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sabato 11 ottobre 2008

Romanzo a puntate: L'uomo dalle mani invisibili - seconda puntata.

Eccoci al secondo appuntamento con il romanzo online L'uomo dalle mani invisibili. Cosa accadrà al nostro protagonista Guglielmo Cantor? Leggete, leggete ;-)

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Trovò un paio di guanti neri da mettere sopra le fasciature fatte con professionale precisione. Erano neri perché erano gli unici che aveva trovato in casa.
Così andò a lavoro e vi giunse con soli dieci minuti di ritardo. Nessuno notò quel trascurabile disservizio e se qualcuno gli chiedeva perché indossava quei guanti, lui rispondeva con un sorriso e un ammiccamento.
- Servono per non lasciare impronte digitali sospette... - diceva scherzando. Ma dentro di lui calavano le tenebre e l'angoscia lo rendeva infelice.
Cosa sarebbe successo se qualcuno avesse scoperto il suo segreto? Ogni volta che qualcuno veniva per compilare la scheda per i libri, aveva la sensazione di essere scrutato. Scrutato nell'intimo più insondabile. Era conscio che si trattava di una sua fissazione, ma se in alcuni casi fosse stato vero? Come avrebbe potuto saperlo? Stava diventando paranoico e col passare dei giorni si era convinto che alcuni erano in grado di indovinare i suoi pensieri più reconditi. La signora Meynard, quella vecchia arpia! Lo osservava con occhio sin troppo attento quella lì! Non lo aveva mai sopportato, sin da quando, dieci anni prima, era giunto in quella città ed era stato assunto come bibliotecario.
- Lei, signor Cantor, è così misterioso! Non dice mai nulla della sua vita privata. Ma è sposato? - gli aveva chiesto una volta con finta gentilezza, ma si capiva che era spinta da una irresistibile tendenza a farsi gli affari degli altri.
Guglielmo aveva risposto con altrettanta finta gentilezza che non era mai stato sposato e che non c'era alcun mistero nella sua vita. Mai una menzogna era stata più grande.
La signora Meynard non si era arresa e diverse volte gli aveva rivolto domande da cui si capiva che era una patologica ficcanaso.
Tuttavia non erano queste le persone che temeva di più.
Adesso, quando finiva il suo orario alla biblioteca, non aveva più nessuna voglia di fare una passeggiata lungo i viali alberati dell'Università. Si sentiva nudo con quei guanti che nascondevano il suo segreto. Cosa sarebbe successo se, per caso, se ne fosse sfilato uno mettendo a nudo un moncherino sanguinolento? Sarebbe stato un moncherino sanguinolento, ma da cui non usciva una sola goccia di sangue, perché dentro quelle mani invisibili era ancora tutto vivo. Cosa sarebbe successo? Cosa avrebbero detto i passanti? Quali espressioni di puro disgusto si sarebbero disegnate nei loro volti?
Andò di corsa a casa e si chiuse la porta alle spalle. Ma nemmeno lì si sentiva veramente al sicuro.
Si sedette pesantemente sulla poltrona e accese la televisione. Avrebbe passato una serata vedendo film comici, anche se non aveva più voglia di ridere. Dopo pochi minuti di distratta osservazione passiva dello schermo, decise che era arrivato il momento di andare a leggere qualcosa. Spense il televisore e si avvicinò alla libreria. Prese un volume qualsiasi dallo scaffale e si diresse di nuovo verso la poltrona. Si sedette pesantemente e aprì il libro in una pagina a caso.
Vi lesse: “Filoteo. Uno dunque è il cielo, il spacio immenso, il seno, il continente universale, l'eterea regione per la quale il tutto discorre e si muove. Ivi innumerabili stelle, astri, globi, soli e terre sensibilmente si veggono, ed infiniti raggionevolmente si argumentano. L'universo immenso ed infinito è il composto che resulta da tal spacio e tanti compresi corpi.”
Riconobbe di avere preso il “De l'infinito, universo e mondi” di Giordano Bruno. Stava leggendo l'inizio del terzo dialogo.
Pensò che il filosofo era riuscito ad aprire la sua mente per comprendere l'infinito, o almeno ci aveva provato, mentre lui in quel momento si sentiva compresso in uno spazio infinitesimo, senza dimensioni. Avrebbe potuto scrivere un saggio sulla claustrofobia esistenziale.
Lasciò cadere il libro per terra e proseguì nei suoi pensieri pigri e svogliati. Osservò ancora le sue mani guantate e pensò che in fondo avrebbe potuto essere un supereroe, se avesse avuto i superpoteri. Chissà cosa potevano fare le sue mani invisibili, oltre che suscitare una terribile vergogna.
Colpevole! Si sentiva colpevole. Ma cosa aveva fatto per diventare un mutilato senza mutilazioni?

