelle pulsanti con periodi che vanno da 2 a 40 giorni. La signora Leavitt nel 1912 trovò, dopo avere effettuato centinaia di misure delle variabili Cefeidi nelle nubi di Magellano, una relazione tra il periodo P e la magnitudine assoluta Mv. In altri termini le Cefeidi più brillanti variano di luminosità più di quelle meno brillanti e quindi è possibile risalire dal periodo di variabilità alla magnitudine assoluta. Dal momento che la magnitudine apparente è sempre disponibile viene ad essere noto immediatamente il modulo di distanza e quindi la distanza stessa. Per questo motivo le Cefeidi sono dette indicatori di distanza o candele standard.

Scritto il primo manuale di Cold Reading, l'arte in cui si crea l'illusione di sapere tutto della persona che ci si trova davanti (passato, pr

Manuale di cold reading

Come fingere di sapere tutto sul conto degli altri
Introduzione di James Randi

di Ray Hyman

Ho tentato di creare questo volume come un manuale onnicomprensivo sulla lettura a freddo e sulla lettura psichica. Sono convinto che esso contenga tutto quello che vi occorre sapere per comprendere e realizzare letture di successo. Vi suggerirei di prenderlo a piccole dosi. Molto probabilmente riuscirete ad avere successo come lettori “psichici” mettendo in pratica solo uno o due dei suggerimenti contenuti in questo libro.
Col tempo, vi renderete conto che le vostre letture superano di gran lunga quelle del lettore medio che esercita questo mestiere quotidianamente.
Il mio intento non è fornire al mondo nuovi “sensitivi”. Piuttosto desidero impressionarvi con il potere di questa situazione sociale in miniatura. Vi fornirò i dieci “segreti” della cold reading. Perché proprio dieci? Riconosco che non c’è nulla di magico in questo numero. Avrei potuto elencare i cinque o i venti segreti della lettura a freddo. In effetti, sono del parere che in realtà non esiste nessun segreto della lettura a freddo. Può farlo chiunque. E virtualmente qualunque metodo per metterla in pratica “funzionerà”. E davvero possiamo comprimere tutti i consigli in un singolo segreto: provateci! Se sapete parlare, sarete in grado di effettuare una cold reading di successo.


Ray Hyman

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domenica 11 novembre 2007

Le donne serial killer devono lavorare il doppio per raggiungere la notorietà

In questo mondo pieno di ingiustizie le donne ancora non vengono riconosciute nel loro lavoro. E' successo anche a Barbara Louise Huxley, che per raggiungere la copertina di Time e Newsweek, a 46 anni, ha dovuto uccidere il doppio di vittime innocenti rispetto ai suoi colleghi serial killer di sesso maschile. Per lei è stato davvero faticoso raggiungere la notorietà...

Huxley, nella casa di cura dove svolge il suo duro lavoro e i terribili omicidi, ha visto le sue attività non riconosciute per anni.

La sua prima vittima l'ha uccisa a soli 27 anni. Si trattava di un paziente anziano che ha soffocato con i tubi chirurgici. Poi sono seguiti altri sette omicidi per soffocamento, ancora più lenti e metodici.

Come molte giovani donne che vogliono semplicemente la possibilità di uccidere il maggior numero possibile di vittime, prima di essere arrestata dalla polizia, Huxley ha affrontato una feroce resistenza ad ogni turno, a volte da funzionari di polizia, a volte testimoni oculari, o spesso, la resistenza stessa delle vittime.

Huxley ha detto: "Voglio solo essere trattata come qualsiasi altro omicida sociopatico."

Nel frattempo, Huxley e una mezza dozzina di altre donne come lei deve continuare a bruciare e mutilare innumerevoli vittime, senza l'attenzione dei mezzi di comunicazione senza la giusta applicazione della legge che i loro atroci atti giustamente meritano.

Adesso Huxley sogna di essere trattata come un assassino sanguinario e non più, come questa nostra società malata fa, una semplice, dolce tenera donna.

