domenica 29 aprile 2012

Miniere nello spazio

Qualche anno fa ci pensava la NASA su come sfruttare gli asteroidi. L’obiettivo era comprendere la loro origine per capire meglio anche l’origine del Sistema Solare e quindi del nostro pianeta. Poi è arrivata la crisi economica e una banda di miliardari, tra loro anche il regista del film Titanic, hanno un’idea ben diversa: gli asteroidi possono essere delle miniere. L’idea non è nuova ed è, se non sbaglio, presa in prestito dalla fantascienza. Questa idea potrà diventare realtà? Ancora non si sa, ma il futuro porta sempre novità impreviste.

fascia degli asteroidi

Come prima cosa, però, sarebbe interessante sapere cosa ci può essere di prezioso negli asteroidi. Oro, platino, palladio e forse molto altro, sono sicuramente presenti in alcuni asteroidi e questo potrebbe essere già un buon motivo per aprirci delle miniere. L’avventura che appare assurda viene presentata come possibile dai fondatori della prima compagnia mineraria spaziale della storia, la Planetary Resources, con sede a Seattle. Si tratta di imprenditori privati di grande successo che nel loro campo sono stati tutti dei visionari, ad esempio il cofondatore di Google, Larry Page, ed Eric Schmidt, uno dei suoi manager. Poi c’è il regista del film Avatar e di Titanic, James Cameron, quello che poche settimane fa è sceso nelle profondità del mare nella Fossa delle Marianne. Sono proprio questi “miliardari” che annunciano che sarebbe uno spreco lasciare certe immense ricchezze nello spazio e che bisognerebbe sfruttarle a favore dell’Umanità.

Il progetto inizialmente prevede il lancio, entro due anni, di piccoli telescopi spaziali per individuare gli asteroidi con il giusto mix di minerali interessanti tra i 1500 più grandi che vagano non troppo lontano dalla Terra. Poi è prevista una flotta di robot minatori o sonde che “acchiappino” gli asteroidi e li portino in orbita lunare in modo tale da essere raggiunti con maggiore facilità. Nessuna missione umana: tutto automatico. Uno degli elementi più importanti da cercare tra gli asteroidi è l’acqua, per trarne idrogeno come carburante. Tecnicamente tutto questo è ancora da inventare. La NASA stava pensando agli asteroidi come un futuro obiettivo alternativo al ritorno sulla Luna, ma i suoi attuali budget non permettono grandi scelte. In questo modo arrivano i privati, rubando il palcoscenico e facendosi molta (forse troppa) pubblicità. La vicenda assomiglia a quella del film Avatar in cui i cattivi minatori spaziali vogliono sfruttare il pianeta Pandora, ma sugli asteroidi fortunatamente non ci sono popoli in pericolo.

La faccenda è pura follia? Un fisico di Princeton ha detto: “il parte sono pazzi, in parte geniali, ma la base di tutto è che sono tanto ricchi…”.

Personalmente spero che si tratti solo di una “trovata pubblicitaria” per lanciare in commercio qualcosa che ancora non immaginiamo. Sarebbe davvero molto triste avere la NASA, che conduce indagini scientifiche preziosissime, con un budget ridotto e la Planetary Resources con un budget fantastico con il solo scopo di trovare altre fantasmagoriche ricchezze. A volte non ci si rende conto che la conoscenza è più preziosa di tutti i diamanti, oro e altre cose. La conoscenza scientifica è quella che può rendere la vita di tutta l’umanità un po’ migliore e non solo quella di pochi privilegiati.

Sono sicuro che è tutta una trovata pubblicitaria, ma solo il futuro saprà smentirmi Occhiolino.

Qui potete vedere un video (in inglese) di presentazione della Planetary Resources. Buona visione a tutti.


Marte al telescopio, 28 aprile 2012

Non è il migliore periodo per osservare o fotografare Marte. Il pianeta rosso non è alla minima distanza dalla Terra (che aveva raggiunto il 3 marzo 2012 con 100 milioni di chilometri) e quindi appare molto piccolo. Nonostante tutto ho provato a fare una ripresa di Marte per vedere cosa si riesce a vedere. L’attrezzatura utilizzata è sempre la stessa, con la fotocamera digitale Casio. Stavolta ho utilizzato un filtro polarizzatore Orion per diminuire la luminosità del pianeta. Con la fotocamera Casio Exilim EZ-X1050, che è una fotocamera molto economica e nemmeno molto recente, non è possibile variare l’esposizione dei fotogrammi quando si fanno i filmati. A causa di questo, Marte veniva fortemente sovraesposto. Con il filtro polarizzatore finalmente Marte riesce a mostrare qualche dettaglio della sua superficie, con l’unico limite dovuto al seeing e alla bassa qualità della fotocamera e anche, non dimentichiamolo, al fatto che Marte in questo periodo ha un diametro di soli 10 secondi d’arco (in ulteriore diminuzione).

Il filmato realizzato è stato poi elaborato con Registax 6, un software in grado di minimizzare gli effetti della turbolenza atmosferica. Ecco il risultato ottenuto.

Marte 28 aprile 2012

Facendo un confronto di questa immagine con la mappa di Marte generata dal software Stellarium del 28 aprile 2012 si possono riconoscere le zone visibili. Questo confronto l’ho fatto per vedere se i dettagli visibili nella foto sono “veri” e non sono effetti spuri dovuti alla elaborazione al computer.

Marte 28 aprile 2012 Mappa Marte 28 aprile 2012
Marte 28 aprile 2012 Mappa di Marte del 28 aprile 2012

Le zone visibili le ho dedotte io stesso in base a questa mappa di Marte:

Credo di non avere preso abbagli, ma se qualcuno nota che ho classificato male le zone visibili, me lo segnali nei commenti. Il dettaglio più evidente nella foto è sicuramente il Mare Acidalium. Questa è una regione molto interessante perché in un remoto passato poteva essere stato realmente un “mare”, cioè un grande bacino d’acqua. Lo testimoniano le immagini riprese dalle sonde spaziali che hanno fotografato la superficie di Marte che hanno trovato in questa zona numerosi terreni densamente stratificati. Inoltre, la famosa “faccia su Marte” si trova nel Mare Acidalium in una sua regione chiamata Cydonia. La “faccia su Marte” è importante perché è uno dei casi più clamorosi di pareidolia.


giovedì 26 aprile 2012

Moss Table: con il biofotovoltaico genera elettricità con la fotosintesi

La lampada o il laptop non potrebbero essere alimentati dalle piante? Perché no? Moss Table (letteralmente: tavolo di muschio) è un interessante prototipo che utilizza la tecnologia del biofotovoltaico (Bio-Photo-Voltaic = BPV). Si tratta di una tecnologia potenzialmente molto interessante per il futuro.

Qui l'elettricità è generata dagli elettroni catturati dalle fibre conduttive all'interno del Moss Table. La tecnologia crea energia sfruttando la fotosintesi delle piante. Il dispositivo è in grado di alimentare solo piccoli dispositivi elettronici come, ad esempio, un orologio digitale.