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La prima puntata la puoi trovare a questo indirizzo.

La prossima puntata, la terza, sarà pubblicata il 18 ottobre.

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sabato 4 ottobre 2008

Romanzo a puntate: L'uomo dalle mani invisibili - prima puntata

Esistono vari modi per pubblicare un romanzo. Il più tradizionale e pubblicarlo in formato cartaceo, oppure in formato pdf per essere distribuito direttamente su Internet. In questo blog ho deciso di sperimentare il "romanzo a puntate". Lo so, non è una cosa originale, ma io non l'ho mai fatto :-)

L'uomo dalle mani invisibili è un racconto ispirato ad un sogno e l'ho scritto di getto. Ciò significa che mi perdonerete qualche piccola ingenuità nella forma e nella sostanza :-) Dopotutto il pregio di pubblicare un romanzo su un blog è che se c'è qualcosa che non capite, me la potete chiedere direttamente ;-) L'altro pregio è che posso sfogare tutta la mia creatività senza avere nessuna "ansia da prestazione". Insomma c'è più libertà e quindi più divertimento.

Buona lettura di questa prima puntata dell'Uomo dalle mani invisibili :-)

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Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Guglielmo Cantor si trovò con le mani invisibili. Osservò con indescrivibile disgusto i due moncherini dinanzi ai suoi occhi. Dai polsi in su le sue mani erano diventate completamente invisibili e qui, al confine tra il visibile e l'invisibile, poteva osservare un pulsare di sangue e tessuti vivi che lo angosciava. Appariva come una di quelle sezioni del corpo umano che si vedono nei libri di anatomia.
Si accorse che sentiva perfettamente le sue dita e poteva afferrare le coperte. Quindi le mani in realtà non erano sparite, ma erano divenute misteriosamente trasparenti. Sentì che il panico cresceva dentro di lui ed era sul punto di urlare. Si alzò dal letto e corse in bagno a vomitare dentro la tazza del water.
Trascorsero interminabili secondi di disorientamento e di annebbiamento della coscienza, secondi in cui restò paralizzato, chinato sul water. Appena tornò in lui un briciolo di lucidità, osservò ancora le sue mani.
Allo specchio non si vedevano. Poteva vedere il suo volto attraverso di esse riflesso allo specchio. Aprì il rubinetto del lavandino e vi lasciò scorrere l'acqua; sentì il flusso freddo dell'acqua e vide che questo flusso veniva perturbato dalla presenza delle mani, disegnandone la forma nello spazio. Sentì l'impulso di piangere disperatamente, di urlare, di scatenare tutta la sua rabbia e frustrazione.
Non c'era dubbio: era successo veramente, non era un incubo, ma una più terribile realtà.
Proprio a lui era successo, a lui che aveva assoluto bisogno di non essere notato.
Adesso doveva affrontare il problema più grave: cosa fare per nascondere questa sua inaspettata condizione. Era tardi e doveva andare a lavoro: pensò che un normale paio di guanti avrebbe risolto il problema in maniera elegante e se qualcuno avesse fatto qualche domanda di troppo, sarebbe stato sufficiente inventarsi la scusa di una allergia per scoraggiare qualsiasi ulteriore curiosità.
I guanti però non avrebbero risolto il mistero di quel fenomeno atipico. Quale terribile male dell'anima o del corpo rende le mani trasparenti? E se qualcuno gli avesse chiesto di toglierli per vedere le escoriazioni dell'epidermide dovute all'allergia? Cosa avrebbe potuto rispondere?
“No, non posso andare a lavoro! Non in queste condizioni...”.
Andò a sedersi sul letto per pensare qualcosa, ma non riusciva a pensare a niente. Solo vergogna, per ciò che gli era appena successo, solo questo riusciva a pensare. Sapeva che doveva essere colpa sua, ne era certo, anche se non era in grado di individuare con certezza cosa avesse fatto di sbagliato.
Ricordava che di notte era stato tormentato da vari incubi, ma non riusciva a ricordarne il contenuto. Ma forse non c'era alcuna correlazione tra i sogni e le mani.
Bisognava trovare una soluzione rapidamente. Se fosse arrivato in ritardo a lavoro, probabilmente non sarebbe successo niente, ma se non ci andava affatto avrebbe dato troppo nell'occhio, e lui non se lo poteva permettere.
Optò per la soluzione dei guanti, ma sotto avrebbe messo delle fasciature. Ai più curiosi avrebbe detto che il medico gli aveva raccomandato di non rimuoverle assolutamente per alcuni giorni. In questo modo avrebbe guadagnato tempo e avrebbe potuto decidere con più calma se continuare a vivere come se niente fosse oppure se fuggire per sempre.
Guglielmo Cantor non era sempre stato un modesto bibliotecario. Da giovane era stato una delle menti più brillanti della nazione; il suo unico difetto era che aveva conosciuto le persone sbagliate.