(Fonte)

La mappa di tutti i vulcani attivi nel mondo

I vulcani non sono distribuiti in modo casuale sulla superficie terrestre, ma sono indicatori di zone di debolezza corrispondenti ad aree instabili della crosta terrestre. Essi si trovano in corrispondenza dei limiti di placca, sia dove si crea nuova crosta in risalita dall'astenosfera (dorsali oceaniche) sia dove la crosta viene distrutta sprofondando di nuovo nell'astenosfera (zone di subduzione).
Ne è prova di ciò la cosiddetta Cintura di fuoco che è la linea di vulcani che circonda tutto l'oceano Pacifico. Essa è costituita da vulcani dalla bella forma conica e con pendii abbastanza acclivi. La loro attività è di tipo esplosiva e i magmi eruttati, piuttosto viscosi, sono per lo più di tipo andesitico (da ciò viene chiamata anche linea dell'andesite). Dato il tipo di attività questi vulcani sono caratterizzati da una pericolosità piuttosto elevata.
A questo tipo di vulcani appartengono il Vesuvio (il vulcano a rischio più elevato dell'Europa), i Campi Flegrei, Stromboli e Vulcano nelle isole Eolie.
I vulcani delle dorsali, invece sono caratterizzati da magmi meno viscosi e sono quindi più fluidi. La loro forma è piuttosto appiattita e formano grandi espandimenti lavici. Sono caratterizzati da una pericolosità modesta. Una zona dove è possibile osservare questo tipo di vulcanismo è l'Islanda, in quanto si può considerare un tratto di dorsale affiorante dall'oceano Atlantico. A questo tipo di vulcani appartiene l'Etna, il vulcano più grande d'Europa.
Un vulcanismo simile a quello delle dorsali è dato dai vulcani delle cosiddette rift valleys che rappresentano una dorsale in via di formazione. Questo tipo di vulcani si può osservare in Africa Orientale nella zona dei grandi laghi.
Oltre a questi due grandi tipi di vulcani dei limiti di placche ve ne sono altri tra cui quello dei cosiddetti vulcani di hot spot, che sono situati all'interno di una placca. Appartenenti a questo tipo di vulcanismo abbiamo i vulcani delle isole Hawaii localizzati in mezzo alla grande placca dell'oceano Pacifico. La loro attività è simile al vulcanismo delle dorsali oceaniche.

Per maggiori informazioni visitate la fonte.

sabato 10 novembre 2007

Ettore Majorana. Il geniale fisico scomparso misteriosamente nel 1938.

«Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fanno del loro meglio ma non vanno lontano. C'è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentale per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni come Galileo e Newton. Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha. Sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune trovare negli altri uomini: il semplice buon senso.»

(Enrico Fermi)

Con queste parole il premio Nobel della Fisica, Enrico Fermi, descriveva il giovane Ettore Majorana. In effetti Ettore era un giovane e geniale fisico, dal carattere ombroso e riservato. Nel 1937 Ettore Majorana fu nominato professore di Fisica teorica all'Università di Napoli, dove si legò d'amicizia con Antonio Carrelli, professore di Fisica sperimentale presso lo stesso Istituto di Fisica.

Ma ciò che fa di Majorana un genio davvero particolare, non era tanto il suo carattere eccentrico, ma la storia della sua scomparsa, tuttora completamente avvolta nel mistero.

La sera del 25 marzo 1938 Ettore Majorana partì da Napoli con un piroscafo della società Tirrenia alla volta di Palermo, ove si fermò un paio di giorni: il viaggio gli era stato consigliato dai suoi più stretti amici, i quali lo avevano invitato a prendersi un periodo di riposo.

Il giorno stesso, prima di partire, aveva scritto a Carrelli la seguente missiva:

Caro Carrelli, Ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi, ma soprattutto per aver deluso tutta la fiducia, la sincera amicizia e la simpatia che mi hai dimostrato in questi mesi... Ti prego anche di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto...; dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo.

Ai familiari aveva invece scritto:

Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all'uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi.

Il 26 marzo Carrelli ricevette da Majorana un telegramma in cui gli diceva di non preoccuparsi di quanto scritto nella lettera che gli aveva precedentemente inviato.

Lo stesso giorno fu scritta e spedita anche questa ultima lettera:

Palermo, 26 marzo 1938 - XVI Caro Carrelli, Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all'albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all'insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.

Ma Ettore non comparve più.

Iniziarono le ricerche. Del caso si interessò, dietro pressioni di Fermi, lo stesso Mussolini; fu anche proposta una ricompensa (30.000 lire) per chi ne desse notizie, ma non si seppe mai più nulla di lui, almeno non in modo inequivocabile.