Moss Table


Anche se il Moss Table è solo un "concept design", la tecnologia del biofotovoltaico potrà avere un futuro "luminoso" (è il caso di dirlo) se si riuscirà ad ottenere una maggiore efficienza. Attualmente il muschio è in grado di produrre una potenza di 50 milliwatt per metro quadro (mW/m2). Il dispositivi BPV più efficienti (basati su piante sistemate su vasi, anziché sul muschio) possono produrre fino a 220 mW/m2. Gli scienziati ci anticipano che sarà possibile creare dispositivi che generano 3 W/m2. Bisogna pensare che i laptop più efficienti di ultima generazione possono essere operativi con una potenza di circa 1 W. Ciò significa che i laptop in futuro potranno essere alimentati dalle piante. In questo scenario del futuro il Moss Table potrebbe alimentare un laptop per 14 ore.

Quasi fantascienza? Vedremo se è così. La cosa più importante, a mio avviso, che la ricerca sulle energie rinnovabili non scarti nessuna idea utile, perché solo provando a percorrere tutte le strade possibili si potranno davvero risolvere i problemi energetici del futuro.

I diamanti

Se n’è parlato tanto e se ne parla ancora: oro e diamanti, mai sono stati così d’attualità. C’è chi li nasconde e chi li restituisce, qualcuno se ne tiene uno. Non è una grande novità che metalli e pietre preziose siano oggetto di attenzione da parte di chi vuole mettere al sicuro il proprio patrimonio, o magari fare un regalo importante, ma, bramosie e sentimenti a parte, che cosa sono per la scienza questi diamanti, come si ricavano e perché sono così preziosi?

Diamanti: tra queste pietre rimbalza la luce del sole e la materia raggiunge l’assoluta purezza. Gemme così splendenti da avere illuminato la fantasia dei gioiellieri, l’avidità dei rapinatori, le storie dei letterari e i sogni di tante donne fatali nel cinema, nelle canzoni e nella realtà.

Diamante

Per la scienza e la tecnologia sono semplicemente delle schegge di carbonio puro. Eppure tale elemento (il carbonio) è molto diffuso in natura, tanto abbondante che costituisce il 18% del peso del corpo umano ed è essenziale per la vita. I diamanti sono forme cristallizzate di carbonio, formatesi a pressioni e temperature estreme.

Sono i minerali più duri in natura. Il nome discende proprio da questa qualità: in greco antico diamante deriva da “indomabile”, una pietra, dunque, super resistente, dato che viene utilizzata molto nell’industria, nell’ottica, oltre che brillare come piccole stelle nei gioielli.

Per l’estrema durezza la polvere di diamante è utilizzata nelle macchine abrasive, nelle smerigliatrici, nelle punte perforatrici. E la conducibilità termica rende adatto il materiale anche nella dispersione termica nei basamenti dei superconduttori. I diamanti possono essere fabbricati artificialmente con diverse tecniche, come la sintesi ad alte temperature e pressioni.

Un metodo denominato CVD (Chemical Vapor Deposition), permette di costruire quasi i cristalli di diamante atomo per atomo.

Giacimenti importanti si trovano in Sud Africa, Australia, Botswana, Zaire, Brasile. Diamanti possono trovarsi in giacimenti primari, cioè nella roccia madre, oppure in depositi alluvionali. Mediamente, spiegano gli esperti, occorre scavare 250 tonnellate di roccia per ricavare un diamante grezzo da 1 carato.

mercoledì 25 aprile 2012

Saturno al limite

Quando si è raggiunto il limite di un certo tipo di attrezzatura di ripresa fotografica? E’ difficile dirlo. Nei giorni scorsi avevo mostrato una foto di Saturno ottenuta con un telescopio discreto, ma con attrezzatura fotografica economica e non troppo recente (una fotocamera digitale compatta Casio Exilim EX-Z1050 pagata 108 euro nel 2008) e con un seeing non troppo buono.

Questa foto di Saturno (quella a destra) è stata ottenuta con lo stesso telescopio e attrezzatura fotografica, ma stavolta il seeing era più che buono. Il risultato lo potete confrontare nelle foto sotto.

Saturno3 Saturno5
Seeing mediocre (14 aprile 2012) Seeing buono (21 aprile 2012)

Non so dire se siamo davvero “arrivati” con le possibilità della fotocamera Casio, ma facendo dei confronti con altre foto che si vedono in giro per la rete, mi sembra di capire che sarà difficile ottenere molti più dettagli con questa fotocamera. Per migliorare, mi sa che dovrò pensare ad acquistare una reflex Occhiolino. In realtà i migliori risultati nel campo della fotografia planetaria si possono ottenere solo con delle camere CCD dedicate, ma anche con alcuni modelli di reflex digitali si possono ottenere foto discrete. Inoltre la reflex si può utilizzare anche per le foto “normali” e di solito la spesa è inferiore a quella necessaria per l’acquisto con una camera CCD planetaria. I modelli più consigliati nei vari forum di astronomia sono la Canon EOS 550d e la Canon EOS 1100d, entrambe con un prezzo inferiore ai 600 euro.

Per fare un esempio, vediamo una recente bella foto di Saturno ottenuta con una Canon 550d e un telescopio un po’ più potente del mio.

Direi che la differenza c’è! Ovviamente tutte le foto mostrate in questo post (compresa l’ultima) sono state ottenute da filmati elaboranti con il software Registax 6 che, per dirlo in maniera semplificata, sovrappone i fotogrammi migliori e minimizza gli effetti della turbolenza atmosferica.


Colla fatta in casa

La colla più comune e più semplice da fare è la “colla della nonna”. Si tratta di una ricetta semplicissima che si faceva quando non c’era a disposizione nessun negozio che vendeva le colle. Bisognava utilizzare le sostanze presenti in casa. L’ingrediente principale della colla fatta in casa, infatti, è la farina.

farina per colla fatta in casa

Bisogna mettere due cucchiai di farina in un bicchiere e poi aggiungere acqua a temperatura ambiente, adesso mescoliamo. Nel frattempo facciamo bollire altra acqua. Versiamo un mezzo bicchiere di acqua bollente nell’impasto precedentemente preparato. A questo punto otterremo un impasto gelatinoso dovuto al fatto che l’amido della farina coagula a contatto con l’acqua calda. Abbiamo appena preparato la colla a caldo.

Questo tipo di colla può essere utilizzata per molte cose.

Una curiosità

Gli ebrei durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, quando non potevano uscire di casa perché erano ricercati e non avevano nulla da mangiare, toglievano la carta da parati dai muri e grattavano via la farina. Perché la colla utilizzata all’epoca per attaccare la carta da parati era fatta proprio con acqua e farina.


giovedì 19 aprile 2012

I coleotteri

Al mondo ci sono più specie di coleotteri che di ogni altro tipo di animali: se ne stimano oltre 400000 tipi differenti e se ne scoprono di nuovi ogni anno. I coleotteri vivono in habitat molto differenti e si presentano di dimensioni assai diverse. I più pesanti appartengono al genere africano del Goliathus, mentre i più grandi sono i centroamericani Hercules, che possono superare i 19 centimetri di lunghezza. I più piccoli sono gli scarabei piuma-alati, sembrano una macchiolina appena visibile ad occhio nudo: più appariscenti sono le colorate coccinelle. Al di là delle loro differenze in dimensioni, tutti i coleotteri hanno in comune le dure ali superiori, che formano una specie di corazza a protezione delle ali inferiori. Molti coleotteri sono vegetariani, ma altri sono cacciatori e carnivori: infine, alcuni passano la loro esistenza nei rifiuti e vivono nei resti in decomposizione di altri animali.