“Sono fuggito dal mio passato, ma il passato non si è limitato a raggiungermi: mi ha addirittura sorpassato e ora mi umilia con ferocia”.

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Continua... (il prossimo appuntamento, sabato 11 ottobre)

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lunedì 3 dicembre 2007

Il cacciatore (racconto)

In questo post vi presento uno scrittore esordiente che apprezzo molto. Si tratta di Bartolo Conti di cui, nei prossimi giorni, pubblicherò un altro racconto. Intanto godetevi questo, dal titolo: "Il cacciatore".

Mancava poco al tramonto, quel pomeriggio, il cielo carminio tinteggiava le colline che si ergevano fluttuanti tra le ombre dei vecchi carrubi e dei ginepri coccoloni; l’arrugginita FIAT Uno, parcheggiata sul ponticello sospeso sulla cava, sembrava messa li quasi a monito dell’onnipresenza ingombrante della nostra sgangherata modernità. Arcangelo Tresca se ne stava accovacciato sull’inferriata del ponte, gongolante, contemplando le acrobazie di Scatto, il cirneco dell’Etna che gli avevano regalato cucciolo qualche mese prima. Andare a caccia era il suo passatempo preferito, tuttavia mai aveva toccato un’arma che considerava “cosa sciocca, perché la vita di una creatura non può essere spezzata da uno stupido oggetto che spara pallini di piombo”; forse anche per questo si considerava il migliore tra i cacciatori del paese. Scatto, il suo cirneco, era la sua arma da caccia, ma anche il più sincero tra i suoi amici.

A dire il vero la madre glielo aveva sempre detto che la politica la fanno gli “sperti” e non era cosa per quelli come lui; ma Arcangelo era uno a cui piaceva toccare la fiamma con le sue mani per rendersi conto che il fuoco brucia, così si era tesserato nel partito che “difende gli interessi dei lavoratori”; d’altronde non poteva essere altrimenti visto che i suoi amici militavano tutti da quella parte.

Aprì lo scricchiolante portellone della FIAT Uno e, con un balzo, Scatto saltò dentro scodinzolando vistosamente; bisognava affrettarsi, la campagna elettorale volgeva ormai al termine e il paese doveva esser ripassato perbene in maniera che la gente avesse ben chiaro a chi dare il voto. Trovò il Professore davanti alla porta della sede del partito con un grande block notes in mano,

- Ma dove minchia sei stato tutto questo tempo? E’ più di mezz’ora che aspetto qui come un allocco. Arcangelo non rispose per la sorpresa, abituato com’era a vedere il Professore vestito sempre con una tuta “come quella del compagno Mao” avuta in regalo direttamente dalla Cina, non si sarebbe mai aspettato di vederlo indossare una cravatta arancione su una giacca a quadrettoni con tutti i colori dell’arcobaleno; come se non bastasse un effluvio si spargeva nell’aria tutt’intorno provocato dal terribile miscuglio tra il fumo dell’immancabile toscano e un dopobarba che aveva comprato:

– Dal putiaro quando sono andato a pigghiare la frutta. Che da quando la televisione di Berlusconi ci ‘nfrasca la testa alla gente … bisogna vestirsi eleganti e profumati altrimenti manco ti fanno trasiri in casa.

Un’intera cassa di birra fu caricata a bordo della Uno; una stridente sgommata segnò l’inizio della missione, l’obiettivo era il quartiere popolare del paese. Il compito di Arcangelo era quello di annotare tutte le richieste e le rimostranze della gente, ma prima bisognava “bagnarsi la gola” così le prime due bottiglie di birra percorsero, in breve, le vie intestinali rendendo più fluido il panegirico del Professore. La sera aveva ormai ceduto il passo alla notte, le bottiglie di birra erano quasi tutte vuote ed il block notes era colmo di lamentele, di ambizioni e di sogni.

L’appuntamento con gli altri “cacciatori di voti” era in trattoria davanti ad un abbondante piatto di “bollito”; ciascuno raccontava, a turno, le impressioni degli incontri avuti nel corso della giornata esternando le proprie ricette e teorie politiche che diventavano sempre più complicate man mano che i boccali di cerasuolo si svuotavano. Il vocio si spense del tutto quando il Professore iniziò a descrivere le avvenenti forme di una ragazza di cui avevano fatto conoscenza poco prima; Arcangelo era rimasto particolarmente colpito da quei capelli neri che sfioravano leggermente una pelle luminosa come il chiar di luna, provò emozione e la sua mente si librò nel blu intenso di notti stellate profumate dall’essenza della brezza marina e dai baci al sapor di gelsomino. Poco più tardi la compagnia si riversò lungo i vicoli adiacenti la trattoria dove i fumi dell’alcool si trasformarono in chiassosa manifestazione canora:

- AVANTI POPOLO ALLA RISCOSSA … -

Le complicazioni digestive resero insonne quella notte, ma neppure le dolorose fitte allo stomaco riuscirono a cancellare il ricordo di quella casa che profumava di gelsomino. L’indomani Arcangelo fece appello a tutta la sua audacia e tornò nel luogo dei suoi sogni, entrando si avvide che vicino alle finestre stavano due gelsomini fioriti che conferivano un aspetto gradevole alla piccola “casa popolare”. Quando la porta si schiuse si sentì le gambe pesanti e, a stento, farfugliò che non riusciva a trovare gli appunti con le richieste fatte da quella famiglia; un sorriso attraversò gli sguardi della ragazza e della madre: non vi era stata nessuna richiesta, nessuna lamentela e soprattutto non vi era stato nessun appunto. Ma si sa che a volte le parole e gli argomenti non servono quando a parlare sono gli occhi e il cuore; fu così che Arcangelo ottenne il suo primo appuntamento; quando tornò a casa gli sembrava di essere il “gatto con gli stivali”: ad ogni passo sette leghe. L’intesa tra i due cresceva di giorno in giorno, proporzionalmente l’impegno politico andava scemando con notevole disappunto del Professore che, di sfuggita, una volta gli disse:

- Stai attento alle persone che frequenti -.

Arcangelo non capì cosa volesse dire. Infine arrivò il giorno delle elezioni, era stato iscritto come rappresentante di lista nella sezione n.7, ma era una giornata bellissima e non sarebbe certo stata l’assenza di un rappresentante di lista a cambiare le sorti delle elezioni. In breve i due ragazzi raggiunsero le colline che incorniciavano il paese, Scatto sprizzava gioia correndo da un cespuglio all’altro; le scroscianti fronde dei poderosi carrubi ed i fruscii delle saettanti lucertole tra la vegetazione furono i suoni di un sentimento che i poeti e gli scrittori definiscono, usualmente, “amore”. Arcangelo non si era mai reso conto di quanto un giorno potesse essere breve, era ormai notte ma troppa era la gioia per non essere condivisa con tutti gli amici; pensarono di andare alla sezione del partito; trovarono facce scure e musi lunghi che mugugnavano davanti al televisore commentando la pesante sconfitta, non una risposta al festoso saluto di Arcangelo, solo il Professore si voltò distogliendo lo sguardo dalla TV:

- Ma dove sei stato tutto il giorno? Ci hanno bastonato come cani, non abbiamo preso manco un seggio -.

Non fece in tempo a rispondere che una voce si levò dal gruppo:

- Ma dove vuoi che sia stato? Se l’è spassata tutto il giorno con quella sporca fascista -.

Una sensazione di gelo attraversò le vene di Arcangelo, fece appena in tempo a voltarsi per vedere un sogno dalle sembianze femminili guadagnare l’uscita; il tempo sembrò rallentare, vide il Professore urlare contro uno del gruppo, dopo degli attimi lunghissimi, le sue gambe corsero fuori dove trovò solo il buio della notte rotto dalla luce artificiale dei lampioni.

Il Professore aveva fumato un paio di toscani senza profferire una sola parola standosene appoggiato sull’argine del torrente che attraversava il paese come un lungo serpente bianco, Arcangelo era lì accanto con il volto rigato da qualche lacrima scintillante.

- Ho preso delle informazioni nei giorni scorsi, devi sapere che il nonno di quella ragazza era un gerarca fascista, uno che ha preso parte alla Repubblica di Salò ed è morto nel campo di prigionia per fascisti di Coltano, anche il padre della ragazza è un fascista che in passato è stato in odore di terrorismo, qualcuno sostiene che lo sia diventato perché i partigiani gli hanno violentato la madre. Purtroppo è duro dire queste cose, ma qualche bestialità la hanno fatta anche i nostri. Tutto questo non giustifica certo quello che hanno fatto stasera, gli avrei spaccato il muso a quell’idiota. Forse perché è troppo tempo che faccio politica o forse perché ne ho viste sin troppe di storture, penso che gli uomini non si debbano distinguere per il colore politico ma per quello che serbano nel loro cuore; questa nostra storia è una grande stronzata, ragazzo mio, il rosso, il bianco e il nero l’abbiamo nell’anima: ho visto fascisti galantuomini e cattivi comunisti; ho visto dei compagni soffrire, durante la guerra, e nel loro volto la morte che si specchiava trasportata dalle maledette pallottole tedesche; ho anche visto dei ragazzi, poco più che adolescenti, in camicia nera, con lo sguardo fiero, morire trafitti dalle nostre pallottole al grido di “viva Mussolini”-.