Il professor Vittorio Strazzeri dell'Università di Palermo asserì di averlo visto a bordo alle prime luci dell'alba del 27 marzo mentre il piroscafo sul quale era imbarcato si accingeva ad attraccare a Napoli (in realtà egli condivise la cuccetta con un giovane viaggiatore che, secondo la descrizione, corrispondeva a Majorana, da lui mai conosciuto personalmente prima di allora). Un marinaio asserì di averlo scorto, dopo aver doppiato Capri, non molto prima che il piroscafo attraccasse, e la società Tirrenia, anche se l'episodio non fu mai confermato, asserì che il biglietto di Majorana era tra quelli testimonianti lo sbarco. Anche un'infermiera che lo conosceva sostenne di averlo visto, in questo caso nei primi giorni dell'aprile 1938, mentre camminava per strada a Napoli.

Ma non fu mai trovata nessuna traccia documentata della sua destinazione ed in mare non fu mai trovato.

Le indagini furono condotte per circa tre mesi e si estesero ad un convento di Gesuiti che si trovava vicino a dove lui abitava, dove pare si fosse rivolto per chiedere una qualche sorta di aiuto, forse come reminiscenza del suo periodo scolastico presso i Gesuiti di Roma. La famiglia seguì anche una pista che sembrava portare al Convento di S.Pasquale di Portici, ma alle domande rivoltegli il padre guardiano rispose con un enigmatico: "Perché volete sapere dov'è? l'importante è che egli sia felice".

Ci fu una ridda di ipotesi, di indizi, ma non si ebbero mai certezze sulla sorte di Majorana: va comunque notato che nelle sue lettere egli non parla mai di suicidio, ma solo di scomparsa, ed era persona attenta alle parole.

L'unica certezza tra tante supposizioni consiste nel non indifferente prelievo di una considerevole somma di denaro (alcuni stipendi arretrati) che Majorana fece prima di far perdere le sue tracce, l'equivalente di circa 10 mila dollari attuali, oltre che della sparizione del suo passaporto. Anche questo fatto, unito alla razionalità della mente di Majorana, rende poco probabile l'ipotesi del suicidio.

Amaldi nel suo Ricordo scrisse che egli aveva saputo trovare in modo mirabile una risposta ad alcuni quesiti della natura, ma che aveva cercato invano una giustificazione alla vita, alla sua vita, che era per lui di gran lunga più ricca di promesse di quanto non lo sia per la stragrande maggioranza degli uomini.

Il giorno prima di salpare da Napoli consegnò alla studentessa Gilda Senatore una cartella di materiale scientifico: questi documenti furono mostrati anni dopo al marito di questa, anch'esso fisico. Questi ne parlò con Carrelli che ne parlò con il rettore che li volle: dopo di che le carte si persero.

La storia dell’ultimo teorema di Fermat e della sua dimostrazione è una vicenda più appassionante di una saga, più intricata di una tragedia, più affa

La storia dell’ultimo teorema di Fermat e della sua dimostrazione è una vicenda complicata ed è più appassionante di una saga, più intricata di una tragedia, più affascinante di un romanzo d’avventura.

L’Ultimo Teorema di Fermat ha un collegamento forte con la matematica dell’antica Grecia e con i fondamenti del pensiero di Pitagora. Si arriva, in un magico balzo di secoli, dal teorema di Pitagora fino alla sofisticata matematica moderna. Ma vediamo di descrivere, a grandi linee, questa storia così piena di sorprese.

Il problema dell’Ultimo Teorema (da questo momento in poi lo chiameremo così) sembra molto semplice perché si basa su una nozione matematica che tutti possono ricordare:

In un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti.

Questa è la formulazione del Teorema di Pitagora, che tutti conosciamo. Se x, y e z (z è l’ipotenusa e x e y i cateti) sono le lunghezze dei lati del triangolo, allora il teorema può essere enunciato simbolicamente nel seguente modo:

z^2 = x^2 + y^2

Se in un triangolo rettangolo x = 3 e y = 4 si vede che z (l’ipotenusa) sarà uguale a 5, infatti, considerando la formula appena scritta si avrebbe:

52 = 32 + 42 e cioè: 25 = 9 + 16

e per questo triangolo il Teorema sarebbe verificato. Ma Pitagora come poteva sapere che il suo teorema era valido per qualsiasi triangolo rettangolo? Ovviamente non poteva misurare l’infinita varietà di trangoli per vedere se tutti lo verificavano! Tuttavia egli era assolutamente sicuro della universalità delle sue conclusioni. La ragione di questa fiducia sta nel concetto di dimostrazione matematica. La ricerca di una dimostrazione di questo genere è la ricerca di una conoscenza più assoluta di qualsiasi altra conoscenza accumulata da ogni altra disciplina. Il Teorema di Pitagora è una verità definitiva che nessuno potrà mai modificare.