Strano ma vero
Alcune larve di coleottero si nutrono di legno e possono impiegare anche anni per giungere alla maturità. In Inghilterra, un coleottero è uscito da una ringhiera in legno di una casa… ben 47 anni dopo che gli alberi usati per costruirla erano stati abbattuti!

Coleotteri bizzarri
Nel corso di milioni di anni, molti coleotteri si sono evoluti con forme strane che costituiscono un perfetto adattamento ai propri ambienti e stili di vita. Alcune forme sono facili da spiegare, altre costituiscono un mistero per gli stessi entomologi.

Trachelophorus Giraffa

Questo curculionide deve il suo nome al lungo torace “a cavatappi”, che potrebbe aiutare questo coleottero a cercare il cibo.

Marmolyce philloides

Un coleottero a forma di violino, con due ali trasparenti intorno all’addome: abita in alcune colonie di funghi.

Anoplophora glabripennis

Coleottero dalle “lunghe corna” che sono semplici antenne.

Metriona bicolor
Metriona bicolor












E’ la tartaruga dei coleotteri: le ali superiori arrotondate e il torace piatto la rendono simile a una moneta.

Acrocinus longimanus

Detto “arlecchino”, un coleottero tropicale brillantemente colorato, che abita gli alberi di fichi e si nutre di notte.

Corna che incastrano
I maschi dei coleotteri Hercules usano le corna per intrecciarle con quelle dei rivali. Sono combattimenti apparentemente feroci, ma raramente lasciano feriti sul campo: il perdente si limita a scappare via.
Lotta tra coleotteri

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L’agopuntura funziona?

L’agopuntura funziona davvero? Il meccanismo alla base dell’agopuntura appare complicato ed è sempre molto difficile da comprendere. Ora però alcuni ricercatori dell’Università di Berlino hanno visto aree del cervello reagire agli stimoli dell’agopuntura. Lo studio aggiunge un tassello importante per capire come il sistema nervoso centrale reagisce agli stimoli sensoriali.

Un mistero in meno sull’agopuntura, una delle pratiche mediche tradizionali alternative più diffuse. Agopuntura, una medicina con radici antiche 2500 anni in Cina e con vasta diffusione oggi anche nei paesi occidentali. Dall’autorevole rivista NewScientist arriva un’indicazione scientifica sugli effetti terapeutici di questi aghi che si appoggiano quì e là in punti cruciali del corpo. I punti sarebbero distribuiti secondo quelli che sono definiti i “meridiani” del corpo umano. Questi meridiani sarebbero 12 e sarebbero attraversati da “flussi di energia”.

Mentre non sono ancora scientificamente chiare le modalità di azione e i rapporti causa-effetto, da uno studio condotto dal Centro Studi Universitario Charité di Berlino, emerge una mappa grafica delle zone cerebrali attivate dagli aghi. Sarebbe così dimostrato, almeno, che l’agopuntura aziona delle attività che coinvolgono il Sistema Nervoso Centrale. I ricercatori di Berlino hanno utilizzato più di 100 altri studi per individuare punti cruciali dell’agopuntura nel corpo umano.

(Una delle mappe delle aree del cervello attivate dall’agopuntura)

E’ stato a partire dagli anni ‘60 che l’agopuntura ha avuto il suo grande exploit internazionale. Ha superato pian piano diverse resistenze, essendo considerata una ciarlataneria. Ora suscita l’attenzione di molti studiosi. Secondo i sostenitori l’agopuntura corregge e ripristina i flussi di un’energia che viene chiamata qi che scorrerebbero lungo i sopracitati meridiani del corpo umano. Secondo costoro i benefici sarebbero osservabili in diversi campi: la terapia del dolore, le affezioni alla schiena, gli effetti indesiderati della chemioterapia e sembra che gli effetti benefici non sono determinati esclusivamente dall’effetto placebo.

Io credo che questo studio non aggiunga molto all’argomento agopuntura, perché non determina affatto se questa sia efficace o meno nel risolvere o curare certe patologie, ma mira piuttosto a creare un legame tra stimoli sensoriali e reazioni di specifiche aree del cervello. Io credo che sia abbastanza ovvio che se si stimola una parte del corpo esisterà una zona del cervello che reagisce, bisogna solo capire qual è questa zona. Lo studio descritto fa proprio questo e non mi sembra che ci sia molta pertinenza con l’agopuntura tradizionale. Forse gli entusiasti staranno già festeggiando, ma io sono certo che sarebbe meglio tenere un atteggiamento più prudente. Quando si fanno più di 100 studi sull’agopuntura e ancora non si riesce a capire bene come agisce, significa che qualcosa che non va c’è. Inoltre, riferendomi ad un articolo del CICAP sull’agopuntura, si capisce subito che in letteratura medica i risultati ottenuti sono sempre stati molto contraddittori.

A volte non basta l’autorevolezza di una rivista scientifica per convincere coloro che sono abituati a pensare con metodo scientifico…


mercoledì 18 aprile 2012

Saturno migliorato

Uno dei soggetti più fotografati dagli astrofili è sicuramente Saturno. Il pianeta con gli anelli in effetti merita tutte le nostre attenzioni e si cerca sempre di ottenere qualche bella foto.

Il 14 aprile 2012, complice una serata con un seeing tutto sommato sufficiente, ho riprovato a fotografare Saturno con la mia attrezzatura per vedere di migliorare i mediocri risultati delle serate precedenti. Stavolta per riprendere il pianeta ho utilizzato una fotocamera compatta Casio Exilim EX-Z1050. La fotocamera è stata utilizzata in proiezione con oculare (ortoscopico 5 mm) e con il telescopio Celestron CPC 800 xlt.

Ho fatto due filmati, da 120 e da 180 secondi con la fotocamera, ed entrambi sono stati elaborati con il software Registax 6. Questo comodissimo software (ed in questa ultima versione anche facilissimo da usare) non fa altro che selezionare i migliori fotogrammi del filmato e li sovrappone con la massima precisione per ottenere una singola immagine in cui gli effetti della turbolenza atmosferica risultano molto attenuati. Lo stesso software permette anche di effettuare altre elaborazioni sull’immagine finale per migliorare ulteriormente contrasto e dettagli.

Quello che vedete è il risultato finale (che è venuto fuori dal filmato di 120 secondi). Non è ancora quello che desidero, ma già si può considerare un miglioramento rispetto ai miei risultati precedenti.

Saturno 14 aprile 2012

(Saturno fotografato la sera del 14 aprile 2012 da Pedara (CT), stavolta si vede abbastanza bene la divisione di Cassini degli anelli e una fascia atmosferica).

Mi deve solo capitare una serata con seeing buono (o anche ottimo Sorriso) per capire dove si può arrivare con una fotocamera come quella che possiedo. Ora che Saturno è in opposizione, posso fare osservazioni agevolmente, dato che resta sopra l’orizzonte tutta la notte. Ovviamente con una fotocamera migliore o con un CCD appositamente realizzato per le riprese astronomiche, si possono ottenere immagini davvero sorprendenti, ma per adesso sto cercando di capire cosa si può ottenere con una normalissima ed economica fotocamera digitale. In pratica sto cercando di “cavare sangue dalle rape”. Stiamo a vedere.


lunedì 16 aprile 2012

Titanic riassunto in 5 secondi

In questi giorni vicini all'anniversario dell'affondamento del Titanic si parla tantissimo di questa sciagura (che, lo ricordiamo, avvenne il 14 aprile del 1912). Ancora non si è finito di parlare del Titanic, dopo questi 100 anni e si sono girati film, scritti libri, creati innumerevoli documentari.