Alcune grosse lacrime percorsero le rughe che solcavano il suo coriaceo volto, i suoi occhi brillavano come due lucciole.

- La verità è che quella maledetta guerra l’abbiamo persa un po’ tutti, nessuno si illuda, non c’è stato nessun vincitore! -

Si abbracciarono.

Ormai Arcangelo Tresca non fa più politica, quando vi capiterà di passare sul ponticello sospeso sulla cava, lo troverete lì insieme a Scatto, il suo cirneco, e alla sua compagna dai capelli neri e dalla pelle color del chiar di luna. Il Professore un giorno sicuramente busserà anche alla vostra porta, indossando la “tuta come quella del compagno Mao”, verrà con il suo block-notes a raccogliere le vostre lamentele, le vostre ambizioni e i vostri sogni.

Bartolo Conti

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venerdì 9 novembre 2007

Cari alieni, invece di venirci a rapire di notte e portarci nei vostri dischi volanti per farci strane e dolorose visite mediche, leggetevi questo rac

L’intuizione

Fam Arouet si stava recando nello studio del Direttore del Dipartimento di Ricerca sulle Civiltà Extraterrestri con il cuore in gola. Non sapeva se il Direttore Tomath avrebbe gradito ciò che avrebbe detto, ma non aveva scelta. La verità è il primo dovere di un ricercatore. Tuttavia si sentiva soggiogato da una inquietudine di cui non riusciva a liberarsi.
La porta si aprì in fondo al luminoso corridoio e Fam pose lo sguardo dentro lo studio del Direttore arredato in maniera davvero molto moderna, ma senza eccesso; era un ambiente piacevole, come (quasi sempre) il suo umore.
Lo fece accomodare con un gesto e un sorriso. Tomath non cambiava mai, Fam lo conosceva da anni, ma nemmeno l’età aveva cambiato la sua natura: poche parole e sorriso affabile.
«Sono contento di rivederti ogni tanto... è da un po’ che non passi da qui: mi sono mancate le nostre interminabili chiacchierate sulla filosofia greca...».
«Lo so, lo so... Il lavoro e la carriera ci assorbono sempre di più, or-mai...» disse Fam, con un tono pieno di nostalgia.
«Hai fatto progressi Fam; tu più di me. Nel nostro campo nessuno ha una conoscenza superiore alla tua.»
«È proprio per questo che sono venuto a parlarti.»
«Hai avuto qualche altra intuizione?»
«In un certo senso, si.»
«Allora dimmi, non tenermi sulle spine!»
«Abbiamo sbagliato tutto...»
Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato. Tomath sorrideva aspettando un’altra parola di Fam, ma quello, scuro in faccia, non accennava a dire altro.
«È successo qualcosa Fam?»
«È successo che ho usato il denaro del Dipartimento per portare avanti una ricerca non autorizzata! Ecco tutto.»
Tomath restò di sasso; non sapendo che dire, si portò una mano nei ca-pelli facendo finta di sistemarli. Dopo un attimo di incredulità, nella sua mente si accavallarono mille pensieri, ma il più martellante era: come aveva fatto il suo amico a mettere in atto una cosa del genere, senza che lui se ne accorgesse! Si sentì dolorosamente responsabile.
«Come è potuto accadere? Io avrei autorizzato qualsiasi tua proposta, lo sai, anche le più folli! Non ti ho mai posto limiti da questo punto di vista! E inoltre come hai fatto a prendere il denaro?».
«Lo so, ma la mia ricerca richiedeva la più assoluta riservatezza! Nemmeno tu dovevi sapere.»
«Quindi per amore della segretezza hai fatto qualcosa che, se vera, po-trebbe mettere fine sia alla tua che alla mia carriera?» disse Tomath, co-minciando a scaldarsi.
«Sì, l’ho fatto, ma i risultati sono stati davvero incredibili! Ne è valsa la pena!» disse Fam con un sorriso smagliante.
«Spiegati meglio!»
«Come ti dicevo prima, noi abbiamo sbagliato tutto! Abbiamo com-messo un errore di fondo che ci ha portato a cercare gli extraterrestri nei modi e nei posti sbagliati. Ti rendi conto di quanti fondi sono stati buttati al vento? E poi? Nessun risultato convincente. Improvvisamente, alcuni mesi fa, ho avuto l’intuizione giusta.»
«E quale sarebbe questa intuizione?»
«Sono partito da una affermazione del fisico teorico Paul Davies. Egli disse che se avessimo incontrato una civiltà extraterrestre, la comunica-zione sarebbe potuta risultare inattuabile perché non era affatto sicuro che ci fosse qualcosa da comunicare... ricordi?»