Dopo la morte di Pitagora, i suoi allievi, oltre alla dimostrazione del Teorema, divulgarono al mondo il segreto per trovare le cosiddette “Terne Pitagoriche”. Le terne pitagoriche sono combinazioni di tre numeri interi che soddisfano l’equazione di Pitagora z^2 = x^2 + y^2 . Come abbiamo visto prima l’equazione è valida se x = 3, y = 4 e z = 5. Ma anche se x = 5, y = 12 e z = 13, infatti si ha: 132 = 52 + 122, cioè 169 = 25 + 144.

Un terna pitagorica più grande è x = 99, y = 4900 e z = 4901. Per numeri più grandi le terne diventano sempre più difficili da trovare. Per scoprire le terne i pitagorici inventarono un metodo e nel far questo dimostrarono che il loro numero era infinito. Quindi esistono infinite terne di numeri interi che soddisfano l’equazione di Pitagora. Ma adesso consideriamo una equazione del tipo:

z^3 = x^3 + y^3

dove i quadrati sono diventati cubi. La potenza è passata da 2 a 3. A questo punto ci chiediamo: esistono terne pitagoriche che soddisfano questa equazione? Ebbene, trovare soluzioni per l’equazione “al cubo” sembra proprio che sia impossibile! E inoltre, se la potenza viene cambiata da 3 ad un qualunque numero più alto n (cioè 4,5,6...), anche in questo caso sembra impossibile trovare una soluzione. Alla fine l’equazione:

z^n = x^n + y^n per n maggiore di 2

non riesce più a mostrare soluzioni. E infatti il grande matematico francese del Seicento Pierre de Fermat fece la stupefacente affermazione che la ragione per la quale nessuno poteva trovare una soluzione era che la soluzione non esisteva affatto.

“Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema, che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina”.

Così scriveva Pierre de Fermat a proposito di quello che sarebbe stato il più grande rompicapo degli ultimi quattro secoli. La dimostrazione che non stava nel margine troppo stretto non fu mai trovata. Qui comincia la grande avventura, e quella frase divenne il guanto di sfida raccolto da generazioni di matematici, che si sforzarono invano di dimostrare questo teorema così apparentemente semplice, ma in realtà così impenetrabile.

Dopo oltre tre secoli e mezzo, l’enigma ha trovato una soluzione: un matematico inglese, di nome Andrew Wiles, della Princeton University, che sin dalla sua infanzia sognava di trovare una soluzione, è riuscito nel 1994 a violare il grande segreto.

Resta però ancora un piccolo mistero… Osservando la dimostrazione dell’Ultimo Teorema di Wiles, si nota che è una dimostrazione davvero molto lunga e complicata, che fa uso delle tecniche matematiche più moderne e complesse, molte delle quali sono state introdotte dallo stesso Wiles. Quasi tutte queste tecniche erano completamente sconosciute all’epoca di Pierre de Fermat. Allora ci chiediamo: come aveva fatto il grande matematico francese a dimostrare quel teorema? Aveva forse commesso un errore? Si era ingannato? Oppure esiste un modo molto più semplice per dimostrarlo, che per tre secoli e mezzo è sfuggito anche alle più grandi menti matematiche?

Vorrei concludere con una curiosità, per così dire, “umoristica”. Nella metropolitana di New York, sui muri della stazione dell’Ottava Strada, compare un simpatico graffito, ispirato senza dubbio da tutta l’attenzione dei media per il teorema quando ne fu dato annunzio nel 1994:

“ z^n = x^n + y^n: nessuna soluzione.

Ho scoperto una dimostrazione meravigliosa di questo fatto, ma adesso non posso scriverla perché sta arrivando il mio treno”.

venerdì 9 novembre 2007

Cari alieni, invece di venirci a rapire di notte e portarci nei vostri dischi volanti per farci strane e dolorose visite mediche, leggetevi questo rac