Qualcuno però ci fa notare che non era affatto necessario dilungarsi così tanto su questa vicenda e riesce a riassumerci il tutto in soli 5 secondi. Guardare per credere... ;-)

Le valigie all'aeroporto: ecco il percorso che fanno.

Lo sapete che percorso fanno le nostre valigie quando vengono imbarcate a bordo di un aereo? Questo interessante filmato, realizzato dalla Delta Air Lines ci mostra il complesso "viaggio" di una valigia al cui interno sono state installate alcune telecamere per poterlo filmare. Sembra quasi il percorso di un avventuroso gioco per pc.

Buona visione a tutti.


domenica 15 aprile 2012

La dilatazione termica lineare dei solidi

Sperimentalmente è facile dimostrare che i solidi si dilatano all’aumentare della temperatura. Una delle esperienze che si possono realizzare che mostra in maniera netta la dilatazione termica dei solidi è quello della sfera metallica che non riesce più a passare attraverso un anello dopo che è stata riscaldata.

Si tratta dell’anello di Gravesande. La sfera metallica passa a stento attraverso l’anello quando ha la sua stessa temperatura, ma appena la sfera viene riscaldata non riesce più a passare.

Questa semplicissima esperienza ci insegna che i corpi si dilatano con la temperatura. Adesso ci interessa conoscere questa dilatazione a livello quantitativo. Il caso più semplice che possiamo trattare è quello di un oggetto solido di forma molto allungata, come un filo metallico o una sbarra. Deve essere comunque un oggetto che ha altezza e profondità trascurabili rispetto alla sua lunghezza.

Per comodità consideriamo una sbarra metallica. Dato che si estende soprattutto in lunghezza, possiamo affermare, con buona approssimazione, che anche la sua dilatazione avverrà soprattutto in lunghezza. Dato che le sue altre dimensioni sono trascurabili rispetto alla lunghezza, posso trascurare anche le dilatazioni che non avvengono in lunghezza.

Detta Li la lunghezza iniziale della sbarra alla temperatura iniziale Ti, chiamiamo Lf la lunghezza finale che questa raggiunge alla temperatura finale Tf.

Avremo che:

Lf – Li = ΔL che è l’allungamento della sbarra.

Sperimentalmente si può stabilire che ΔL è:

- direttamente proporzionale alla lunghezza iniziale Li;

- direttamente proporzionale alla variazione di temperatura ΔT = Tf – Ti;

- direttamente proporzionale ad un coefficiente λ (chiamato coefficiente di dilatazione lineare) che dipende dalla sostanza.

Unendo tutte queste proporzionalità in una sola espressione matematica, avremo che:

che equivale a:

Dalla prima formula possiamo ricavare il coefficiente di dilatazione lineare λ:

da questa espressione di possiamo anche ricavare le unità di misura (del S.I.) di λ:

(dove m sta per metri e °C per gradi centigradi).

Al seguente link potete trovare una esauriente tabella dei coefficienti di dilatazione di alcuni materiali di uso comune e non.


sabato 14 aprile 2012

Chi ha scoperto l’America?

Che l’America sia stata scoperta dagli europei è ormai un dato acquisito, anche se molti dicono che i Vichinghi vi sbarcarono secoli prima di Cristoforo Colombo. Ora però si è aggiunta un’altra ipotesi: in un libro intitolato Across Atlantic Ice due archeologi affermano che i primi a colonizzare il nuovo continente furono effettivamente degli europei, ma di ben 20000 anni fa! Arrivavano dalla Spagna e dalla Francia viaggiando lungo un ponte di ghiaccio.

Quindi non da est, ma da ovest, non dall’Asia, ma dall’Europa, non dalla Siberia, ma dall’Iberia. Secondo Dennis J. Stanford e Bruce A. Bradley, a mettere per primi i piedi in America non furono gli asiatici dallo Stretto di Bering, ma degli europei che attraversarono l’Atlantico tra 22000 e 17000 anni fa, molto prima dell’arrivo in Alaska dei futuri pellerossa e indios. L’ultima glaciazione, il Würmiano, era al culmine e d’inverno l’oceano congelava fino alla Spagna del sud. Non è così strano, concludono i due archeologi dello Smithsonian Institute e dell’Università di Exeter, che popolazioni abituate al freddo estremo abbiano potuto costeggiarlo a piedi o in barca per 4000 chilometri dall’Europa all’America, trascinati anche dalla Corrente del Golfo.

LGM

(La massima estensione dei ghiacci durante l’ultima glaciazione. Esisteva un ponte di ghiaccio tra l’Europa e l’America che avrebbe permesso ad antiche popolazioni lo spostamento tra i due continenti)

Alle perplessità che hanno accolto il libro i due autori rispondono di essersi limitati a comporre in un quadro unitario scoperte che avevano già scosso la teoria della colonizzazione dall’Asia e citano, ad esempio, il ritrovamento di scheletri alti e dal cranio allungato, diversi dal tipo fisico amerindio e spesso più antichi di quello. Una distanza confermata da recenti analisi sul DNA che avrebbero rilevato marcatori genetici compatibili con l’origine europea dei resti. A sostegno della loro tesi, Stanford e Bradley giocano anche una carta “archeotecnologica”. I proto americani avrebbero ottenuto i loro strumenti, oggi ritrovati anche sott’acqua, là dove in era glaciale le terre erano emerse, con una tecnica di scheggiatura a pressione caratteristica del solutreano, una cultura diffusa in Francia e in Spagna nel Paleolitico Superiore. Arnesi identici, in altre parole, da una parte e dall’altra dell’oceano, alcuni addirittura realizzati in Europa e portati in America, come sostengono i due studiosi dopo avere esaminato il tipo di pietra.

Sarebbero stati dei solutreani, dunque, probabili cacciatori di foche a spingersi lungo il pack fino a scoprire il nuovo mondo. Se le cose andarono davvero così, rimasero soli per 6000 anni, poi dovettero incrociare i loro passi con i nuovi ospiti venuti dall’Asia, probabilmente più numerosi, organizzati, pur conservando nel loro genoma le tracce di un antico rimescolamento con i solutreani, questi ultimi prevalsero e rimasero gli unici americani fino a quando Colombo non pose le basi per un ritorno in forze degli europei.


La vita su Marte: ecco le nuove scoperte

Sono passati 51 anni dal primo volo nello spazio di Jury Gagarin (nel 1961) e sono passati anche 31 anni dal primo volo dello Shuttle Columbia (12 aprile 1981). Anche il progetto Shuttle sembra qualcosa di "antico" nell'era dei computer. Molti di noi ricordano i suoi primi lanci quando eravamo ancora bambini. Sembra strano che l'esplorazione spaziale, da sempre sinonimo di "futuro", stia diventando sempre più "passato". Tra un decennio solo quelli vicini alla pensione (vicini si fa per dire...) ricorderanno il volo di Gagarin!

Ma, a questo punto, qual è il vero futuro dell'esplorazione spaziale?