«Sì, ricordo bene, ma vai avanti...» disse Tomath, ancora in pensiero per la rivelazione di poco prima: il fatto di avere mandato in fumo una carriera lo metteva spaventosamente in ansia e nessuno gli poteva dare torto per tanta preoccupazione.
«Allora ho messo questa affermazione in relazione alla comunicazione tra esseri viventi con grande differenza di livello intellettivo. Ad esempio la comunicazione tra esseri umani e gatti si restringe solo allo scambio di coccole e all’offerta di cibo, non puoi raccontare al gatto le tue elucubra-zioni filosofiche o scientifiche, perché sarebbe del tutto inutile... né il gatto può comunicare altro che voglia di coccole o desiderio di cibo. Eb-bene, questo avverrebbe tra due esseri che comunque sono dello stesso pianeta, ma tra esseri di pianeti diversi anche queste semplici forme di comunicazione potrebbero essere del tutto assenti e l’unica informazione a disposizione potrebbe ridursi alla pura constatazione dell’esistenza! Cioè: io ti vedo e tu mi vedi. Mi segui?»
«Fin qui ti seguo, ma non riesco a capire dove vuoi arrivare...» disse Tomath imbarazzato.
«In realtà a questo ci eravamo già arrivati. La constatazione dell’esistenza è già un risultato incredibilmente interessante. Per questo motivo, per anni, sono stati portati avanti progetti come O.Z.M.A. o il più noto S.E.T.I. Inoltre questo Dipartimento ha finanziato ricerche su U.F.O., abduction, crop circles, civiltà scomparse e tante altre cose che non hanno portato altro che spreco di tempo e di fondi... cioè risultati ZERO».
«Questo lo so, ma tu che rimedi hai trovato?» disse Tomath, temendo che il discorso di Fam si sarebbe rapidamente smarrito in oziose conside-razioni.
«Abbiamo percorso tutte le strade, tranne l’unica che porta direttamente alla cosiddetta: “constatazione dell’esistenza”! Ce l’avevamo sotto il naso, ma non l’abbiamo vista!»
«Sei sicuro? Noi ne abbiamo provate di tutti i colori!»
«Sì, sono sicuro...» disse Fam, con sguardo trionfante.
«Vorrei che tu mi spiegassi…»
«Certamente. Per farti capire meglio ti faccio un esempio. Hai mai visto un gatto che capisce che nella tua casa c’è un apparecchio televisivo?»
«Credo proprio di no; di solito la mia gatta ci si addormenta di sopra, anche quando mio figlio lo tiene acceso ad alto volume!» disse Tomath.
«Ecco! Quindi cani e gatti, ad esempio, sono assolutamente incapaci di distinguere una tecnologia. Si addormentano sul televisore, passeggiano sul cofano delle automobili, marchiano il territorio sui pali della luce... Da questa evidenza potremmo estrapolare che se noi fossimo a contatto con una civiltà extraterrestre molto più avanzata di noi, potremmo non essere in grado di percepire le loro tecnologie, e chiaro?»
«Con questo che vuoi dire? Che potremmo addormentarci su un disco volante scambiandolo per un letto?» disse Tomath ridendo.
«Ebbene, non ci crederai, ma è proprio ciò che è accaduto a un centina-io di persone in questa città!»
«Che si sono addormentate su un disco volante?!» disse Tomath con una faccia tra il divertito e lo stupito.
«Esattamente! Ho scoperto che molti oggetti che noi scambiamo per letti sono in realtà delle navi spaziali aliene! Lo so, sembra talmente in-verosimile che stento a crederci io stesso...»
«Ma hai almeno un prova?» disse Tomath, sconvolto.
«Nel mio laboratorio ho un paio di letti che farebbero la gioia di qualsi-asi scienziato anziché quella di una coppia di amanti... Sapessi, una volta analizzati, cosa ci ho trovato dentro...»
«Ma com’è possibile una cosa del genere?»
«È del tutto possibile, anzi, direi che è banalmente ovvio, talmente ov-vio che non ci avevamo mai pensato. Le nostre menti non sono in grado di razionalizzare una tecnologia enormemente superiore alla nostra, quindi sono costrette a crearsi una falsa immagine. Come un gatto scambia il cofano di un automobile per un luogo adatto per dormire, allo stesso modo noi possiamo scambiare una nave spaziale aliena per un letto. Anzi, la nostra mente fa molto di più di un semplice scambio: essa VEDE un letto! Capisci?»
«Credo, credo di sì...» balbettò Tomath, cominciando a credere che Fam si fosse lasciato prendere un po’ troppo dall’entusiasmo.