L’intuizione

Fam Arouet si stava recando nello studio del Direttore del Dipartimento di Ricerca sulle Civiltà Extraterrestri con il cuore in gola. Non sapeva se il Direttore Tomath avrebbe gradito ciò che avrebbe detto, ma non aveva scelta. La verità è il primo dovere di un ricercatore. Tuttavia si sentiva soggiogato da una inquietudine di cui non riusciva a liberarsi.
La porta si aprì in fondo al luminoso corridoio e Fam pose lo sguardo dentro lo studio del Direttore arredato in maniera davvero molto moderna, ma senza eccesso; era un ambiente piacevole, come (quasi sempre) il suo umore.
Lo fece accomodare con un gesto e un sorriso. Tomath non cambiava mai, Fam lo conosceva da anni, ma nemmeno l’età aveva cambiato la sua natura: poche parole e sorriso affabile.
«Sono contento di rivederti ogni tanto... è da un po’ che non passi da qui: mi sono mancate le nostre interminabili chiacchierate sulla filosofia greca...».
«Lo so, lo so... Il lavoro e la carriera ci assorbono sempre di più, or-mai...» disse Fam, con un tono pieno di nostalgia.
«Hai fatto progressi Fam; tu più di me. Nel nostro campo nessuno ha una conoscenza superiore alla tua.»
«È proprio per questo che sono venuto a parlarti.»
«Hai avuto qualche altra intuizione?»
«In un certo senso, si.»
«Allora dimmi, non tenermi sulle spine!»
«Abbiamo sbagliato tutto...»
Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato. Tomath sorrideva aspettando un’altra parola di Fam, ma quello, scuro in faccia, non accennava a dire altro.
«È successo qualcosa Fam?»
«È successo che ho usato il denaro del Dipartimento per portare avanti una ricerca non autorizzata! Ecco tutto.»
Tomath restò di sasso; non sapendo che dire, si portò una mano nei ca-pelli facendo finta di sistemarli. Dopo un attimo di incredulità, nella sua mente si accavallarono mille pensieri, ma il più martellante era: come aveva fatto il suo amico a mettere in atto una cosa del genere, senza che lui se ne accorgesse! Si sentì dolorosamente responsabile.
«Come è potuto accadere? Io avrei autorizzato qualsiasi tua proposta, lo sai, anche le più folli! Non ti ho mai posto limiti da questo punto di vista! E inoltre come hai fatto a prendere il denaro?».
«Lo so, ma la mia ricerca richiedeva la più assoluta riservatezza! Nemmeno tu dovevi sapere.»
«Quindi per amore della segretezza hai fatto qualcosa che, se vera, po-trebbe mettere fine sia alla tua che alla mia carriera?» disse Tomath, co-minciando a scaldarsi.
«Sì, l’ho fatto, ma i risultati sono stati davvero incredibili! Ne è valsa la pena!» disse Fam con un sorriso smagliante.
«Spiegati meglio!»
«Come ti dicevo prima, noi abbiamo sbagliato tutto! Abbiamo com-messo un errore di fondo che ci ha portato a cercare gli extraterrestri nei modi e nei posti sbagliati. Ti rendi conto di quanti fondi sono stati buttati al vento? E poi? Nessun risultato convincente. Improvvisamente, alcuni mesi fa, ho avuto l’intuizione giusta.»
«E quale sarebbe questa intuizione?»
«Sono partito da una affermazione del fisico teorico Paul Davies. Egli disse che se avessimo incontrato una civiltà extraterrestre, la comunica-zione sarebbe potuta risultare inattuabile perché non era affatto sicuro che ci fosse qualcosa da comunicare... ricordi?»
«Sì, ricordo bene, ma vai avanti...» disse Tomath, ancora in pensiero per la rivelazione di poco prima: il fatto di avere mandato in fumo una carriera lo metteva spaventosamente in ansia e nessuno gli poteva dare torto per tanta preoccupazione.
«Allora ho messo questa affermazione in relazione alla comunicazione tra esseri viventi con grande differenza di livello intellettivo. Ad esempio la comunicazione tra esseri umani e gatti si restringe solo allo scambio di coccole e all’offerta di cibo, non puoi raccontare al gatto le tue elucubra-zioni filosofiche o scientifiche, perché sarebbe del tutto inutile... né il gatto può comunicare altro che voglia di coccole o desiderio di cibo. Eb-bene, questo avverrebbe tra due esseri che comunque sono dello stesso pianeta, ma tra esseri di pianeti diversi anche queste semplici forme di comunicazione potrebbero essere del tutto assenti e l’unica informazione a disposizione potrebbe ridursi alla pura constatazione dell’esistenza! Cioè: io ti vedo e tu mi vedi. Mi segui?»