Tracce di ghiaccio d'acqua all'interno di un cratere di Marte


Il professor Roberto Orosei dell'Inaf  di Roma ha parlato recentemente delle ultime scoperte che riguardano il pianeta Marte. Orosei ritiene che la scoperta più importante sia quella del metano nell'atmosfera marziana. Questo perché il metano non può sopravvivere a lungo in quel tipo di ambiente perché viene distrutto dalla radiazione ultravioletta proveniente da Sole. Questo significa che se c'è metano nell'atmosfera di Marte è perché questo viene prodotto da "qualcosa" in maniera continua. Di solito il metano viene prodotto da sistemi biologici. In fatto che su Marte siano state trovate tracce di ghiaccio d'acqua e, contemporaneamente, di metano può avere un significato molto importante.

Anche se il ghiaccio non è un buon segno per la presenza della vita, gli scienziati non si sono ancora arresi e credono di poter trovare acqua liquida in strati di terreno profondi alcuni metri sotto la superficie di Marte. Ed è proprio uno strumento italiano, un radar, che sta cercando tracce di acqua nel sottosuolo marziano.

Ma come si fa a sapere che il metano può essere prodotto da sistemi biologici? Il metano viene prodotto da due processi fondamentali: l'attività vulcanica e l'attività dei batteri. La prima ipotesi può essere facilmente scartata: l'attività vulcanica su Marte è già terminata alcuni miliardi di anni fa. Resta da sondare la seconda ipotesi.

Dall'analisi della struttura geologica della superficie di Marte si è ormai potuto appurare che sul pianeta in un'epoca molto lontana c'era acqua liquida. Probabilmente si era diffusa la vita. Se si riuscisse a dimostrare questa tesi, e cioè che la vita si sviluppò su Marte indipendentemente dalla vita sulla Terra, dovremmo ammettere che la vita sia un processo biologico molto comune che "deve" svilupparsi quando ci sono le condizioni ambientali adatte. Quindi è possibile che l'Universo brulichi di vita.

Per capire in maniera definitiva se c'è (o c'era) vita su Marte sarebbe necessaria una missione spaziale su Marte che possa mettere la parola fine a questo enigma. Ecco quale sarebbe il vero futuro dell'esplorazione spaziale, e potrebbe portare una rivoluzione scientifica davvero imponente.


venerdì 13 aprile 2012

Letto di chiodi: in realtà è abbastanza comodo…

Molti sono convinti che per coricarsi in un letto di chiodi occorre possedere delle capacità particolari, di solito associate alla meditazione o alla spiritualità. In realtà la spiegazione non è affatto così “trascendentale” e per capirlo basta avere bene in mente il concetto di pressione.

letto di chiodi

La pressione in Fisica è definita come il rapporto tra la forza che agisce perpendicolarmente su una superficie e la superficie stessa. In formula abbiamo:

dove F è la forza e S è la superficie. Questo significa che anche se la forza è poco intensa, ma la superficie è molto piccola, la pressione è molto grande. E’ il principio del chiodo che riesce a bucare una superficie anche molto dura, infatti in questo caso la forza si concentra in una superficie molto piccola, la punta, e la pressione è altissima. Ma se la forza è grande e la superficie è pure molto grande? In questo caso si capisce subito che la pressione è molto minore.

Questo fa capire che coricarsi in un letto di chiodi non è un’operazione molto difficile. La forza peso del soggetto viene infatti distribuita in molti chiodi. Se, ad esempio, ci sono 100 chiodi e la persona ha una massa di 70 Kg, significa che ci sono 0,7 Kg per ogni chiodo (70 Kg/100 chiodi). Se provate a poggiare qualcosa di 0,7 Kg su un chiodo di sicuro non si buca.

Nel video possiamo vedere il professor Joe Wolfe che ci mostra com’è facile e confortevole coricarsi su un letto di chiodi. E non solo: guardate bene cosa riesce a fare!

Buona visione a tutti.


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Il suono nel vuoto: non è possibile.

In questo video possiamo vedere un esperimento che dimostra che il suono non può propagarsi nel vuoto. Le onde sonore possono propagarsi nell’aria a causa del fatto che si trasmettono attraverso il movimento oscillante di miliardi di microscopiche molecole. Il suono per trasmettersi ha sempre bisogno di un “mezzo” di propagazione, che può essere un gas, un liquido o anche un solido. Quando il mezzo di propagazione viene a mancare, il suono sparisce. Di solito nei film di fantascienza questa nozione viene (per ragioni di spettacolarità) dimenticata, infatti le “esplosioni di astronavi” nello spazio vengono sempre associate ad un suono molto forte, invece qualsiasi impatto o esplosione di quel tipo avverrebbe nel più assoluto silenzio. Inoltre vengono rappresentate anche fiamme, ma anche questo è sbagliato: nello spazio è impossibile anche la combustione. Questa però è un’altra storia.

astronave che esplode

Torniamo al suono nel vuoto. Nell’esperimento di questo filmato possiamo vedere un campanello che è stato sistemato all’interno di un contenitore in cui viene fatto il vuoto per mezzo di una pompa. Man mano che l’aria viene estratta dal contenitore il suono del campanello diventa sempre più debole. Appena l’aria viene fatta rientrare il suono del campanello torna ad aumentare.

Il risultato di questa prova sperimentale è che il suono non riesce a propagarsi nel vuoto.

Buona visione del filmato.


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giovedì 12 aprile 2012

Scienza e fede

Siamo nel Terzo Millennio e gli uomini vivono tra scienza e tecnologie pervasive e non solo resta spazio per Dio, ma Dio è ovunque. Così esordisce un numero speciale del NewScientist, una delle più importanti riviste scientifiche del mondo. Si tratta di un numero speciale intitolato The God Issue (la questione Dio). La rivista indaga su dove e da quanto tempo risieda nel cervello umano l’idea o il bisogno di religiosità. Un pensiero, una sensibilità costante, probabilmente insopprimibile, occupa i pensieri dei filosofi, ma anche di tutte le persone che si dicono laiche o che professano l’ateismo.

(La copertina del numero speciale del 17 marzo 2012 della rivista NewScientist, dedicato alla questione Dio).

L’indagine del NewScientist non potrebbe non procedere in modo scientifico. Lo psicologo e antropologo sostiene che la mente nasce con uno spazio interno dedicato a Dio o all’idea o al bisogno di Dio o di divinità o di religione che dir si voglia. Da un punto di vista più antropologico un’altra parte del saggio disamina l’idea di Dio insieme alla nascita dell’uomo dagli albori e qui afferma che l’idea di Dio è stata decisiva per generare la civilizzazione. E’ così insita nella mente e nella psicologia l’idea di Dio che in suo nome sono state però alzate bandiere di guerra e organizzate invasioni ed eccidi contro gli altri, spesso colpevoli solo di essere fedeli ad un altro Dio.

NewScientist fa parlare poi Alain de Botton, divulgatore e filosofo svizzero il quale in libro recente, Religion for Atheists (titolo italiano: Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti), dice in sostanza che non è tema posto in genere dagli uomini in termini razionali e che dunque non gli interessa. Egli aderisce piuttosto al pensiero di Richard Dawkins, etologo e biologo dell’evoluzione, secondo cui il senso di Dio è una manifestazione di limitatezza di vedute.