«Sai come ho fatto a scoprirlo? Andando ad analizzare tutte quelle per-sone che sognavano molto spesso di fare viaggi nello spazio o di vedere alieni o esseri strani. In realtà non stavano affatto sognando, viaggiavano davvero nello spazio! Le navi spaziali aliene si attivano con la mente, quindi quelle persone le “mettevano in moto” inconsapevolmente usando le facoltà mentali, che nel sonno sono notoriamente potenziate. Siccome poi si basano su una propulsione a stadi intermedi di spazi interdimen-sionali, sembrava che il letto e la persona non si muovessero da lì e in re-altà sfrecciavano ad anni luce di distanza! Inoltre ho scoperto anche che questi letti erano stati regalati o prestati ai soggetti, quindi significa che gli alieni lo hanno fatto apposta per sottoporli a esperimenti. Non è una scoperta incredibile?»
«Credo di sì...» Tomath cominciava a sentirsi un cretino. Da un bel po’ era lì che ascoltava gli sproloqui di un uomo che aveva perso ogni traccia di raziocinio e non sapeva nemmeno cosa rispondergli.
«L’altra grande scoperta che ho fatto è stata che molti indumenti che indossiamo quotidianamente sono in realtà dei manufatti alieni: per essere precisi sono dei sofisticati strumenti per monitorare tutti i nostri parametri vitali. Noi li indossiamo e loro trasmettono agli alieni la pulsazione cardiaca, la pressione del sangue, la temperatura e chissà quanti altri pa-rametri che noi non immaginiamo neanche! Chi non ha comprato qualche economico indumento made in China? Ebbene, di questi indumenti ci viene detto che sono stati realizzati con manodopera a basso costo e proprio per questo sono venduti a prezzi stracciati, ma questo è un trucco! Il prezzo basso serve a favorirne la diffusione a livello mondiale, e il fatto che sono marchiati made in China serve a limitare la possibilità di verificarne la provenienza! Anche in questo caso in laboratorio ho un centinaio di magliette che una volta analizzate a fondo hanno rivelato dettagli davvero incredibili!» disse Fam trascinato da un crescente entu-siasmo.
«Più tardi voglio vedere sia i letti che le magliette! Ma c’è una cosa che vorrei capire... i cani e i gatti sono incapaci di percepire le nostre tecno-logie, ma sono capacissimi di vedere NOI! Se noi non siamo capaci di vedere le tecnologie aliene, quindi dovremmo essere almeno capaci di vedere LORO! Perché invece non li vediamo?»
«Ci ho pensato anche io a questo problema e mi sono scervellato per mesi, ma poi ho trovato la soluzione: anche questa era sotto il naso e non l’abbiamo mai vista. Sono partito sempre dal rapporto umani-animali. I cani e i gatti, per rifarci agli stessi esempi di prima, ci vedono benissimo, ma ci percepiscono come se fossimo anche noi cani o gatti! Solo che ci pongono in una posizione dominante rispetto a loro! Da ciò si estrapola facilmente che...»
«...noi vediamo gli alieni come se fossero normalissimi esseri umani, ma in posizioni sociali molto elevate, come star del cinema, presidenti, imperatori, ecc... Questa però l’ho già sentita,» lo interruppe Tomath, mostrando tutta la sua perplessità.
«Sì, qualcuno l’aveva già pensato, e noi l’abbiamo snobbato come un pazzo visionario...» disse Fam con tristezza.
«Loro sono tra noi,» aggiunse Fam a bassa voce avvicinandosi a To-math.
«Anche tu sembri un pazzo visionario in questo momento!» lo rimpro-verò Tomath.
«Io ho le prove!»
«Le voglio vedere!»
«Calmati! Le vedrai al momento opportuno.»
«Spero che per te il momento opportuno sia molto presto. Io ho da la-vorare...» disse Tomath alzandosi dalla sua poltrona. Cominciò a pensare che se Fam non se ne fosse andato entro pochi minuti avrebbe perso la pazienza. L’atteggiamento di Fam era un po’ troppo irritante.
«Questo è più importante del tuo lavoro. È qualcosa di troppo grandio-so, i tuoi appuntamenti possono certamente aspettare».
«Aspettare cosa? Perché non vuoi farmi vedere subito le prove?» chiese Tomath.
«Ti rendi conto che Gesù era con molta probabilità un alieno che aveva mostrato a tutti le sue capacità! Lo hanno ucciso i suoi stessi simili per metterlo a tacere. In questo modo trovano spiegazione anche i numerosi miracoli che Egli faceva…» disse Fam pensieroso.
«Non cambiare discorso! Voglio visionare le prove che hai citato. Vo-glio vedere le analisi dei letti e delle magliette! Tu hai queste analisi, por-tamele, per favore».
«Non subito; mi devi perdonare ma non mi fido: anche tu potresti esse-re un alieno!»
«Basta Fam. La mia pazienza ha un limite. Ho solo altri cinque minuti da dedicarti, poi ho un seminario. Giusto il tempo per andare a prendere le tue analisi e portarmele!» disse Tomath severo.