«Fin qui ti seguo, ma non riesco a capire dove vuoi arrivare...» disse Tomath imbarazzato.
«In realtà a questo ci eravamo già arrivati. La constatazione dell’esistenza è già un risultato incredibilmente interessante. Per questo motivo, per anni, sono stati portati avanti progetti come O.Z.M.A. o il più noto S.E.T.I. Inoltre questo Dipartimento ha finanziato ricerche su U.F.O., abduction, crop circles, civiltà scomparse e tante altre cose che non hanno portato altro che spreco di tempo e di fondi... cioè risultati ZERO».
«Questo lo so, ma tu che rimedi hai trovato?» disse Tomath, temendo che il discorso di Fam si sarebbe rapidamente smarrito in oziose conside-razioni.
«Abbiamo percorso tutte le strade, tranne l’unica che porta direttamente alla cosiddetta: “constatazione dell’esistenza”! Ce l’avevamo sotto il naso, ma non l’abbiamo vista!»
«Sei sicuro? Noi ne abbiamo provate di tutti i colori!»
«Sì, sono sicuro...» disse Fam, con sguardo trionfante.
«Vorrei che tu mi spiegassi…»
«Certamente. Per farti capire meglio ti faccio un esempio. Hai mai visto un gatto che capisce che nella tua casa c’è un apparecchio televisivo?»
«Credo proprio di no; di solito la mia gatta ci si addormenta di sopra, anche quando mio figlio lo tiene acceso ad alto volume!» disse Tomath.
«Ecco! Quindi cani e gatti, ad esempio, sono assolutamente incapaci di distinguere una tecnologia. Si addormentano sul televisore, passeggiano sul cofano delle automobili, marchiano il territorio sui pali della luce... Da questa evidenza potremmo estrapolare che se noi fossimo a contatto con una civiltà extraterrestre molto più avanzata di noi, potremmo non essere in grado di percepire le loro tecnologie, e chiaro?»
«Con questo che vuoi dire? Che potremmo addormentarci su un disco volante scambiandolo per un letto?» disse Tomath ridendo.
«Ebbene, non ci crederai, ma è proprio ciò che è accaduto a un centina-io di persone in questa città!»
«Che si sono addormentate su un disco volante?!» disse Tomath con una faccia tra il divertito e lo stupito.
«Esattamente! Ho scoperto che molti oggetti che noi scambiamo per letti sono in realtà delle navi spaziali aliene! Lo so, sembra talmente in-verosimile che stento a crederci io stesso...»
«Ma hai almeno un prova?» disse Tomath, sconvolto.
«Nel mio laboratorio ho un paio di letti che farebbero la gioia di qualsi-asi scienziato anziché quella di una coppia di amanti... Sapessi, una volta analizzati, cosa ci ho trovato dentro...»
«Ma com’è possibile una cosa del genere?»
«È del tutto possibile, anzi, direi che è banalmente ovvio, talmente ov-vio che non ci avevamo mai pensato. Le nostre menti non sono in grado di razionalizzare una tecnologia enormemente superiore alla nostra, quindi sono costrette a crearsi una falsa immagine. Come un gatto scambia il cofano di un automobile per un luogo adatto per dormire, allo stesso modo noi possiamo scambiare una nave spaziale aliena per un letto. Anzi, la nostra mente fa molto di più di un semplice scambio: essa VEDE un letto! Capisci?»
«Credo, credo di sì...» balbettò Tomath, cominciando a credere che Fam si fosse lasciato prendere un po’ troppo dall’entusiasmo.
«Sai come ho fatto a scoprirlo? Andando ad analizzare tutte quelle per-sone che sognavano molto spesso di fare viaggi nello spazio o di vedere alieni o esseri strani. In realtà non stavano affatto sognando, viaggiavano davvero nello spazio! Le navi spaziali aliene si attivano con la mente, quindi quelle persone le “mettevano in moto” inconsapevolmente usando le facoltà mentali, che nel sonno sono notoriamente potenziate. Siccome poi si basano su una propulsione a stadi intermedi di spazi interdimen-sionali, sembrava che il letto e la persona non si muovessero da lì e in re-altà sfrecciavano ad anni luce di distanza! Inoltre ho scoperto anche che questi letti erano stati regalati o prestati ai soggetti, quindi significa che gli alieni lo hanno fatto apposta per sottoporli a esperimenti. Non è una scoperta incredibile?»