Non potevano non chiedersi quelli di NewScientist se l’ipotesi di Dio sia verificabile e allora vi si dice che la maggior parte dei membri dell’Accademia delle Scienze USA non crede a una divinità. Comunque è importante citare che l’Accademia ha affermato ufficialmente che la scienza non dice nulla sul soprannaturale e quindi si dichiara neutrale sull’argomento.

C’è da dire però che, involontariamente, la scienza nella storia ha spesso ricondotto alcuni fatti ritenuti soprannaturali a fatti perfettamente spiegabili scientificamente. E’ una neutralità non del tutto neutrale…


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Le bibite gassate fanno male al cuore

Le bevande gassate sono nemiche del cuore. Lo afferma il “solito” studio americano finito sulle pagine di una prestigiosa rivista scientifica, Circulation, della associazione dei cardiologi americani (American Hearth Association). Addirittura, chi beve le più popolari bevande gassate, rischia di aumentare le probabilità di un attacco di cuore. Se guardiamo bene questo studio, vediamo che il nemico non è il gas, l’anidride carbonica, che produce le bollicine, bensì il solito zucchero.

bevande gassate

Lo studio che ha coinvolto quasi 43000 uomini americani, seguendone gli stili di dieta, mostra come il tipico bicchiere di bevanda gassata da 12 once (un terzo di litro), contenga 10 cucchiaini di zucchero. Se poi pensiamo che mediamente si consumano, per un pasto da fastfood con hamburger e patatine, 20 once di bevanda (quindi mezzo litro), ecco che lo zucchero sale fino a 15-18 cucchiaini. Se a questo poi si aggiungono l’abitudine al fumo, sedentarietà e sovrappeso, la probabilità di rovinarsi la salute in poco tempo diventa davvero molto alta. Infatti il rischio di infarto aumenta del 20%.

Questo ci fa capire che in fondo le bevande gassate non sono l’unica causa di infarto! Lo studio alla fine indica solo che non è bene ingurgitare da 15 a 18 cucchiaini di zucchero in un solo pasto. Se ci mettessero davanti una tale quantità di zucchero, nessuno lo mangerebbe senza pensare che è una quantità spaventosa! Il problema che tale quantità di zucchero disciolta nella bevanda non ci fa rendere conto di cosa stiamo facendo realmente.

Pensiamoci ogni volta che beviamo una bibita gassata…


mercoledì 11 aprile 2012

Allarme tsunami a Sumatra

Allerta tsunami nell’oceano Indiano per un terremoto violentissimo (magnitudo 8,9 della scala Richter) che è avvenuto al largo dell’isola di Sumatra a poco più di 600 chilometri dalla città di Banda Aceh. Questo terremoto ovviamente ha riportato alla memoria il terremoto del 26 dicembre 2004 che arrivò a mietere ben 230ooo vittime. Ma fu soprattutto il devastante tsunami che seguì a quel terremoto a fare tante vittime.

Nelle ultime ore l’Istituto Geosismico americano ha affermato che essendo stato un sisma con oscillazioni orizzontali e non verticali non si ritiene probabile lo scatenarsi di un’onda di tsunami.

(L’epicentro del sisma avvenuto oggi 11 aprile 2012 al largo dell’isola di Sumatra).

Perché questo tipo di fenomeni sismici stanno avvenendo di nuovo in questa zona?

Bisogna partire dal fatto che questo sisma ha avuto una magnitudo tra 8,5 e 8,9 della scala Richter e quindi con un’energia variabile tra 1 e 31 miliardi di tritolo equivalente, in grado di causare danni immensi in un raggio di parecchie centinaia di chilometri, con in più, dato l’epicentro situato nel fondo del mare, il rischio tsunami.

Un terremoto di questa intensità avviene in media una volta all’anno, ma il 90% dei terremoti del mondo avviene lungo la cosiddetta cintura di fuoco, una fascia a forma di ferro di cavallo lunga circa 40000 chilometri, caratterizzata da archi insulari, fosse oceaniche e oltre 450 vulcani, molti dei quali attivi.

Tutto dipende dal movimento delle placche che sono continuamente in movimento perché “galleggiano” sulla astenosfera, lo strato fluido di materiale magmatico sottostante, si tratta deriva dei continenti scoperta da Wegener. Nella cintura di fuoco avviene un fenomeno che gli geologi chiamano subduzione. Qui le placche continentali avanzano su quelle oceaniche e la loro frizione provoca scosse sismiche continue ed eruzioni vulcaniche. Si tratta di forze immani sulle quali forse l’uomo non potrà mai intervenire. Fino ad ora l’unica forma di difesa è la prevenzione, allarmi tempestivi e costruzioni antisismiche, ma che non sempre sono sufficienti.


Stelle, pianeti e galassie vicino a Donnafugata

Martedì sera, dopo avere visitato il bellissimo castello di Donnafugata (ne scriverò in un prossimo post), ho alloggiato con mia moglie presso l’agriturismo Casato Licitra. I proprietari (davvero molto disponibili) mi hanno dato il permesso di sistemare il mio telescopio presso la loro piscina e, alle 21:00 circa mi sono lanciato in una veloce scorpacciata di galassie (e anche qualche altra cosa).

Il cielo da quella posizione sembrava abbastanza inquinato in direzione dell’orizzonte ad ovest e a sud, a causa della presenza di diversi centri abitati vicini alla costa come Santa Croce Camerina e Marina di Ragusa. La trasparenza del cielo era media e la magnitudine limite ad occhio nudo circa 5,7.

(Una foto del “terzetto del Leone” M65-M66-NGC 3628, un gruppo di galassie nella costellazione del Leone facili da vedere anche visualmente con piccoli telescopi nelle notti di primavera).

Prima di tutto ho dato un’occhiata a M51 e ho potuto notare un primo indizio di visione delle braccia a spirale. Ma non era quello il mio “programma osservativo”. Mia moglie Laura teneva in mano un foglietto in cui avevo stampato un elenco di galassie e altri oggetti e mi leggeva i numeri NGC. Io li impostavo nella tastiera dello Skyalign e aspettavo il puntamento Occhiolino. Se non era un oggetto troppo “cavaocchi” anche lei dava un’occhiata all’oculare. Poi si passava subito ad un altro oggetto.

Ecco cosa ho (abbiamo) visto.

NGC 4244. E’ una galassia nella costellazione Canes Venatici (Cani da Caccia). Bellissima, vista di profilo. Si vede chiaramente un lungo fuso luminoso che occupa un quarto del campo visibile a 50x. (Mag. 10,0).

NGC 3077. Galassia in Ursa Major (Orsa Maggiore). Fa parte del gruppo di galassie di M81. Appare come appaiono la maggior parte delle galassie ellittiche con un piccolo telescopio. Nessun altro particolare degno di nota. (Mag. 10,6).

NGC 3069. Galassia in Ursa Major. Nonostante gli sforzi non sono sicuro di averla vista. Dovrebbe essere una galassia ellittica.

NGC 3184. Galassia in Ursa Major. Una bella galassia vista di faccia. Si vede un disco luminoso abbastanza debole con un nucleo centrale abbastanza piccolo e concentrato. (Mag. 9,6).

NGC 3226-3227. Galassie in Leo (Leone). NGC 3226 è una galassia ellittica interagente con la spirale NGC 3227. Si osservano solo due nuclei deboli e diffusi circondati da debole luminosità. (Mag. 11,1 e 12,7).