«Dopotutto anche tu hai sempre occupato posizioni sociali elevate... potrei togliermi ogni dubbio facendo l’analisi di un campione dei tuoi tessuti…»
«Cosa?!» gridò Tomath.
«Sì, certo! L’analisi metterebbe in evidenza un DNA diverso da quello umano e sarebbe la prova della tua appartenenza!».
Con mossa rapida Fam afferrò il tagliacarte sulla scrivania di Tomath e si diresse di scatto verso di lui.
«Cosa vuoi fare?» disse Tomath con una smorfia di terrore disegnata sul viso.
«Calmati! Ci vorrà solo un attimo… mi basta un lembo del tuo orecchio per avere la prova che mi serve. Non ti farà male e se sei davvero umano non hai niente da temere!» disse Fam, rosso in viso.
A quel punto Tomath si decise, con un movimento rapido della mano, premette il bottone che si trovava sotto la sua scrivania e chiamò la sicu-rezza. Entro un minuto sarebbero arrivati due uomini.
«Tu non ragioni più... ti invito ad uscire da questo ufficio!» disse To-math, pallido in viso per la paura.
A quel punto Fam si fermò e abbassò il tagliacarte.
«Io l’avevo sempre sospettato, sai? È da anni che ti tengo d’occhio! Ma non ero sicuro, non sono mai stato sicuro. Non lo sono nemmeno adesso... ma se sei umano allora devi aiutarmi! Bisogna divulgare questa scoperta; ci divideremo il merito e saremo ricordati come i più grandi scienziati della storia umana. Saremo per sempre quelli che hanno scoperto l’esistenza degli extraterrestri, supereremo in fama Galileo, Newton, Ein-stein, Watson e Crick e tanti altri! Ti rendi conto di cosa abbiamo appena fatto?» disse Fam, febbricitante per l’entusiasmo.
«Tra pochi secondi due uomini ti accompagneranno fuori da questo e-dificio. Ma ci sentiamo tra qualche giorno. Dopo avere osservato cosa c’è dentro il tuo laboratorio...» disse Tomath freddamente.
I due uomini della sicurezza entrarono nello studio, strapparono dalla mano di Fam il tagliacarte e lo presero con forza dalle braccia. Mentre lo portavano fuori egli gridò:
«Diventeremo una leggenda perché nemmeno loro sono riusciti a fer-marci!», poi la porta dello studio si chiuse automaticamente.
Tomath crollò sulla poltrona in preda al pianto. Non solo il suo migliore scienziato e amico aveva perso la salute mentale, ma aveva anche commesso un reato di cui, lui, sarebbe potuto essere considerato respon-sabile, con gravi conseguenza per la carriera. Si sentiva rovinato e beffato dal destino.
Il giorno dopo invece si sentì parzialmente rincuorato. Dalle indagini svolte al computer non risultava nessun illecito da parte di Fam. Nessuno aveva mai prelevato denaro per svolgere ricerche di nascosto. Nel labora-torio non c’erano né letti né magliette e nemmeno altre cose strane. Anzi, la scrivania era desolatamente vuota, come se Fam non lavorasse da mol-to tempo.
Nonostante tutto restava il fatto che il suo amico era impazzito e questo per lui era un grande dispiacere. La migliore mente di tutto il Diparti-mento si era deteriorata e non sapeva se ne fosse esistita qualcuna in gra-do di succederle degnamente.
Le emozioni delle ultime 24 ore erano state talmente forti che Tomath si sentiva male fisicamente: avvertiva forti dolori addominali e anche un po’ di mal di gola. Ad un certo punto i dolori divennero spasmi e uscì dal suo studio per precipitarsi in bagno. Vi stette circa cinque minuti poi uscì, ma ancora non si sentiva davvero a posto.
Quando Harajo, tecnico del Dipartimento dal carattere eccentrico e in-troverso, vide uscire il direttore dal bagno, così pallido e sudaticcio, ven-ne colto da uno spiacevole sospetto. Si precipitò in bagno e guardò den-tro.
Le sue preoccupazioni erano fin troppo fondate. Non bastava che aveva dovuto in fretta e furia sgomberare il laboratorio di Fam Arouet, perché quello sciagurato ci teneva due navi spaziali e un centinaio di sonde ce-rebrali! Non bastava nemmeno che era stato costretto a cancellare tutte le tracce informatiche dei movimenti di denaro che lo stesso Fam aveva fat-to per procurarsi i soldi per le sue ricerche!
E doveva sopportare anche questo, parecchie volte al giorno.
«Il mio compito qui al Dipartimento sarebbe molto più piacevole se gli esseri umani la smettessero di defecare sul mio computer!» pensò.
«Ma l’hanno scambiato per un gabinetto?»

Giuseppe Nicosia

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