venerdì 8 aprile 2011

Il fotone

 

Cos’è la luce? Perché si comporta in un certo modo? Il primo grande sforzo per spiegare la luce fu una guerra tra due “modelli”. La teoria corpuscolare di Isaac Newton si batté contro la teoria ondulatoria di Christiaan Huygens. Col passare del tempo si sono accumulate prove in favore del modello ondulatorio. Il modello venne migliorato e divenne il modello elettromagnetico di Maxwell. Sembrò che per i corpuscoli fosse finita. Poi, con sorpresa dell’intera comunità scientifica, Max Planck, Albert Einstein e il loro modello dei “quanti” donarono nuova vita alle particelle.

Il fotone è un modo nuovo e potentissimo di guardare una vecchia idea. Aiuta a spiegare comportamenti della luce lungamente ipotizzati come la pressione di radiazione. Le particelle reali esercitano una pressione: Newton stesso formulò delle leggi sulla quantità di moto che aiutano a spiegare la pressione. Il prodotto della massa per la velocità è conosciuto come quantità di moto. Se una massa in equilibrio è colpita da una massa in movimento la quantità di moto è trasferita. Se sommiamo la quantità di moto di due masse prima della collisione e dopo, i vettori delle quantità di moto dopo la collisione si sommano sempre a quelli esistenti prima della collisione.

conservazione quantità di moto

Nel 1923 lo scienziato Arthur Compton mostrò che anche i fotoni sembravano avere una quantità di moto. Usò una “camera a nebbia” (o camera di Wilson) con cui è possibile osservare le tracce lasciate dalle particelle atomiche. Sparò nella camera i raggi X di un’energia fotonica nota. Di tanto in tanto questo flusso di raggi X riproduceva la traiettoria di un elettrone. Nello stesso tempo Compton scoprì che l’angolazione dei raggi X era stata deviata e l’energia fotonica di questi raggi X era ridotta. Compton mostrò che questa condizione è simile alla collisione tra due particelle in cui la quantità di moto viene conservata. Egli calcolò, dall’energia fotonica, che se un fotone possiede una sua quantità di moto, quando interagisce con un elettrone, la quantità di moto viene conservata.

effetto Compton

La dimostrazione di Compton fu la prova di una natura delle luce analoga a quella dei corpuscoli. La conservazione della quantità di moto fotonica sostiene l’ipotesi che la luce eserciti una pressione. Noi possiamo vedere nello spazio il risultato reale di questa pressione. Gli scienziati generalmente accettano che sia la pressione dei fotoni a spingere le particelle che formano la coda delle comete in modo che esse fuggano sempre via dal Sole.

coda cometa

Alcuni visionari hanno proposto che vele gigantesche potrebbero catturare questo vento fotonico per spingere le navi spaziali fra le stelle.

vela solare

Ma che dire degli altri comportamenti della luce? Gli scienziati possono spiegarli tutti usando le particelle fotoniche? Le figure di interferenza, ad esempio. Il modello ondulatorio spiega bene come l’interferenza costruttiva produce linee illuminate più intensamente, le frange chiare, per creare figure di interferenza caratteristiche della luce. I corpuscoli sono in grado di descrivere queste stesse figure?

figura di interferenza

Immaginiamo che la luce sia composta di molte particelle fotoniche invece che di onde. E’ possibile che queste particelle interagiscano, in modo che ancora deve essere scoperto, per produrre le figure di interferenza? A questa domanda Geoffrey Taylor ha dato una risposta sensazionale. Il suo esperimento prevedeva l’uso della carta fotografica per registrare le figure di interferenza. La carta sensibile alla luce registra gradualmente una figura anche quando la luce è debole. Taylor ripeté l’esperimento riducendo l’entità di luce che entrava nelle fessure, finché non furono necessari mesi per ottenere la figura. Fino al punto in cui calcolò che in media dalla fessura transitava un solo fotone alla volta. E quale fu il risultato? Come poteva essere spiegata la stessa figura da un’interazione corpuscolare? Con un solo fotone alla volta nell’apparato non era possibile alcuna interazione. Nonostante la teoria dei quanti e il modello fotonico, ci serve ancora il modello ondulatorio della luce per prevedere anche solo il luogo che colpirà un fotone dopo essere passato attraverso una fessura.

Taylor dimostrò che la teoria corpuscolare non può fornire tutte le risposte. L’onda resta sempre uno strumento essenziale per descrivere il comportamento della luce. C’è un modello più utile dell’altro? La cosa dipende, almeno in parte, dal tipo di radiazione elettromagnetica. Alcune forme di radiazione elettromagnetica hanno una forma più simile all’onda. Le radioonde, per esempio, con una lunghezza d’onda molto ampia, dimostrano chiaramente caratteristiche ondulatorie come l’interferenza. Per esempio una radioonda e la sua riflessa possono determinare una figura di interferenza. Dalla radio che abbiamo in macchina ci capita spesso sotto forma di picchi di intensità e di punti morti, mentre ci muoviamo attraverso la figura di interferenza. Ma è difficile rintracciare il singolo fotone di una radiazione radio. All’estremo opposto della scala delle radiazioni c’è la radiazione gamma. Sono lunghezze d’onda talmente brevi che è difficile, se non impossibile, una dimostrazione di interferenza con le fessure, per quanto esse possano essere sottili. D’altra parte l’energia viaggia in fotoni simili ai corpuscoli che sono facili da rintracciare come “click” separati di un contatore Geiger.

La fisica dei quanti, il modello fotonico di radiazione di energia, hanno cambiato l’aspetto della fisica moderna. Malgrado ciò, il modello elettromagnetico ondulatorio, resta comunque uno strumento essenziale. Oggi i due modelli si sostengono a vicenda, per fornirci una solida comprensione della luce.


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