NGC 3810. Galassia in Leo. E’ una galassia a spirale vista quasi di faccia. Davvero difficile da vedere. Il core è piccolo e si vede come una stella sfocata. (Mag. 10,8).

NGC 3190-3193. Galassie in Leo. La prima è una spirale vista quasi di profilo, la seconda è ellittica. Sono visibili nello stesso campo a 50x e si osservano i loro nuclei brillanti circondati da una luminosità poco estesa. In NGC 3190 si intuisce la forma allungata. (Mag. 11,1 e 10,8).

NGC 5005. Galassia in Canes Venatici. E’ una galassia a spirale. E’ facile osservare la sua forma allungata, dato che è disposta quasi di profilo. (Mag. 10,3)

NGC 5033. Galassia in Canes Venatici. E’ una spirale (molto bella nelle foto). All’osservazione visuale offre solo un nucleo allungato circondato da una luminosità con la stessa forma.

NGC 5053. Ammasso globulare in Coma Berenices (Chioma di Berenice). “Inseguo” questo ammasso da diverso tempo. Stavolta è la prima volta che “credo” di averlo visto. L’oggetto è molto difficile perché è uno degli ammassi globulari meno concentrati che si conoscano. Si ha l’impressione di vedere una tenue nebulosità con qualche debole stellina al suo interno. Niente di più.

NGC 5248. Galassia in Bootes (Boote). Galassia a spirale vista di tre quarti. Visibile un nucleo piccolo e brillante circondato da una luminosità in cui è possibile intuire dei chiaroscuri. (Mag. 10,0).

NGC 4216. Galassia in Virgo (Vergine). E’ una galassia a spirale vista di taglio. In effetti si vede come un debole e sottile fuso luminescente.

NGC 2655. Galassia in Camelopardalis (Giraffa). Galassia a spirale peculiare. Si osserva un nucleo diffuso circondato da debole luminosità.

NGC 2403. Galassia in Camelopardalis. Galassia a spirale. Molto grande. Si osserva una nebulosità irregolare piuttosto larga tra due stelline e altri grumi luminosi sparsi per il campo visuale. In definitiva potrebbe essere un oggetto stupendo da osservare sotto cieli davvero bui.

NGC 5907. Galassia in Draco (Drago). E’ una bellissima spirale vista di profilo. E’ stata una vera sorpresa. Sottilissima e lunghissima ed è anche piuttosto facile e luminosa. Sembra di vedere una zona centrale leggermente più luminosa.

NGC 4147. Ammasso globulare in Coma Berenices. Piccolo e concentrato, non si risolve in stelle.

NGC 6543. Nebulosa planetaria in Draco. E’ la famosa “nebulosa Occhio di Gatto”. Nelle foto appare davvero spettacolare, nell’osservazione visuale offre molto meno. A 250x appare come un dischetto sfocato con alcuni chiaroscuri.

NGC 6207. Galassia a spirale in Hercules (Ercole). Niente di particolare, se non il fatto che si riesce a trovare vicino al grande ammasso globulare M13. Si vede un nucleo piccolo ed evidente circondato da debole luminosità.

NGC 4038-4039. Galassie “Antennae” in Corvus (Corvo). Si tratta delle famose galassie interagenti chiamate “Antennae” che nelle foto con grandi telescopi esibiscono stupendi dettagli di “getti” di materia dovuti alle forze gravitazionali di marea e grandi zone di intensa formazione stellare. All’osservazione visuale è possibile vedere poco più che due macchioline luminose di forma irregolare a distanza ravvicinata. (Mag. 11,1).

Dopo ho rivolto la mia attenzione a Saturno e a Marte. Mi sono accorto però che la lastra del Celestron si era fortemente appannata e la visione dei pianeti appariva come avvolta da una fastidiosa luce diffusa. E’ proprio un peccato visto che la turbolenza era davvero minima e si sarebbero potuti vedere molti dettagli. La prossima uscita notturna in luoghi lontani da casa mi dovrò fornire di fascia anticondensa per impedire l’appannamento dell’obiettivo del telescopio.

Con questo il report osservativo del 10 aprile 2012 è finito. Sono riuscito a vedere un bel po’ di oggetti nella stessa serata e sono soddisfatto.


sabato 7 aprile 2012

Le donne dell’astronomia: Cecilia Payne Gaposchkin

Molte donne, spesso nascoste da un fatale anonimato, hanno dato contributi non indifferenti alla scienza. E’ sicuramente il caso di Cecilia Payne Gaposchkin, nata a Wendower il 10 maggio 1900 e scomparsa a Cambridge il 7 dicembre 1979. Nei libri di scienze c’è scritto che il Sole è composto per il 90% da idrogeno, chi ha un minimo di memoria per le nozioni scolastiche probabilmente lo ricorderà. Bene, è stata proprio Cecilia Payne a scoprirlo nel 1925, in un epoca in cui si era convinti che la nostra stella avesse una composizione quasi del tutto simile al nostro pianeta, cioè che fosse formato soprattutto da ferro.

Cecilia Payne

Decisivo, per questa scoperta, fu l’incontro con l’astronomo Harlow Shapley nel 1923 a Cambridge. Shapley convinse Cecilia a trasferirsi negli Stati Uniti. Infatti Cecilia si laureò ad Harvard con una tesi dal titolo: “Stellar Atmospheres, A Contribution to the Observational Study of High Temperature in the Reversing Layers of Stars”. Questa tesi fu definita dall’astronomo Otto Struve indubbiamente la più brillante tesi di laurea mai scritta in astronomia”. Questa scoperta portò a capire che tutte le stelle sono formate prevalentemente da idrogeno.

Nello stesso studio trovò una correlazione tra la classe spettrale delle stelle e la loro temperatura.

La sua intuizione fu davvero brillante. Cecilia Payne pensò di impiegare la teoria quantistica della struttura dell’atomo per dimostrare che gli spettri stellari esibivano una grande varietà a causa delle variazioni fisiche e non per le variazioni di abbondanza degli elementi chimici. Fu proprio questa intuizione a indicare che il Sole fosse formato soprattutto da idrogeno, nonostante le righe spettrali del ferro fossero più numerose.

Ora sappiamo chi ha scoperto questa fondamentale nozione della composizione chimica delle stelle, che nei libri spesso viene scritta senza dare troppe spiegazioni. Bisogna sempre ricordarsi che dietro ogni nozione scientifica c’è sempre la storia di qualcuno che ha lavorato a questa scoperta, ci ha sudato sopra e spesso ci ha anche sofferto. In molti casi queste scoperte sono dovute a donne.


Il sale fa bene o fa male?

Noi esseri umani non potremmo sopravvivere senza il sale. Ma qual è la dose giusta per il nostro organismo? Infatti sembra che ne consumiamo davvero troppo. Le linee guida sono chiare: la dose ideale è la metà di quella che ciascuno di noi in media assume! Uno studio recente però non è d’accordo e questo ha portato ad una leggera confusione.