«Credo di sì...» Tomath cominciava a sentirsi un cretino. Da un bel po’ era lì che ascoltava gli sproloqui di un uomo che aveva perso ogni traccia di raziocinio e non sapeva nemmeno cosa rispondergli.
«L’altra grande scoperta che ho fatto è stata che molti indumenti che indossiamo quotidianamente sono in realtà dei manufatti alieni: per essere precisi sono dei sofisticati strumenti per monitorare tutti i nostri parametri vitali. Noi li indossiamo e loro trasmettono agli alieni la pulsazione cardiaca, la pressione del sangue, la temperatura e chissà quanti altri pa-rametri che noi non immaginiamo neanche! Chi non ha comprato qualche economico indumento made in China? Ebbene, di questi indumenti ci viene detto che sono stati realizzati con manodopera a basso costo e proprio per questo sono venduti a prezzi stracciati, ma questo è un trucco! Il prezzo basso serve a favorirne la diffusione a livello mondiale, e il fatto che sono marchiati made in China serve a limitare la possibilità di verificarne la provenienza! Anche in questo caso in laboratorio ho un centinaio di magliette che una volta analizzate a fondo hanno rivelato dettagli davvero incredibili!» disse Fam trascinato da un crescente entu-siasmo.
«Più tardi voglio vedere sia i letti che le magliette! Ma c’è una cosa che vorrei capire... i cani e i gatti sono incapaci di percepire le nostre tecno-logie, ma sono capacissimi di vedere NOI! Se noi non siamo capaci di vedere le tecnologie aliene, quindi dovremmo essere almeno capaci di vedere LORO! Perché invece non li vediamo?»
«Ci ho pensato anche io a questo problema e mi sono scervellato per mesi, ma poi ho trovato la soluzione: anche questa era sotto il naso e non l’abbiamo mai vista. Sono partito sempre dal rapporto umani-animali. I cani e i gatti, per rifarci agli stessi esempi di prima, ci vedono benissimo, ma ci percepiscono come se fossimo anche noi cani o gatti! Solo che ci pongono in una posizione dominante rispetto a loro! Da ciò si estrapola facilmente che...»
«...noi vediamo gli alieni come se fossero normalissimi esseri umani, ma in posizioni sociali molto elevate, come star del cinema, presidenti, imperatori, ecc... Questa però l’ho già sentita,» lo interruppe Tomath, mostrando tutta la sua perplessità.
«Sì, qualcuno l’aveva già pensato, e noi l’abbiamo snobbato come un pazzo visionario...» disse Fam con tristezza.
«Loro sono tra noi,» aggiunse Fam a bassa voce avvicinandosi a To-math.
«Anche tu sembri un pazzo visionario in questo momento!» lo rimpro-verò Tomath.
«Io ho le prove!»
«Le voglio vedere!»
«Calmati! Le vedrai al momento opportuno.»
«Spero che per te il momento opportuno sia molto presto. Io ho da la-vorare...» disse Tomath alzandosi dalla sua poltrona. Cominciò a pensare che se Fam non se ne fosse andato entro pochi minuti avrebbe perso la pazienza. L’atteggiamento di Fam era un po’ troppo irritante.
«Questo è più importante del tuo lavoro. È qualcosa di troppo grandio-so, i tuoi appuntamenti possono certamente aspettare».
«Aspettare cosa? Perché non vuoi farmi vedere subito le prove?» chiese Tomath.
«Ti rendi conto che Gesù era con molta probabilità un alieno che aveva mostrato a tutti le sue capacità! Lo hanno ucciso i suoi stessi simili per metterlo a tacere. In questo modo trovano spiegazione anche i numerosi miracoli che Egli faceva…» disse Fam pensieroso.
«Non cambiare discorso! Voglio visionare le prove che hai citato. Vo-glio vedere le analisi dei letti e delle magliette! Tu hai queste analisi, por-tamele, per favore».
«Non subito; mi devi perdonare ma non mi fido: anche tu potresti esse-re un alieno!»
«Basta Fam. La mia pazienza ha un limite. Ho solo altri cinque minuti da dedicarti, poi ho un seminario. Giusto il tempo per andare a prendere le tue analisi e portarmele!» disse Tomath severo.
«Dopotutto anche tu hai sempre occupato posizioni sociali elevate... potrei togliermi ogni dubbio facendo l’analisi di un campione dei tuoi tessuti…»
«Cosa?!» gridò Tomath.