Il sale favorisce il mantenimento dell’equilibrio dei liquidi nell’organismo e il sodio è uno degli ioni che contribuiscono a creare impulsi elettrici nel cervello. Si tratta di due funzioni fondamentali, eppure il sale è uno degli indiziati principali nell’aumento delle malattie cardiovascolari nelle zone più ricche del mondo. Contro il sale sono stati scritti e pubblicati decine di studi scientifici. Negli ultimi tempi alcuni studi scientifici hanno cominciato, con cautela, a considerare il sale meno dannoso di quello che finora si era sempre pensato.

sale

Si calcola che nei paesi occidentali ogni persona consumi in media 8 grammi di sale al giorno, una quantità ben superiore a quella indicata dalle linee guida alimentari che consigliano di non superare i 3,75 grammi al giorno. Numerose ricerche hanno testimoniato come una riduzione del sale abbassi i rischi cardiovascolari. Con due grammi in meno al giorno si è osservato un regresso delle patologie cardiache del 25%. Esistono poi osservazioni più empiriche e prive del sostegno statistico. In Giappone, 50 anni fa, il consumo di sale era di 18 grammi al giorno a persona e ictus e malattie cardiocircolatorie erano molto diffuse. Si tratta di dati che sembravano inconfutabili fino a quando, circa un anno fa, la Cochrane, un organismo non governativo, ha pubblicato una ricerca nella quale la relazione tra il sale e l’aumento della mortalità, viene fortemente messa in discussione. Il lavoro sottolinea come non vi siano prove inconfutabili circa la dannosità del sale, anzi, il suo consumo aumenterebbe il livello di ormoni e lipidi nel sangue. Osservazioni sulle quali, manco a dirlo, si è tuffata a pesce l’industria del sale, che teme di subire la stessa offensiva patita dalle multinazionali del tabacco.

In realtà, per scrivere una parola definitiva sarebbe necessario uno studio epidemiologico di lungo periodo che nessuno, al momento, sembra voler finanziare. Così restano quelle generiche raccomandazioni a ridurre il consumo di sale. La sfida non è quella di farlo sparire del tutto dalle nostre tavole, ma di consumarlo in una giusta misura. Le prime da convincere sono le industrie alimentari che spesso abbondano nell’uso del sale per coprire ingredienti scadenti e sapori amari dovuti ai processi di lavorazione. Il sale sarà dannoso, forse, ma è sicuramente molto utile…


venerdì 6 aprile 2012

Un metodo per misurare la lava dell’Etna

L’Etna sta attraversando un periodo di notevole attività vulcanica. Si stima che nell’ultimo anno abbia prodotto 28 milioni di metri cubi di lava. E’ piuttosto difficile misurare la quantità di lava eruttata da un vulcano, ma è una misura molto importante, perché qualsiasi variazione può essere un segnale che il vulcano si sta preparando a qualche grande eruzione.

Per calcolare i volumi di lava recentemente è stato messo a punto un nuovo metodo. Vediamo per quale motivo si è sentito il bisogno di “escogitare” questo nuovo metodo.

Etna 1 aprile 2012

Il primo aprile 2012 l’Etna ha avuto uno dei suoi parossismi che negli ultimi due anni si stanno verificando con grande frequenza. L’attività più recente dell’Etna è stata caratterizzata da piccole effusioni laviche accompagnate però di intense emissioni di fontane di lava e di ceneri. Questo tipo di attività nel tempo ha un andamento irregolare. Nel 2005, ad esempio, si ebbero solo effusioni laviche (cioè colate di lava), nel 2000 invece si ebbero 66 eruzioni caratterizzate da fontane di lava e ceneri. Stimare il volume di lava quando si hanno colate laviche è facile, più difficile è misurare l’entità di emissioni volatili, come ceneri e polveri.

Per questo motivo l’INGV di Catania ha messo a punto un nuovo metodo per stimare i volumi di lava emessi da un vulcano. In questo modo si è potuto stimare che dal gennaio 2011 al gennaio 2012, l’Etna ha emesso 28 milioni di metri cubi di lava. Il risultato è importante, perché questo è lo stesso volume emesso durante le eruzioni effusive dal 1970 ad oggi. Ciò significa che negli ultimi 40 anni la quantità di lava emessa annualmente dall’Etna è stata costante.

Lo studio è stato pubblicato dal Geophysical Research Letters è stato realizzato elaborando le immagini termiche acquisite dal sensore SEVIRI a bordo del satellite Meteosat. In pratica gli studiosi hanno monitorato la curva di raffreddamento dei materiali emessi da brevi eventi eruttivi con fontane di lava. Maggiore è il volume di lava eruttata e più è grande il tempo impiegato per il raffreddamento. I ricercatori affermano che sapendo dall’inizio di un’eruzione qual sarà la portata della lava emessa da una bocca effusiva, potranno fare tutte quelle simulazioni previsionali che permettono di individuare le aree a rischio. Questo tipo di previsione, ovviamente, si basa sull’assunto (tutt’altro che certo) che la quantità di lava emessa annualmente debba restare costante. Il fatto che negli ultimi 40 anni si sia osservata una certa costanza nelle emissioni laviche non significa che debba restare costante per tempi ancora più lunghi.


mercoledì 4 aprile 2012

A come amore, B come leggi della Fisica…

Le leggi della Fisica in ordine alfabetico. Non sono tutte le leggi della Fisica, ovviamente, ma le ho scritte in questo modo più per giocare che per creare un elenco completo.

A come legge di Avogadro

B come legge di Boyle

C come legge di Coulomb

D come legge di Dalton

E come legge di Einstein

F come legge di Faraday

G come legge di Gauss

H come legge di Hooke

I come legge di Inerzia

L come legge di Laplace

M come legge Moseley

O come legge di Ohm

P come legge di Poseuille

Q come legge di Q… eh no! Stavolta non l’ho trovata.

R come legge di Rayleigh-Jeans

S come legge di Stevino

T come legge di Torricelli

U come legge di U… niente da fare anche stavolta.

V come legge di van der Waals

Z come legge di Z… vi sfido a trovarla!

Vi è piaciuto questo gioco? Lo confesso, mi sono ispirato alla canzoncina dei Soliti Idioti… Uno dei casi in cui la comicità può essere fonte di ispirazione per l’apprendimento della Fisica.

Riguardo alle leggi della Fisica possiamo dire che lo sforzo che l’uomo compie per comprendere il funzionamento dell’Universo è uno sforzo enorme, direi quasi eroico. Ciò dimostra che il desiderio dell’uomo di conoscere è molto forte.

Per capire meglio la difficoltà dell’uomo nel cercare di capire come funziona il mondo che ci circonda, possiamo ricorrere ad una bella ed efficace analogia che fu proposta da Albert Einstein e da Leopold Infeld. Questi due grandi scienziati nel 1938 scrissero:

Nel nostro sforzo di comprendere la realtà siamo in un certo senso come un uomo che cerca di capire il meccanismo di un orologio chiuso. Vede il quadrante e le lancette che si muovono, sente il ticchettio, ma non riesce ad aprire la cassa. Se è ingegnoso può crearsi un’immagine di un meccanismo che potrebbe essere responsabile di tutte le cose che osserva, ma non sarebbe mai del tutto certo che la sua immagine sia l’unica possibile spiegazione delle osservazioni. Non sarà mai in grado di confrontare la sua immagine con il meccanismo reale e non può nemmeno immaginare il possibile significato di un tale confronto”.

(Albert Einstein e Leopold Infeld in una foto del 1938)

Dopo questa lettura, vi lascio alle dovute riflessioni


Space X Starship: il nuovo tentativo di lancio del 18 novembre 2023.

Vediamo un frammento della diretta del lancio dello Starship del 18 noembre 2023. Il Booster 9, il primo stadio del razzo, esplode poco dopo...