«Sì, certo! L’analisi metterebbe in evidenza un DNA diverso da quello umano e sarebbe la prova della tua appartenenza!».
Con mossa rapida Fam afferrò il tagliacarte sulla scrivania di Tomath e si diresse di scatto verso di lui.
«Cosa vuoi fare?» disse Tomath con una smorfia di terrore disegnata sul viso.
«Calmati! Ci vorrà solo un attimo… mi basta un lembo del tuo orecchio per avere la prova che mi serve. Non ti farà male e se sei davvero umano non hai niente da temere!» disse Fam, rosso in viso.
A quel punto Tomath si decise, con un movimento rapido della mano, premette il bottone che si trovava sotto la sua scrivania e chiamò la sicu-rezza. Entro un minuto sarebbero arrivati due uomini.
«Tu non ragioni più... ti invito ad uscire da questo ufficio!» disse To-math, pallido in viso per la paura.
A quel punto Fam si fermò e abbassò il tagliacarte.
«Io l’avevo sempre sospettato, sai? È da anni che ti tengo d’occhio! Ma non ero sicuro, non sono mai stato sicuro. Non lo sono nemmeno adesso... ma se sei umano allora devi aiutarmi! Bisogna divulgare questa scoperta; ci divideremo il merito e saremo ricordati come i più grandi scienziati della storia umana. Saremo per sempre quelli che hanno scoperto l’esistenza degli extraterrestri, supereremo in fama Galileo, Newton, Ein-stein, Watson e Crick e tanti altri! Ti rendi conto di cosa abbiamo appena fatto?» disse Fam, febbricitante per l’entusiasmo.
«Tra pochi secondi due uomini ti accompagneranno fuori da questo e-dificio. Ma ci sentiamo tra qualche giorno. Dopo avere osservato cosa c’è dentro il tuo laboratorio...» disse Tomath freddamente.
I due uomini della sicurezza entrarono nello studio, strapparono dalla mano di Fam il tagliacarte e lo presero con forza dalle braccia. Mentre lo portavano fuori egli gridò:
«Diventeremo una leggenda perché nemmeno loro sono riusciti a fer-marci!», poi la porta dello studio si chiuse automaticamente.
Tomath crollò sulla poltrona in preda al pianto. Non solo il suo migliore scienziato e amico aveva perso la salute mentale, ma aveva anche commesso un reato di cui, lui, sarebbe potuto essere considerato respon-sabile, con gravi conseguenza per la carriera. Si sentiva rovinato e beffato dal destino.
Il giorno dopo invece si sentì parzialmente rincuorato. Dalle indagini svolte al computer non risultava nessun illecito da parte di Fam. Nessuno aveva mai prelevato denaro per svolgere ricerche di nascosto. Nel labora-torio non c’erano né letti né magliette e nemmeno altre cose strane. Anzi, la scrivania era desolatamente vuota, come se Fam non lavorasse da mol-to tempo.
Nonostante tutto restava il fatto che il suo amico era impazzito e questo per lui era un grande dispiacere. La migliore mente di tutto il Diparti-mento si era deteriorata e non sapeva se ne fosse esistita qualcuna in gra-do di succederle degnamente.
Le emozioni delle ultime 24 ore erano state talmente forti che Tomath si sentiva male fisicamente: avvertiva forti dolori addominali e anche un po’ di mal di gola. Ad un certo punto i dolori divennero spasmi e uscì dal suo studio per precipitarsi in bagno. Vi stette circa cinque minuti poi uscì, ma ancora non si sentiva davvero a posto.
Quando Harajo, tecnico del Dipartimento dal carattere eccentrico e in-troverso, vide uscire il direttore dal bagno, così pallido e sudaticcio, ven-ne colto da uno spiacevole sospetto. Si precipitò in bagno e guardò den-tro.
Le sue preoccupazioni erano fin troppo fondate. Non bastava che aveva dovuto in fretta e furia sgomberare il laboratorio di Fam Arouet, perché quello sciagurato ci teneva due navi spaziali e un centinaio di sonde ce-rebrali! Non bastava nemmeno che era stato costretto a cancellare tutte le tracce informatiche dei movimenti di denaro che lo stesso Fam aveva fat-to per procurarsi i soldi per le sue ricerche!
E doveva sopportare anche questo, parecchie volte al giorno.
«Il mio compito qui al Dipartimento sarebbe molto più piacevole se gli esseri umani la smettessero di defecare sul mio computer!» pensò.
«Ma l’hanno scambiato per un gabinetto?»

Giuseppe Nicosia

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